Quest’anno il granchio blu si è svegliato prima

Milioni di piccoli stanno già invadendo le lagune dell’Adriatico, mentre si discute di quale sia il predatore migliore per contenerli

di Isaia Invernizzi

Un granchio blu
Un granchio blu (Valentina Lovato/Il Post)
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In una delle reti posizionate all’imbocco delle valli di Comacchio, una grande area “umida” protetta, ci sono piccole anguille ai primi stadi di crescita, ma anche cefali, gamberi, qualche pesce ago e soprattutto moltissimi granchi blu. Sono troppi per questo periodo dell’anno. Piccoli, eppure già vispi. Pinzano qualsiasi cosa si trovino di fronte, anche le dita dei ricercatori dell’università di Ferrara impegnati in uno studio sulle anguille. «Maledetti, distruggono tutto», dice uno dei ricercatori mentre tenta di scrollarsi un granchio dalla mano. Se in una piccola rete se ne sono accumulati quasi trecento in due giorni, significa che nelle lagune dell’Emilia-Romagna e del Veneto saranno a milioni, presto affamati.

Dall’estate del 2023, quando la proliferazione del granchio blu attirò molta attenzione mediatica, le cose non sono molto cambiate. I granchi hanno continuato a riprodursi a ritmi molto alti e a mangiare vongole e cozze negli allevamenti. Ora se ne parla di meno solo perché è rimasto poco da distruggere. Le associazioni che rappresentano i pescatori hanno stimato che abbiano causato danni per circa 200 milioni di euro su un comparto che in tutta l’Italia ha un valore di 500 milioni di euro all’anno. Nelle valli di Comacchio, nella sacca di Goro, sul delta del Po e nelle lagune venete la maggior parte degli allevatori di molluschi ha perso il lavoro.

I ricercatori dell’università di Ferrara si erano già accorti della riproduzione anomala tra il 2018 e il 2019. All’epoca anche i pescatori iniziavano a lamentarsi di trovarne troppi nelle reti. Il granchio blu è una specie alloctona, cioè che in Europa e in Italia non esisteva fino a circa la metà del Novecento, quando ci furono i primi avvistamenti. La teoria più diffusa è che siano arrivati nei mari europei trasportati nelle acque di zavorra delle navi, quelle che vengono prima immagazzinate per stabilizzare i carichi e poi rilasciate nei porti, dopo aver scaricato la merce.

Non si è ancora capito come mai nel 2022 il numero di granchi sia iniziato a crescere in modo esponenziale. Tra le cause, dicono gli esperti, potrebbe esserci la grave siccità di quell’estate: il Po aveva poca acqua e il mare iniziò a risalire il corso del fiume portando molti granchi in aree perfette per la loro riproduzione. Le piene causate dalle alluvioni del 2023 avrebbero poi riversato milioni di piccoli nelle lagune, là dove vengono allevate vongole e cozze di cui si cibano con grande voracità.

A una guardia del parco del delta del Po basta affondare un retino in una stazione di pesca nota come “foce” per pescare alcuni granchi al primo colpo. Visti da così vicino sembrano macchine perfette. Veloci, forti e apparentemente indistruttibili. Le femmine possono deporre fino a 8 milioni di uova, hanno l’addome più arrotondato e le punte delle chele arancioni, i maschi tutte blu. Le corazze sono protette da spuntoni che distruggono le reti, e due pinnette posteriori li aiutano a spostarsi velocemente nell’acqua. «Soccia [un’esclamazione volgare in dialetto, ndr] se spinge», dice Mattia Lanzoni, ricercatore di scienze dell’ambiente e prevenzione dell’università di Ferrara, mentre afferra le chele di una femmina nemmeno tra le più grandi.

Una guardia del parco del Delta del Po alla stazione di pesca "foce"

Una guardia del parco del delta del Po alla stazione di pesca “foce” (Valentina Lovato/Il Post)

Non sono tanto i granchi adulti a spaventare i ricercatori. I più temuti sono i piccoli, che quest’anno si sono svegliati prima del solito. Solitamente il granchio blu va in letargo nei mesi invernali, quando la temperatura dell’acqua scende sotto i 10 gradi, e si risveglia intorno alla metà di marzo. «Sono in anticipo di almeno 20 giorni rispetto all’anno scorso, e circa il 20 per cento in più», dice Lanzoni. «Abbiamo visto i primi piccoli già verso la fine di febbraio. Adesso si sono svegliati anche quelli più grandi». Tutto questo significa solo una cosa: che nel 2025 la pressione dei granchi sull’ecosistema delle lagune sarà anticipata di un mese, con possibile allungamento del periodo in cui rimarranno attivi. Mangiando tantissimo.

