La malattia di papa Francesco non è stata raccontata come al solito
Rispetto al passato i bollettini medici contengono molti più dettagli, con qualche problema per i giornalisti stranieri
di Francesco Gaeta

Dalla metà di febbraio, ogni mattina, sul cellulare dei giornalisti che si occupano del Vaticano appare un messaggio Telegram che parla di come papa Francesco ha passato la notte: a volte è «tranquilla», a volte è «serena», altre ancora si specifica che ha riposato.
Così inizia la giornata del papa, che dal 14 febbraio è ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per una polmonite bilaterale, e anche quella di una vasta platea di operatori dei media, che lavorano alle notizie che nelle ore seguenti verranno riprese da giornali e televisioni di tutto il mondo. È una giornata che si snoda tra due briefing alla stampa che si tengono alle 11 e alle 19:30 e sono coordinati da Matteo Bruni, direttore della sala stampa vaticana, l’ufficio che gestisce le informazioni ufficiali del Vaticano. Al centro di tutto c’è il bollettino medico, che arriva intorno alle 19.
È un documento che permette di seguire l’evoluzione delle condizioni di salute del papa e che sta segnando l’ennesima novità di questo pontificato.
A scorrere i comunicati dei medici di Francesco sorprende infatti il tecnicismo delle informazioni e al tempo stesso la crudezza del linguaggio. Si parla di «episodi di insufficienza respiratoria acuta, causati da importante accumulo di muco endobronchiale e conseguente broncospasmo», di «necessità di aspirazione di abbondanti secrezioni», di «ossigenoterapia ad alti flussi, e buona risposta agli scambi gassosi», «di un episodio di vomito con inalazione e repentino peggioramento del quadro respiratorio». Il paziente è definito «apiretico [senza febbre, ndr] e non mostra leucocitosi [aumento dei globuli bianchi, indice di infiammazione]», a volte si chiarisce che è rimasto «vigile, orientato e collaborante», altre volte si aggiungono dettagli «sulla fisioterapia respiratoria» che in certe mattinate «viene alternata alla preghiera in cappella».
È un modo inedito di informare sulla salute del papa rispetto al passato, vista la cautela e la riservatezza che da sempre avvolgono il corpo del capo della Chiesa cattolica.

Il mosaico dedicato a Francesco sul fregio della Basilica di San Paolo a Roma (AP Photo/Bernat Armangue)
A giudicare da questi bollettini, ciò che in passato era bene non vedere, perché tabù, è diventato qualcosa che è bene non nascondere. «È un linguaggio diretto e inedito» dice Valentina Alazraki, dal 1974 corrispondente dalla Santa Sede per l’emittente messicana Televisa e decana dei giornalisti vaticanisti. Lasciare parlare i medici nel modo in cui parlano i medici «è certamente una scelta dello stesso Francesco, coerente con lo stile del suo pontificato, che salta le mediazioni tipiche della Curia romana». Al di là degli organigrammi, «Francesco è stato in questi anni il portavoce di se stesso». E così come è stato lui a decidere a chi e quando dare le interviste e soprattutto cosa dire, «è lui oggi a governare la sua malattia dal punto di vista della comunicazione».
Sono stati gli stessi medici a esplicitare che è Francesco a volere che queste notizie vengano diffuse. Nella conferenza stampa che si è tenuta il 21 febbraio, e che è stata anche l’unica, il chirurgo Sergio Alfieri, responsabile dell’equipe del Gemelli che lo ha in cura, ha detto che il papa «ha sempre voluto che dicessimo la verità sulla sua salute». Ha aggiunto che «sa che la situazione è grave, è stato lui stesso a dirci che si rende conto di come sta». E dunque, fin dall’inizio del ricovero, ha manifestato «la volontà di comunicare senza nascondere niente». A chi chiedeva come mai non ci fossero foto del papa malato, e se questo non potesse essere un indizio sulle sue reali condizioni, Alfieri ha replicato: «Togliamo subito l’ombra che ci siano cose non dette. Vogliamo davvero una foto del papa in vestaglia? Rispettiamo la sua intimità e la sua privacy. Quando vorrà farsi vedere lo farà, vestito da papa».
