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  • Domenica 16 marzo 2025

La repressione dell’amministrazione Trump contro la Columbia per le proteste pro Palestina

Ha tagliato i fondi, arrestato due studenti, perquisito i dormitori e preteso delle modifiche strutturali all'università

Una protesta in sostegno di Mahmoud Khalil a New York, il 14 marzo 2025 (AP Photo/Jason DeCrow)
Una protesta in sostegno di Mahmoud Khalil a New York, il 14 marzo 2025 (AP Photo/Jason DeCrow)
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Venerdì il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha detto di star indagando per verificare se le partecipate proteste studentesche contro l’invasione israeliana della Striscia di Gaza avvenute l’anno scorso alla Columbia University di New York abbiano violato le leggi federali sul terrorismo. Il vice procuratore generale Todd Blanche ha detto che l’indagine fa parte della «missione per porre fine all’antisemitismo in questo paese» dell’amministrazione di Donald Trump.

Nell’ultima settimana il governo statunitense ha inasprito le sue azioni contro le università in cui si sono svolte quelle proteste, e il dipartimento dell’Istruzione ha detto che sono sotto indagine 60 università, che avrebbero tollerato la creazione di un ambiente ostile nei confronti degli studenti ebrei. Fra queste la più colpita è la Columbia University, una delle più prestigiose del paese: l’amministrazione di Trump le ha tagliato i fondi, ha arrestato due suoi studenti, ha preteso delle modifiche strutturali e ha perquisito i suoi dormitori.

Durante le estese proteste nelle università statunitensi gli studenti avevano organizzato occupazioni e picchetti che erano proseguiti per mesi, provocando un ampio e polarizzato dibattito su antisemitismo, islamofobia e libertà di espressione. Alcuni studenti ebrei avevano detto di aver subìto molestie e avevano accusato chi manifestava di minimizzare la gravità della strage di Hamas del 7 ottobre del 2023, che aveva dato inizio alla guerra in corso. Centinaia di studenti furono sospese e arrestate e varie università furono criticate per come gestirono le proteste: fra queste ci fu anche la Columbia, che fu occupata e diventò anche per questo uno dei simboli della protesta.

Il tutto si svolse durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali di novembre: il Partito Repubblicano e Donald Trump, vicini politicamente a Israele e nello specifico al governo del primo ministro di destra Benjamin Netanyahu, promisero di prendere provvedimenti contro le istituzioni in cui si erano svolte le proteste e accusarono i manifestanti di antisemitismo.

Le azioni contro la Columbia University sono cominciate il 7 marzo, quando il governo statunitense ha annunciato un taglio di circa 400 milioni di dollari di fondi federali, accusando l’istituzione di non aver fatto abbastanza in quel periodo per proteggere gli studenti ebrei da quelle che ha definito «violenze antisemite». Questa decisione si inserisce in un gruppo più ampio di provvedimenti contro le università, accusate da Trump di essere il centro di quello che ha definito «un indottrinamento di sinistra».

Una delle proteste a favore della Palestina alla Columbia University, il 29 aprile 2024 (AP Photo/Stefan Jeremiah, File)

Giovedì 13 marzo l’amministrazione di Trump ha inviato una lettera alla dirigenza dell’università con una serie di richieste che dovevano essere soddisfatte prima di iniziare una qualsiasi discussione sul ripristino dei fondi. Fra queste viene chiesto alla Columbia di definire formalmente l’antisemitismo, riformare le sue politiche di ammissione sulla base delle nuove linee guida federali e porre i suoi dipartimenti di Studi sul Medio Oriente, sull’Africa e sull’Asia meridionale sotto «amministrazione accademica controllata»: si tratta di una pratica usata raramente che toglie a un’università il controllo di un dipartimento e ne affida la supervisione a un ente o a un professore esterno, di solito per riorganizzarlo in un momento di difficoltà finanziaria.