Gli allevatori di molluschi e i pescatori si aspettavano tutt’altro tipo di notizie. Rimarranno delusi. In un giorno del luglio dello scorso anno arrivarono a pescarne 17 tonnellate. Quasi 17mila granchi adulti in 24 ore. Finora la pesca è stato uno dei due modi un po’ improvvisati scelti per far fronte a questo problema. L’altro è proteggere gli allevamenti con reti più resistenti. Sono stati entrambi metodi inefficaci perché per ogni granchio che viene pescato ce ne sono molti altri pronti a mangiare per crescere.

La pesca è faticosa e frustrante, oltre che poco redditizia. Il governo ha cercato di incentivare il consumo del granchio blu, che in alcuni paesi come gli Stati Uniti è ricercato e prelibato, ma in Italia non c’è così tanta richiesta. In Veneto stanno provando a produrre biogas dalla fermentazione dei granchi in decomposizione. Chiunque proponga qualche idea per liberarsene, anche all’apparenza bizzarra, viene ascoltato con attenzione.

Il commissario straordinario nominato dal governo, Enrico Caterino, ex prefetto di Rovigo e Ravenna, finora si è mosso soprattutto per sostenere economicamente gli allevatori in crisi. Tra le misure proposte lo scorso gennaio c’è la progettazione di nuovi attrezzi per la cattura dei granchi, la costruzione di strutture per proteggere le lagune, altri soldi per ripristinare gli allevamenti di vongole e cozze. In totale il governo ci ha messo 10 milioni di euro. Per ridurre l’impatto di questa massiccia proliferazione serve altro, però.

Nell’ultimo anno e mezzo si è discusso della possibilità di sfruttare i predatori dei granchi per contenerli. L’introduzione di altri animali alloctoni è un rischio, per cui si sta valutando di aumentare la popolazione di specie già presenti nelle lagune. Sulla scelta della specie migliore si è aperto un dibattito. La scorsa settimana l’università di Bologna ha proposto di aumentare la presenza di polpi. Il progetto è stato chiamato “octo-blu”. Durante gli studi in laboratorio sulla riproduzione del granchio, i ricercatori del dipartimento di scienze mediche veterinarie si sono accorti che i polpi sono ghiotti di piccoli di granchi. L’idea è stata sostenuta dalla Regione Emilia-Romagna, che ha stanziato circa 130mila euro per portarla avanti.

Giuseppe Castaldelli, professore di scienze dell’ambiente e della prevenzione dell’università di Ferrara, la pensa in modo diverso, e con lui alcuni pescatori delle valli di Comacchio. Castaldelli sostiene che il polpo possa dare una mano nelle zone più vicine al mare, mentre nelle lagune potrà incidere poco per via della bassa salinità dell’acqua. Lo ha detto chiaramente durante una trasmissione di approfondimento di Telestense: «La maggior parte dei granchi sta nelle lagune dove la salinità è sotto il 20 per mille (20 grammi per ogni chilo di acqua) e in alcuni periodi raggiunge i 10 per mille. Il polpo sotto i 20 per mille muore, tra i 20 e i 30 per mille non si alimenta e cerca di andare da un’altra parte. In laguna il polpo non c’è mai stato, basta chiedere a qualsiasi pescatore».

Secondo Castaldelli è invece il branzino la specie migliore per contenere i granchi. Finora i branzini non sono riusciti a mangiarne abbastanza perché sono troppo pochi. D’altronde non ci sono molte regole o divieti sulla loro pesca: in alcune zone questi pesci vengono pescati molto giovani, perfino durante i periodi di riproduzione. Castaldelli ha proposto di introdurre nuove regole come il divieto di pescare con maglie troppo strette, pescando quindi solo gli adulti, e limitando la pesca ad alcuni periodi dell’anno. In questo modo tra un anno nelle lagune ci sarebbero molti più branzini che potrebbero mangiarsi i piccoli dei granchi blu.