Una foto del papa in vestaglia non sarebbe in ogni caso un tabù rotto per la prima volta. Dopo l’attentato del 13 maggio del 1981, nel quale fu colpito da due colpi di pistola sparati da Mehmet Ali Ağca, Giovanni Paolo II fu ritratto sul letto di degenza con un camice da sala operatoria. Una foto mai vista prima, né prima mai immaginabile.

La foto del papa in vestaglia (ANSA)
Qualche giorno dopo, il papa dichiarò di perdonare l’attentatore, e lo fece con una voce flebile, che mostrò a tutto il mondo la fragilità della sua condizione. Un po’ come è accaduto oggi con Francesco, che circa tre settimane dopo il ricovero ha ringraziato i fedeli che pregano per lui in un breve audio, con la voce di un uomo di 88 anni affaticato da un lungo ricovero.
Non è dunque Francesco il primo pontefice che parla da ammalato della propria malattia. In una domenica del luglio del 1992, in Piazza San Pietro, ancora Giovanni Paolo II annunciò di dovere andare in ospedale per accertamenti, e si scoprì successivamente che il motivo era un tumore benigno al colon. Fu invece tenuto nascosto, anni dopo, il Parkinson di cui soffrì nella fase finale della sua vita e che negli ultimi giorni divenne evidente: non venne mai riconosciuto come tale dal Vaticano e la cosa costò anche un incidente diplomatico al portavoce di Giovanni Paolo II, Joaquin Navarro-Valls, che era tra l’altro laureato in medicina.
Nel 1996 fu lui a parlare per primo di sindrome «extrapiramidale», cioè di un problema neurologico che sottintendeva un Parkinson. Da quel momento la Segreteria di Stato, che si può considerare una specie di presidenza del Consiglio della Città del Vaticano, decise che a parlare della salute del papa sarebbe stato soltanto il medico personale e non più il portavoce. Medico personale che nel gergo vaticano si chiama archiatra e che Francesco ha formalmente abolito come figura dirigenziale.
Quando il papa è in Vaticano, della sua salute si occupa la Divisione Sanità e Igiene che ha responsabilità su tutti i dipendenti ed è guidata da Andrea Arcangeli, che in passato ha diretto il reparto di terapia intensiva del Policlinico Gemelli. Il “medico referente del papa” in Vaticano è però un altro, Luigi Carbone, che è comparso accanto ad Alfieri nella conferenza stampa del 21 febbraio. Un altro ruolo di rilievo ce l’ha l’infermiere personale di Francesco, Massimiliano Strappetti, che per anni ha lavorato al Policlinico Gemelli in terapia intensiva ed è stato citato (ed elogiato) dai due medici. Nella stessa occasione, Alfieri ha reso noti i nomi e i cognomi di tutti gli altri specialisti che in questo momento e nel recente passato si sono occupati della salute di Francesco. I giornalisti oggi li conoscono, sanno le loro qualifiche e le loro funzioni all’interno dello staff, ma da allora i medici di fatto sono scomparsi: con loro non si hanno contatti diretti né possibilità di interviste, perché parlano solo attraverso i bollettini che la sala stampa diffonde.
Il fatto che per sua stessa volontà il papa sia diventato un malato comune, diciamo così, e che a «dire tutta la verità» siano bollettini sanitari piuttosto ricchi di dettagli comporta per i giornalisti stranieri un problema che ha a che fare con la terminologia medica.

Piazza San Pietro il 24 febbraio 2025 (AP Photo/Bernat Armangue)
Joan Lewis è dal 2005 corrispondente dal Vaticano per la rete TV statunitense EWTN, e in precedenza era stata collaboratrice di Navarro-Valls all’agenzia di stampa Vatican Information Service. Dice che «termini molto tecnici come “ventilazione meccanica” possono assumere coloriture differenti nelle diverse lingue. Sarebbe opportuno tradurre i comunicati stampa almeno in inglese in modo da evitare fraintendimenti. Nessuno di noi è medico, e nessuno lo è nello staff della comunicazione».
