La più importante corsa di cani da slitta ha i giorni contati?
L'Iditarod continua a spostarsi a nord in cerca della neve, che ormai scarseggia anche in Alaska, ed è sempre più criticata per maltrattamenti animali

In questi giorni in Alaska si sta tenendo l’Iditarod trail sled dog race, una gara di cani da slitta molto seguita ma la cui organizzazione sta diventando sempre più complicata per ragioni ambientali, economiche ed etiche. Secondo Ashley Keith, che nel 2003 ha cominciato a lavorare come volontaria all’Iditarod e ha documentato le dure condizioni a cui sono sottoposti i cani, la corsa avrebbe «i giorni contati». Quest’anno il percorso è stato deviato: non si gareggia più tra Anchorage e Nome, ma tra Fairbanks e Nome, su una strada più lunga e impervia. Non è la prima volta che il percorso viene deviato negli oltre cinquant’anni di storia (la prima edizione fu nel 1973), ma la corsa non era mai passata così a nord.
Le temperature molto più elevate del solito e la conseguente assenza di neve hanno determinato lo spostamento della partenza a Fairbanks, una cittadina circa 500 chilometri più a nord di Anchorage e vicina al Circolo Polare Artico. Già un paio di anni fa si decise di partire da Willow, poco sopra Anchorage, per evitare che i cani si trovassero a correre sull’asfalto. Come molte altre competizioni invernali, insomma, anche l’Iditarod sta facendo i conti con la crisi climatica.
L’agenzia per la Protezione ambientale degli Stati Uniti ha stabilito che dal periodo in cui è cominciata l’Iditarod, quindi all’inizio degli anni Settanta, la temperatura media globale è aumentata di poco meno di 1 °C, mentre la temperatura media in Alaska di circa 1,3 °C. Secondo l’Osservatorio della NASA, negli scorsi dicembre e gennaio la temperatura in Alaska era tra i 3 e i 6 °C più alta della media. A febbraio, nella prima parte dell’abituale percorso non ha mai nevicato; fuori dall’ufficio del National Weather Service di Anchorage tra il 1998 e il 2024 c’erano in media 33 centimetri di neve il 29 gennaio: quest’anno non ce n’era, e infatti la cerimonia di apertura, che si è tenuta comunque ad Anchorage, è stata accorciata di molto.
Il Wall Street Journal ha raccontato che lo spostamento della gara è stato un lavoraccio: in pochi giorni gli organizzatori hanno dovuto tracciare un percorso quasi totalmente nuovo, considerando che la strada attuale si ricongiunge con quella abituale solo verso la fine. Questo non ha significato solo disegnare una strada che collegasse Fairbanks e Nome (con 1.815 chilometri è l’Iditarod più lunga di sempre, peraltro), ma anche creare molti nuovi punti di assistenza per i musher, cioè quelli che conducono la slitta, e i cani; di solito sono dodici o quattordici per slitta, e al traguardo finale devono arrivare almeno in cinque.
All’edizione di quest’anno, che è cominciata il primo marzo, partecipano solamente 33 squadre, il numero più basso a pari merito con il 2023. In generale i partecipanti sono da anni in diminuzione: nel 2016 c’erano 86 squadre, nel 2019 sono scese a 52, nel 2022 a 49, fino ai 33 del 2023 e del 2025 (lo scorso anno furono 38). Una delle principali ragioni di questo calo, ricostruite da Alaska Public Media che ha sentito alcuni conducenti di slitta, sarebbe l’aumento dei costi, non solo di iscrizione (oltre 3.500 euro), ma anche di gestione: la manutenzione della slitta, le cure veterinarie per i cani, le provviste necessarie per un viaggio di quindici giorni.
Allo stesso tempo, mentre i costi aumentavano, sono diminuiti i premi: nel 2016 il musher statunitense Dallas Seavey vincendo l’Iditarod si portò a casa poco meno di settantamila euro; l’anno scorso, con la sua sesta vittoria nella competizione, ne ha guadagnati poco più di cinquantamila. Soprattutto, sono diminuiti gli sponsor: un tempo l’evento, che porta avanti una tradizione molto antica in Alaska (oggi soppiantata in buona parte dall’utilizzo della motoslitta), era seguito e sostenuto da grossi brand come Coca-Cola, Alaska Airlines ed ExxonMobil, che oggi invece hanno smesso di finanziarlo, probabilmente anche per le controversie etiche legate alla corsa.
Da anni infatti gruppi animalisti ne chiedono la cancellazione, perché la giudicano molto faticosa e dannosa per la salute dei cani. L’organizzazione PETA (Persone per il trattamento etico degli animali) ha scritto che nella storia dell’Iditarod sono morti oltre 150 cani, mentre gli organizzatori non hanno mai pubblicato cifre ufficiali in merito; solamente lo scorso anno lungo il percorso morirono tre cani e oltre 200 furono ritirati per gli infortuni o la stanchezza. Quest’anno per il momento ne è morto uno, una cagna di quattro anni di nome Ventana, e sempre secondo PETA gli organizzatori hanno cercato di nascondere un incidente che ha avuto un cane, collassato lungo il percorso per la troppa fatica.

Una muta di cani a Willow, in Alaska, durante l’Iditarod del 2020 (Lance King/Getty Images)
Chi organizza l’Iditarod, d’altro canto, dice di accudire con attenzione i cani partecipanti prima, durante e dopo la corsa; in ogni punto di assistenza sono presenti alcuni veterinari. Secondo gli organizzatori la gara è importante anche per sviluppare nuovi metodi di cura e per preservare una tradizione culturale molto radicata nelle regioni artiche. Uno dei musher interpellati da Alaska Public Media, inoltre, ha detto di aver deciso di rinunciare a questa edizione della corsa perché, a causa dell’assenza di neve, non era riuscito a far allenare i suoi cani; correndo su superfici non abbastanza soffici i rischi di infortuni e problemi alle zampe sono ancora più seri.
Nel 1978 un giornalista inglese, Ian Wooldridge, fu inviato in Alaska a seguire l’Iditarod e in un reportage che scrisse per il Daily Mail la definì the last great race on Earth, l’ultima grande corsa sulla Terra, appellativo con cui da quel momento gli stessi organizzatori hanno cominciato a chiamare la corsa. Tra la crisi climatica, le istanze degli animalisti e una generale perdita di interesse, tuttavia, è plausibile che queste saranno le ultime edizioni dell’ultima grande corsa.
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