Breve guida ai Waterboys
La band britannica di Mike Scott, famosa per “The Whole of the Moon” e altre grandi canzoni, suonerà il 4 luglio a Peccioli nel primo dei due concerti della newsletter “Le Canzoni”

Venerdì 4 luglio la band britannica dei Waterboys suonerà a Peccioli, in Toscana, aprendo il weekend Le Canzoni organizzato dal Post in collaborazione con il più esteso festival 11 Lune. Dopo due felici esperimenti di organizzazione di concerti delle estati passate, nati a partire dal sèguito della newsletter con lo stesso nome curata dal tuttora direttore del Post Luca Sofri, l’arricchimento del programma ci ha convinti a chiamare così tutto l’evento, che prevede anche il concerto di Vasco Brondi sabato 5 luglio, e una serie di incontri con la redazione del Post che saranno annunciati nelle prossime settimane.
I Waterboys hanno un fedele pubblico di fan e appassionati, ed erano stati la band più richiesta tra le proposte dei lettori della newsletter nei mesi passati. Ma già nelle due edizioni passate il weekend a Peccioli è stato anche un’occasione di vedersi con abbonati e abbonate del Post, lettrici e lettori, venuti con curiosità anche senza conoscere bene le band presenti (Glen Hansard, i Divine Comedy e i Deacon Blue) e ripartiti soddisfatti. Quindi ecco un po’ di informazioni sui Waterboys per arrivare preparati, anche chi non ne avesse seguito la lunga carriera.
Intanto abbiamo detto “band britannica”, e c’è qualcosa di impreciso in entrambe le parole. La band si chiama Waterboys, ma per tutta la sua storia è stata il progetto di Mike Scott, con musicisti più stabili in una prima fase e poi con molto ricambio: l’autore delle canzoni e leader con qualunque formazione è lui, che oggi ha 66 anni. E Mike Scott è scozzese, nato a Edimburgo, ma i musicisti della band nel suo primo decennio (tra il 1983 e il 1993) erano nati in Galles, Irlanda, Scozia e Inghilterra, e si erano conosciuti a Londra. E lo stesso Scott vive da molti anni a Dublino. Varietà geografiche che si riflettono nella musica della band, che ha attinto molto a tradizioni e suoni scozzesi e irlandesi, adattandoli agli sviluppi del rock inglese dei passati decenni, e a curiosità piuttosto eclettiche che hanno reso i dischi dei Waterboys spesso sensibilmente diversi l’uno dall’altro.
Ma andiamo nel concreto con qualche esempio: la canzone di maggior successo dei Waterboys è The Whole of the Moon, che uscì nel 1985, ma andò forte soprattutto quando fu ripubblicata qualche anno dopo, e arrivò al terzo posto della classifica del Regno Unito. Contiene un verso tra i loro più efficaci: “io vedevo la mezzaluna, tu la luna tutta intera”.
È una delle canzoni più esemplari del periodo iniziale della band che è chiamato “The Big Music”, dal titolo di una loro canzone precedente, per via del suono molto ricco di quei dischi: tante chitarre, tanto piano, tanta batteria, e altri strumenti ancora, e un risultato che influenzò molte band di quel periodo e successive, e che portò a paragoni con gli U2 e con Van Morrison.
Di quel periodo sono anche This Is the Sea, l’appassionata e antistalinista Red Army Blues, e anche un’altra canzone molto amata dai fan e trascinante nei concerti, Church Not Made with Hands, una delle tante con inclinazioni tra il bucolico e lo spirituale nei testi. E Gala, lungo pezzo nel primo disco della band con una festa di pianoforti.
Ma la canzone che può essere più familiare al pubblico italiano che non conosca i Waterboys era nell’ultimo disco del primo decennio della band, prima che Scott si mettesse in proprio a pubblicare alcuni dischi col suo nome: semplicemente perché Glastonbury Song ebbe una certa popolarità da noi nella sua traduzione italiana.
Prima però c’era stata un’altra fase storica e molto amata di dischi della band, quella che aveva limitato il suono più rock e aveva attinto al folk e ai suoni irlandesi e scozzesi, con grande impiego di archi, e alla musica americana. Alla fine degli anni Ottanta Scott iniziò a stare più frequentemente in Irlanda. Tra le canzoni più belle e famose di quel genere ci sono How Long Will I Love You, And a Bang on the Ear e Fisherman’s Blues.
Nel 1993, dopo il successo di una raccolta che arrivò al secondo posto nella classifica britannica, Scott sciolse la band, da cui negli ultimi anni se ne erano andati i membri più stabili e che intanto aveva arruolato nuovi musicisti irlandesi. Fece un paio di dischi a suo nome, e se volete una bella canzone romantica quella è She Is so Beautiful: ma nel 2000 ricostruì una band ridandole il nome di Waterboys. Negli anni successivi pubblicarono dischi che alternarono le due tendenze precedenti, quella più rock e robusta e quella più folk e acustica, aggiungendo spesso fiati soul, ma anche progetti più creativi ancora, come un assiduo lavoro sulle poesie di William Butler Yeats. E coinvolgendo ogni volta musicisti nuovi assieme ad altri già “nella grande famiglia dei Waterboys”. Everybody Takes a Tumble è del 2007.
Nell’ultimo decennio Scott ha continuato ad attingere a riferimenti letterari e musicali diversi. November Tale è del 2015.
Nel 2019 invece pubblicarono un disco con momenti dance e persino hip hop, ma che si concludeva con una lunga lettura da parte di Mike Scott di un classico della letteratura per ragazzi inglese su una base di pianoforte ipnotica, a cui si aggiungono un po’ alla volta altri suoni.
Il 4 aprile uscirà il nuovo disco dei Waterboys, un “concept album” dedicato alla vita dell’attore Dennis Hopper, a cui partecipano diversi ospiti, tra i quali Bruce Springsteen. Sono già uscite tre canzoni, l’ultima delle quali è questa, col cantautore americano Taylor Goldsmith.
I biglietti per il concerto dei Waterboys a Peccioli il 4 luglio
Le canzoni dei Waterboys raccontate nella newsletter Le Canzoni:
– Piper at the gates of dawn
– The whole of the moon
– The thrill is gone