Il disco che rese Kendrick Lamar il più importante rapper della sua generazione

Dieci anni fa “To Pimp a Butterfly” raccolse decenni di storia di musica nera e ridiede centralità politica all'hip hop

La copertina del disco  To Pimp a Butterfly  di Kendrick Lamar
La copertina del disco To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar
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Quando uscì, tra il 15 e il 16 marzo del 2015, dieci anni fa, To Pimp a Butterfly sembrò da subito qualcosa di monumentale, e nel giro di poco tempo fu chiaro che il terzo disco di Kendrick Lamar avrebbe avuto un impatto sulla cultura popolare afroamericana e globale come pochi altri nella storia dell’hip hop. Ancora oggi è ricordato come un disco di importanza seminale sia dal punto di vista musicale sia da quello politico, avendo incarnato e ispirato una parte delle istanze emerse in un periodo di grande centralità globale per le questioni razziali negli Stati Uniti.

Con 16 canzoni e oltre un’ora e un quarto di durata, To Pimp a Butterfly rappresentò un compendio fenomenale della musica afroamericana del decennio precedente e anche di quelli prima, grazie alla partecipazione di una serie di grandi rapper e musicisti jazz, funk e R&B, tra cui Dr. Dre, Snoop Dogg, George Clinton, Pharrell Williams, Kamasi Washington, Thundercat e Flying Lotus. Il disco dominò le classifiche di vendita e ricevette recensioni entusiaste, finendo poi ai primi posti di gran parte delle liste di fine anno del 2015 sulla stampa specializzata.

Pitchfork lo mise poi al quarto posto della sua selezione dei dischi del decennio, e la giornalista Kara Brown scrisse che «c’è musica fatta dalla gente nera e poi c’è la musica nera: canzoni che ti colpiscono al petto e ti entrano in circolo nel sangue, che diventano parte di te». «Con quest’album», riassunse Brown, «Lamar ci preparò al futuro e non ci diede solo degli inni, ma delle preghiere: ci diede il disco che sapeva ci sarebbe servito per andare avanti, come abbiamo sempre fatto». Anche per Rolling StoneTo Pimp a Butterfly è stato uno dei migliori dischi degli anni Dieci (il terzo) in quanto «definì lo stato dell’arte dell’hip hop» di quel periodo.

Lamar aveva già pubblicato Section.80 (2011) e soprattutto Good Kid, M.A.A.D City (2012), il disco con cui si era affermato come uno dei rapper più talentuosi e profondi della sua generazione.

Nato nel 1987 a Compton, il quartiere di Los Angeles che negli anni Ottanta e Novanta era stato uno degli epicentri dell’hip hop e dove erano nati tra gli altri Dr. Dre e Ice Cube, Lamar era cresciuto in una famiglia abbastanza povera, convivendo con la violenza e la criminalità dilaganti nelle comunità afroamericane della città.

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Quando uscì To Pimp a Butterfly, Lamar era già andato in tour con Kanye West ed Eminem, era apparso in tv, ed era tra i giovani rapper più in vista in un momento in cui l’hip hop stava raggiungendo la sua massima popolarità globale e stava già dominando l’industria discografica americana. Il disco fu funzionale a questo successo planetario, ma fece di più, perché ridiede centralità politica all’hip hop, dopo alcuni anni in cui non ne aveva avuta molta. A ispirare To Pimp a Butterfly erano stati gli omicidi da parte della polizia di Trayvon Martin, Michael Brown ed Eric Garner, e anche un viaggio in Sudafrica nei luoghi dell’apartheid nel 2014.

Con la poeticità e le capacità di storytelling che lo distinguono, Lamar raccontò insomma l’esperienza afroamericana in un momento di grandi tensioni e rivendicazioni, presentandola in una prospettiva storica che denunciava il razzismo sistemico negli Stati Uniti e rifletteva sull’eredità della tratta degli schiavi (una delle canzoni più note si chiamava “King Kunta”, un riferimento all’archetipo dello schiavo ribelle). “Alright” diventò uno degli inni di Black Lives Matter, il movimento contro la brutalità e le violenze della polizia, e Lamar uno dei portavoce globali del movimento per i diritti delle persone afroamericane, anche per via dell’apprezzamento nei suoi confronti espresso in molte occasioni da Barack Obama.

Ebbe una grande influenza sull’hip hop di quegli anni anche l’approccio alla storia della musica nera con il quale Lamar recuperò e reinterpretò vari capisaldi delle tradizioni popolari afroamericane e in particolare della musica funk e soul degli anni Settanta, dagli Isley Brothers ai Funkadelic, agli Sly & The Family Stone. Gli arrangiamenti di To Pimp a Butterfly erano complessi e inventivi, includevano tanto strumenti elettronici quanto quelli acustici, con una centralità particolare per i fiati e la sezione ritmica, tradizionalmente le componenti più importanti della musica afroamericana. A questo si aggiungeva che il flow di Lamar, cioè la fluidità e la precisione delle sue parti rappate, era tra i migliori in circolazione.

Kendrick Lamar ai BET Awards del 2015. (Christopher Polk/BET/Getty Images for BET)

Secondo Kamasi Washington, che è uno dei più noti sassofonisti del jazz contemporaneo, il disco fu fondamentale perché fece capire a un pubblico ampissimo che si poteva trovare l’avanguardia e la sperimentazione anche nella musica che raggiungeva il mainstream.

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Lamar avrebbe poi ricevuto un premio Pulitzer, il più prestigioso assegnato negli Stati Uniti per meriti nel giornalismo, nelle arti e nella letteratura, per il suo disco successivo, DAMN. (2017), ma in molti concordano che fu una sorta di riconoscimento retroattivo per quello che aveva fatto con To Pimp a Butterfly. Alla fine del decennio, Lamar era tra i rapper di maggior successo al mondo, e il più stimato dalla critica. Mr. Morale & the Big Steppers (2022) e GNX (2024), i suoi album successivi, non raggiunsero più gli stessi livelli, né nelle classifiche né nelle lodi, ma Lamar è ancora considerato il più influente rapper in attività, e il più importante della sua generazione.