Cosa fu la guerra alle droghe di Rodrigo Duterte
L'ex presidente delle Filippine ordinò alla polizia di trattare con grande violenza spacciatori e persone tossicodipendenti: furono uccisi in migliaia

L’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte sarà processato dalla Corte penale internazionale dell’Aia, nei Paesi Bassi, per crimini contro l’umanità e violazione dei diritti umani. L’accusa riguarda le politiche sul contrasto al commercio illegale e all’uso di droghe che Duterte promosse nei suoi anni da presidente, tra il 2016 e il 2022: nella dura repressione che ordinò, migliaia di persone furono uccise dalla polizia o da altre persone che si sentirono legittimate a compiere atti di violenza contro i consumatori di droghe.
Secondo i dati ufficiali del governo filippino furono 6.248. Stando a stime alternative, che tengono conto delle moltissime morti di persone tossicodipendenti in circostanze poco chiare, sarebbero molte di più, anche 30mila secondo il procuratore della Corte penale internazionale.
Prima di diventare presidente delle Filippine Duterte, che oggi ha 79 anni, era stato molto a lungo il sindaco di Davao, una città di 1,5 milioni di abitanti sull’isola meridionale di Mindanao. Già allora era noto per le sue dichiarazioni incredibilmente offensive o indelicate, spesso rinnegate, e per aver ammesso di avere ucciso delle persone e di essere legato a un gruppo paramilitare che a Davao assassinava i membri della criminalità organizzata. Per questo nel 2002 un articolo sulla rivista Time lo aveva soprannominato The Punisher, “il Punitore”, come un supereroe della Marvel.
In campagna elettorale, parlando della repressione al commercio di droghe illegali, Duterte disse: «Dimenticatevi i diritti umani». In una delle sue prime dichiarazioni da presidente disse che avrebbe dato una medaglia alle persone che avessero sparato a uno spacciatore che avesse resistito all’arresto.
Durante il suo mandato alla guida del paese, Duterte portò avanti una “guerra alle droghe”, un’espressione che indica un approccio proibizionistico nei confronti delle sostanze psicoattive illegali basato sulla criminalizzazione non solo di chi le produce e le vende ma anche di chi le consuma. L’espressione esiste dal 1971, quando fu usata per la prima volta dal presidente statunitense Richard Nixon, e già nel suo caso era meno figurata di quanto si potesse pensare: per decenni i governi americani impegnarono il proprio esercito in operazioni di distruzione delle coltivazioni di marijuana, papavero da oppio e coca in molti paesi stranieri. Anche la “guerra alle droghe” di Duterte è stata concretamente molto violenta e secondo le denunce di giornali, ong e cittadini filippini ha incluso molti abusi e crimini.
Solo nei primi sei mesi di presidenza di Duterte furono uccise più di duemila persone. Quasi ogni notte le forze di polizia portavano avanti dei raid per reprimere lo spaccio e la produzione di sostanze. Secondo le dichiarazioni ufficiali le persone uccise morirono tutte durante sparatorie con le forze dell’ordine, o facendo resistenza all’arresto, ma secondo una serie di inchieste giornalistiche le cose non andarono davvero così: non tutti i morti insomma furono uccisi per legittima difesa come Duterte sosteneva. Nella pratica la repressione ordinata dal presidente implicava torture, rapimenti e uccisioni extra-giudiziarie.
Negli anni le famiglie di alcune delle persone morte in modo sospetto ne hanno fatto riesumare i corpi con l’aiuto di organizzazioni di difesa dei diritti umani, e talvolta in presenza di giornalisti di agenzie di stampa internazionali come Reuters, allo scopo di verificare le informazioni riportate sui certificati di morte. In decine di casi in cui i resti mostravano i segni di morti violente, come fori di proiettile, i documenti ufficiali parlavano di cause naturali. Tra le persone morte a causa delle violenze usate dalla polizia ci furono anche molte vittime accidentali, compresi dei bambini colpiti da proiettili per errore.
Nonostante le numerose critiche internazionali e da parte dell’opposizione interna e di alcuni giornali filippini, da presidente Duterte disse sempre di voler continuare la sua “guerra” e in più di un’occasione affermò di voler uccidere tutti i trafficanti di droghe e le persone tossicodipendenti delle Filippine, a suo dire pari a circa tre milioni.
Il recente arresto di Duterte è stato piuttosto eccezionale perché l’ex presidente filippino è il primo leader non africano a essere arrestato su mandato della Corte penale internazionale.
Nel 2018, dopo che il procuratore della Corte aveva detto che avrebbe condotto un’indagine preliminare sulle numerose uccisioni nelle Filippine, Duterte annunciò l’uscita del paese dallo Statuto di Roma, il trattato istitutivo del tribunale. Per questo dal marzo del 2019 le Filippine non sono più un territorio per cui la Corte è competente, ma continuano a esserlo per fatti commessi prima di quella data. Inizialmente l’attuale governo filippino, guidato da Ferdinand Marcos Jr. (figlio dell’ex dittatore Ferdinand E. Marcos), non aveva collaborato con la Corte. Tuttavia alla fine del 2024, dopo uno scontro tra Marcos e la vicepresidente Sara Duterte, figlia di Rodrigo, ha cambiato orientamento e ha arrestato l’ex presidente su mandato del tribunale internazionale.