Da quando il Papa si è ammalato, il numero di giornalisti accreditati in Vaticano, quelli che cioè il Vaticano riconosce e ammette agli eventi ufficiali, è salito a 700, cifra che però comprende anche cameramen e tecnici delle televisioni. È in ogni caso un numero tre volte superiore a chi è accreditato in modo permanente, cioè lavora stabilmente come corrispondente dal Vaticano e aderisce all’AIGAV, l’Associazione internazionale dei giornalisti accreditati in Vaticano. Il quartier generale di tutti è in via della Conciliazione 54, dove ha sede la sala stampa vaticana. La maggioranza delle televisioni staziona invece al Policlinico Gemelli, da dove avvengono i collegamenti.
La sala stampa è coordinata da Matteo Bruni, che in passato si è occupato dei viaggi all’estero del papa. L’ufficio fa parte del Dicastero della comunicazione, creato nel 2015 per coordinare tutta l’informazione vaticana e che è diretto da due esperti giornalisti: Paolo Ruffini, che ha un passato da direttore di testate e di rete in Rai e La7, e Andrea Tornielli, che è stato vaticanista del quotidiano La Stampa. A loro si riferiscono le testate di proprietà del Vaticano – che contano circa 240 giornalisti divisi tra la Radio Vaticana, il Centro Televisivo, il servizio fotografico, i siti Vatican.va e Vatican News e L’Osservatore Romano – e la sala stampa, che ha il compito di gestire la comunicazione destinata ai giornalisti esterni.
I due briefing quotidiani che si svolgono in via della Conciliazione prevedono che al bollettino dei medici si aggiungano notizie di carattere non sanitario che Bruni fornisce ai giornalisti attribuendole a generiche “fonti vaticane”. Sono informazioni che spesso riguardano la giornata del papa, gli incontri che ha avuto e perfino il suo umore, dunque cose non particolarmente riservate.
Che il Vaticano fornisca notizie interne attribuendole a non specificate “fonti vaticane” significa adottare una formula inedita, ma in qualche modo contraddittoria. Consente a chi deve fare informazione di avere elementi in più, e permette a chi li fornisce di limitare i retroscena e assicurare un maggior grado di trasparenza. D’altra parte, è una formula che non chiarisce davvero da chi provenga la notizia: sebbene arrivi dallo stesso campo di chi la emette o la conferma in via ufficiale, nessuno se ne assume direttamente la responsabilità.
In Italia è una prassi abbastanza abituale nel giornalismo di altri ambiti, per esempio la politica. Ma tra i giornalisti di tradizione angloamericana, abituati a citare la fonte se si può (in questo caso si dice “aperta”) o a conoscerne comunque l’identità se è riservata, c’è chi si è lamentato di questa soluzione. Per altri giornalisti, invece, è un modo per assicurare comunque maggiore trasparenza, e per quanto a suo modo irrituale è una «innovazione positiva».
Secondo Javier Martinez-Brocal, vaticanista per il quotidiano spagnolo ABC e per l’emittente televisiva La Sexta, «questi dettagli sono utili elementi di contorno a cui tutti possono avere accesso in modo paritario. È una scelta conforme allo spirito di questo pontificato, che vuole rendere più familiare e vicina a tutti la persona del papa. In un periodo di emergenza come questo, la sala stampa non chiude più alle 15, come avveniva in passato, ma resta aperta fino a tardi e questo è un altro dato positivo».
Per Martinez-Brocal, comunicare la degenza del papa in questo modo «è un pezzo della “riforma” di Francesco. Anche in questa malattia è lui a governare la comunicazione».
Essere trasparenti, siano “aperte” o riservate le fonti di cui si serve, non significa che la Curia stia rinunciando in questi giorni a fare da filtro o a rettificare indiscrezioni che possono essere lette in modo poco desiderabile per la Santa Sede. Il 21 febbraio, quando Francesco era ricoverato da una settimana e le sue condizioni sembravano più precarie di oggi, la sala stampa ha smentito «le notizie diffuse da Rai News 24 poco dopo le ore 15» relative a «un incontro di ieri tra il Santo Padre e i cardinali Gianfranco Ghirlanda e Pietro Parolin». Parolin è il Segretario di Stato, di fatto la carica più importante nelle gerarchie vaticane dopo il pontefice; Ghirlanda è un gesuita, un vecchio e fidato amico di Francesco. Un incontro come quello avrebbe potuto essere interpretato come il segnale di un peggioramento delle condizioni del papa e quasi come un passaggio di consegne in prossimità della fine. Ma è stato, appunto, smentito.