La Columbia ha detto che sta valutando le richieste, che sono state nel frattempo criticate da molti dei suoi professori e dal mondo accademico. Negli scorsi giorni la dirigenza ha anche iniziato a prendere dei provvedimenti contro alcuni studenti che avevano occupato un’edificio dell’università durante le proteste, sospendendone alcuni, espellendone altri e revocando le lauree ad altri ancora. L’università non ha pubblicato una lista delle persone coinvolte, ma secondo quanto riferito dal New York Times fra loro ci sarebbe anche anche Grant Miner, uno studente ebreo che aveva partecipato alle proteste e che è a capo del sindacato degli studenti lavoratori dell’università.

Una protesta organizzata dal sindacato degli studenti lavoratori dell’università contro l’arresto di Mahmoud Khalil a New York, il 14 marzo 2025 (AP Photo/Jason DeCrow)

L’azione dell’amministrazione di Trump più criticata in questi giorni è stata però un arresto compiuto l’8 marzo da parte di alcuni agenti dell’ICE, l’agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione. Ha interessato Mahmoud Khalil, uno dei leader delle proteste che aveva ottenuto una laurea dalla Columbia lo scorso dicembre. Nato in Siria da genitori palestinesi, Khalil vive negli Stati Uniti grazie a una “green card”, un permesso di soggiorno permanente. Il governo statunitense ha detto di voler espellere Khalil dal paese e di considerarlo un pericolo per la sicurezza nazionale. Al momento però non sono state formulate delle accuse contro di lui, ma è semplicemente stato detto in modo vago che veniva arrestato per aver sostenuto Hamas. Non è chiaro se il governo federale possa revocargli la green card per questo motivo.

Un video del suo arresto, filmato dalla moglie e pubblicato dai suoi avvocati questo sabato, mostra come gli agenti dell’ICE siano andati ad arrestarlo in borghese e senza apparentemente dirgli di cosa fosse accusato. Nel video la moglie è costretta a rincorrere gli agenti in strada per farsi dire dove stavano portando Khalil. Al momento è detenuto in un carcere della Louisiana, uno stato nel sud degli Stati Uniti a oltre 2mila chilometri da New York, dove è stato trasferito senza che i suoi avvocati fossero avvisati.

– Leggi anche: L’attivista per la Palestina arrestato a New York

Khalil non è l’unico studente della Columbia su cui le autorità si sono concentrate negli ultimi giorni. Martedì la dottoranda indiana Ranjani Srinivasan è fuggita in Canada dopo aver saputo che il dipartimento per la Sicurezza interna le aveva revocato il visto una settimana prima con l’accusa di sostenere Hamas e che gli agenti dell’ICE erano già venuti nel dormitorio dove alloggiava per arrestarla. Srinivasan, che studiava negli Stati Uniti grazie alla prestigiosa borsa di studio Fulbright, ha detto al New York Times di aver «preso una decisione in fretta» dato che «l’atmosfera sembrava così instabile e pericolosa».

Diversi studenti della Columbia hanno detto di aver visto degli agenti aggirarsi nei dormitori durante questa settimana. Giovedì 13 marzo un gruppo di agenti ha condotto una perquisizione ufficiale su mandato del dipartimento della Sicurezza interna in due stanze di uno dei dormitori della Columbia. La presidente ad interim della Columbia Katrina Armstrong ha detto che non ci sono stati arresti, né oggetti sequestrati, né è stata intrapresa successivamente un’azione legale contro qualcuno. Il vice procuratore generale Todd Blanche ha detto che le perquisizioni servivano a verificare se la Columbia University ospitasse persone immigrate che si trovavano nel paese illegalmente.

Sabato è stato infine condotto un altro arresto contro la studentessa palestinese Leqaa Kordia, già arrestata ad aprile del 2024 per aver preso parte alle proteste della Columbia. Il dipartimento ha detto che il suo permesso di soggiorno per motivi di studio era scaduto nel 2022 per «mancata frequenza», ma non ha dato altre informazioni.