Quattro giorni di rivolte e massacri di civili in Siria
Sono avvenuti nell'ovest del paese, dove i legami con l'ex dittatore Bashar al Assad sono più forti

Negli ultimi quattro giorni nella provincia di Latakia, nell’ovest della Siria, ci sono state rivolte della popolazione contro le forze di sicurezza e il nuovo governo siriano di transizione, quello guidato dai gruppi che hanno rovesciato il regime del dittatore Bashar al Assad, a cui sono seguiti massacri di civili. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione con sede nel Regno Unito che da molti anni segue quello che succede in Siria, tra giovedì e lunedì mattina sono stati uccisi 973 civili e oltre 300 tra miliziani fedeli ad Assad e membri delle forze di sicurezza governative.
Lunedì pomeriggio il ministero della Difesa siriano ha detto che l’operazione militare nella provincia è terminata, ma non si hanno molte notizie su quello che effettivamente sta accadendo nell’area, né quale sia la reale situazione, dato che tutta la zona è stata chiusa ai giornalisti. Si tratta comunque della crisi più grave affrontata finora dal nuovo governo di Ahmed al Sharaa (che prima si faceva chiamare Abu Mohammed al Jolani ed era capo del gruppo Hayat Tahrir al Sham).
Gli scontri erano cominciati giovedì a Jable, nella provincia di Latakia, quando un gruppo di uomini armati fedeli ad Assad aveva fatto un’imboscata alle forze di sicurezza, uccidendo 16 persone. Da lì si sono estesi ad altre città della zona, che durante i quasi 15 anni di guerra civile nel paese è sempre rimasta molto vicina ad Assad. Nella regione si concentra infatti gran parte della comunità alawita, una setta religiosa di cui fanno parte sia Assad sia quasi tutti i suoi collaboratori più fedeli, a cui complessivamente appartiene il 10 per cento circa della popolazione della Siria.
Il governo ha inviato uomini e mezzi, che sono stati accusati di commettere violenze e uccidere non solo miliziani rivoltosi, ma anche civili alawiti. Online circolano video molto cruenti di uccisioni indiscriminate, e secondo diverse testimonianze sia i fedeli ad Assad sia le forze di sicurezza del governo hanno compiuto attacchi contro ospedali e altri edifici civili.

Il fumo si alza da una fabbrica nella periferia di Latakia, venerdì 7 marzo (AP Photo/Omar Albam)
Venerdì sera al Shara ha chiesto alle sue forze di sicurezza di evitare attacchi contro i civili: «Quando compromettiamo la nostra etica ci mettiamo allo stesso livello dei nostri nemici. Quello che resta del vecchio regime sta cercando una provocazione che porti a violazioni dietro le quali possono nascondersi».
La Siria è un miscuglio di etnie e religioni, tra arabi e curdi, musulmani sunniti e sciiti, cristiani, alawiti, drusi e altri ancora. Dopo aver rovesciato il regime di Assad, Hts, il gruppo di ribelli di cui faceva parte al Shara, aveva pubblicato un editto per garantire alle minoranze religiose che le loro vite, proprietà e libertà di culto sarebbero state preservate. Era stato interpretato come un modo per rassicurare soprattutto la comunità alawita, ma le violenze di questi giorni stanno mostrando quanto ancora sia problematica la convivenza.
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Dall’inizio degli scontri il governo ha chiuso le strade che portano dalla capitale Damasco verso l’ovest del paese, e ha messo in piedi dei checkpoint per controllare il traffico da e per Tartus, sulla costa. Nel fine settimana le lezioni scolastiche in tutta la regione sono state sospese e molti negozi e attività commerciali sono rimasti chiusi mentre gli abitanti si rifugiavano in casa o, se possibile, cercavano di scappare.
Ghaith Moustafa è un residente di Baniyas, una città costiera tra Latakia e Tartus. Ha detto al New York Times di aver passato venerdì e sabato nascosto insieme alla moglie e al figlio di due mesi dietro alla porta d’ingresso della loro casa, l’unico posto lontano dalle finestre. Sabato pomeriggio, non appena gli spari e i combattimenti sembravano essersi fermati, la famiglia è uscita per raggiungere degli amici che vivevano in un quartiere dove gli scontri erano meno intensi: nel tragitto Moustafa ha detto di aver visto molti corpi per strada, macchie di sangue, vetrine rotte e negozi saccheggiati.

Membri delle forze di sicurezza governative nella periferia di Latakia, il 7 marzo (AP Photo/Omar Albam)
Wala, una donna di al-Haffa, un’altra città della regione, ha raccontato di aver sentito i primi spari nel tardo pomeriggio di venerdì: guardando fuori dalla finestra della sua casa ha visto decine di persone fuggire inseguite da quattro uomini in divisa, che poi hanno iniziato a sparare contro la folla. Poco dopo alcuni uomini hanno buttato giù la porta di casa sua, chiedendole di aprire la cassaforte per consegnare loro dei gioielli.
Ci sono state testimonianze di violenze anche ad al Qabu, vicino a Homs: «Vicino alla nostra casa ci sono 15 corpi, e nessuno ha il coraggio di spostarli», ha detto un residente al Wall Street Journal.
Domenica, in un discorso pronunciato da una moschea di Damasco, al Shara ha detto che il governo deve «tutelare l’unità nazionale e la pace civile», e ha aggiunto che sarà formata una commissione d’inchiesta per indagare sugli abusi e perseguire i responsabili, «senza indulgenza». Secondo una fonte interna alle forze di sicurezza siriane, sentita da Reuters e rimasta anonima, fino a poche ore fa i combattimenti si stavano concentrando nelle zone montuose dell’entroterra, dove sarebbero nascosti migliaia di miliziani fedeli ad Assad.
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