Al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro non piace la riforma della Giustizia
Lo ha ammesso al Foglio criticando in particolare l'introduzione di un doppio Consiglio superiore della magistratura

In una chiacchierata confidenziale con il giornalista del Foglio Ermes Antonucci, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove ha ammesso di non condividere quasi niente della riforma costituzionale sulla giustizia voluta dal ministero in cui lavora e dal governo di cui fa parte. All’inizio di gennaio la riforma è stata approvata in prima lettura alla Camera, il primo dei quattro passaggi parlamentari previsti (due alla Camera e due al Senato) in questi casi, cioè quando si modifica la Costituzione. Ora è all’esame del Senato.
La riforma introduce un cambiamento notevole nell’ordinamento della magistratura e in particolare nella cosiddetta separazione delle carriere, cioè concorsi di ammissione diversi e diverse norme interne per i magistrati inquirenti, ovvero i pubblici ministeri che conducono le indagini, e quelli giudicanti, ovvero i giudici che emettono le sentenze.
Altre modifiche riguardano il Consiglio superiore della magistratura (CSM), cioè l’organismo di autogoverno della magistratura: la riforma sdoppia anche in questo caso le funzioni, creando un CSM per ciascuna delle due carriere, e introduce inoltre una Alta corte disciplinare, che dovrà giudicare sugli illeciti di entrambe le magistrature definendo le relative sanzioni.
Delmastro, esponente di Fratelli d’Italia, ha criticato soprattutto l’introduzione di un doppio CSM.
«C’è un rischio nel doppio Csm. O si va fino in fondo e si porta il pm sotto l’esecutivo, come avviene in tanti paesi, oppure gli si toglie il potere di impulso sulle indagini. Ma dare un Csm al pm è un errore strategico che, per eterogenesi dei fini, si rivolterà contro. Quando un pm non dovrà neanche più contrattare il suo potere con i giudici in un solo Csm e avrà un suo Csm che gli garantirà sostanzialmente tutti i privilegi, quel pm prima ancora di divorare i politici andrà a divorare i giudici, che hanno il terrore di questa roba».
Anche l’istituzione di un’Alta corte disciplinare non convince il sottosegretario. «L’unica cosa figa è il sorteggio, basta», ha detto. Il sorteggio riguarda l’elezione dei componenti del CSM. Al momento, il CSM è composto da 33 membri: 3 sono di diritto, e cioè il presidente della Repubblica che ne è il capo, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Poi ci sono 30 membri eletti. Due terzi di questi, i 20 membri cosiddetti “togati”, sono eletti dalla magistratura stessa, un terzo invece, cioè i 10 “laici” non appartenenti alla magistratura, sono eletti dal parlamento in seduta comune.
La riforma promossa dal governo prevede l’estrazione a sorte di un terzo dei membri laici da un elenco definito dal parlamento in seduta comune, e due terzi estratti a sorte tra tutti i magistrati delle rispettive funzioni (oltre 2mila pm per il CSM requirente e circa 7.500 giudici per quello giudicante). Il tutto, rispettando il numero totale dei componenti che la legge prevede (cioè, al momento, 24 membri elettivi per ciascun CSM). Il sorteggio viene ritenuto dal governo il metodo più semplice ed efficace per evitare le logiche delle correnti che stanno alla base dell’elezione attuale, e che da anni sono degenerate in pratiche clientelari e corporative, a volte peraltro illecite.
La riforma è molto contestata dai magistrati che lo scorso 27 febbraio hanno scioperato. Secondo l’associazione nazionale magistrati – l’ANM, l’ente di rappresentanza sindacale della categoria – la riforma della giustizia metterebbe a rischio «autonomia e indipendenza della magistratura».