Le tre vite di Robert Pattinson
Il protagonista del nuovo film di Bong Joon-ho le ha provate un po' tutte per liberarsi del vampiro di Twilight, e ci è riuscito

A 38 anni l’attore Robert Pattinson ha già avuto tre carriere diverse e, stando a quel che dice lui, una quarta potrebbe star per iniziare. È stato attore protagonista in una delle saghe cinematografiche di maggiore incasso dei suoi anni, raggiungendo immediatamente una fama mondiale; poi uno dei più importanti attori per il cinema d’autore americano, lavorando sia con i grandi nomi sia con quelli che lo sarebbero diventati (e quindi contribuendo alla loro ascesa); ed è diventato, ora, uno degli attori più pagati del mondo nei blockbuster d’autore, come sancito da Mickey 17, il primo film che il regista sudcoreano Bong Joon-ho ha girato dopo il grande successo di Parasite e che è uscito in Italia questa settimana.
Mickey 17 è una storia di fantascienza pienamente in stile Bong Joon-ho: parla di differenze di classe e di ricchi che sfruttano i più poveri e svantaggiati come oggetti. Robert Pattinson, Mickey, è il protagonista, un uomo caratterizzato da una stupidità ingenua e a tratti innocua. Mickey firma senza leggerlo un accordo che lo vincola a essere “sacrificabile”, ovvero una persona che in una spedizione di colonizzazione di un altro pianeta può essere usata per compiti pericolosi, perché ogni volta che muore viene “ristampato” da un macchinario. È un ruolo semplice o addirittura banale sulla carta, che diventa complesso proprio per come è interpretato.
Pattinson appartiene a quella categoria di attori che non hanno sempre voluto fare gli attori. È britannico: inizialmente aveva cominciato lavorando dietro le quinte dei musical del West End fino a quando non ha fatto un provino come ballerino per lo spettacolo Bulli e pupe. La sua esperienza teatrale ha incluso ruoli in classici, come Macbeth, e musical come Anything Goes. Nel 2004, a 18 anni, il suo agente lo convinse a fare un provino per Harry Potter e il calice di fuoco. La saga di Harry Potter è durata dieci anni e ha impiegato quasi esclusivamente attori britannici, confermandone o lanciandone moltissimi, tra cui lui. In quel film Pattinson interpretava Cedric Diggory, uno studente della scuola di Hogwarts, che ha un ruolo cruciale nel finale.
Già in quel ruolo erano evidenti le caratteristiche chiave dello stile di Pattinson, a partire dalla grande economia di movimenti: per interpretare il suo personaggio non doveva esagerare con le espressioni ma puntare più che altro su piccoli gesti, trovando l’intensità più nello sguardo che nel linguaggio del corpo. Quattro anni dopo ha vinto il provino per interpretare Edward Cullen, protagonista del primo adattamento della serie di romanzi bestseller Twilight di Stephenie Meyer. Sono storie di vampiri moderni molto sentimentali e Pattinson ottenne il ruolo battendo 3mila candidati. Fu una buona scelta. Con lui e Kristen Stewart il film ebbe enorme successo e ne uscirono altri quattro dopo. È nato qui il mito di Pattinson come pessimo attore.
Arrivò infatti a quel ruolo con una scarsa esperienza nella recitazione per il cinema. Inoltre non si tratta di un ruolo che richiede una recitazione particolarmente sofisticata e alcuni di quei film furono realizzati piuttosto in fretta e con poca cura, per approfittare del grande successo dei libri. Il risultato fu che pochi si accorsero che lui e Stewart erano tra gli attori più interessanti della loro generazione. Come spesso avviene il grande successo che ebbe con quel ruolo lo legò nell’immaginario collettivo ad altri personaggi simili: melodrammatici, sofferenti, intimi e introversi. E sia durante gli anni della saga sia subito dopo erano queste le parti che gli venivano proposte.
Fu il ragazzo problematico ma sensibile nel dramma romantico Remember Me; l’ex veterinario che si unisce a un circo e si innamora della moglie del temibile impresario (interpretato da Christoph Waltz) in Come l’acqua per gli elefanti; l’amante romantico con il doppio fine della scalata sociale in un adattamento di Bel Ami.
Nel 2012 la saga di Twilight finì e Pattinson si trovò a decidere se continuare con la sua carriera da James Dean (come la raccontavano i giornali e le riviste) o intraprendere un altro percorso. Nonostante il suo nome fosse già di richiamo non riceveva offerte per grandi ruoli nei film di prestigio come avrebbe desiderato. Twilight l’aveva reso famoso ma non gli aveva dato credibilità. Quindi fece ciò che spesso si fa nel cinema americano quando si vuole guadagnare credibilità: iniziò a lavorare con il cinema indipendente.
In quel settore i film sono meno visti ma anche più audaci. Nonostante, come detto, la sua credibilità fosse ancora bassa, nel circuito indipendente la sua riconoscibilità e il pubblico che era in grado di attrarre rappresentavano un grande valore aggiunto. Fu così che arrivò il primo cambio di carriera: proprio nell’anno in cui uscì l’ultimo film di Twilight, fu protagonista di Cosmopolis, uno dei film più ermetici e meno commerciali di David Cronenberg, tratto dal romanzo omonimo di Don DeLillo. Raccontava la storia di un giovane miliardario che esce in limousine per andare a farsi un taglio di capelli e, lungo il tragitto, vive una serie di esperienze che smontano tutte le sue convinzioni. Il ruolo era perfetto per Pattinson: un personaggio da osservatore, che per la maggior parte del tempo guarda e reagisce. Il suo volto, con lineamenti molto duri e un portamento elegante, lo rendeva naturalmente adatto a interpretare personaggi ricchi e distaccati.
Con Cronenberg, Pattinson avviò un processo di revisione della propria immagine e, allo stesso tempo, lavorò sulla recitazione. Passò dall’essere un attore promettente a uno realmente interessante. Lavorò di nuovo con lui qualche anno dopo in un altro film ugualmente ermetico e ambientato in un contesto abbiente, Maps to the Stars. Nei cinque anni successivi recitò con Werner Herzog in Queen of the Desert, interpretò l’autista di James Dean in Life di Anton Corbijn e prese parte a Civiltà perduta di James Gray. Fu anche protagonista di due film di autori destinati a diventare importantissimi, ma che all’epoca erano ancora poco noti: uno L’infanzia di un capo, il clamoroso esordio di Brady Corbet (diventato noto quest’anno per aver scritto e diretto The Brutalist), e l’altro Good Time dei fratelli Safdie (diventati celebri con il film successivo, Diamanti grezzi).
Molti di questi film vennero presentati nei grandi festival europei, consolidando la sua notorietà soprattutto fuori dagli Stati Uniti. Inoltre il suo stile recitativo stava iniziando a cambiare. Dopo che Cronenberg aveva costruito la sua immagine di attore rispettabile su ruoli controllati e minimali, i film successivi gli permisero di sperimentare registri diversi. Se in L’infanzia di un capo era ancora il Pattinson dai pochi gesti, tutto sguardi e presenza scenica, in Good Time si adattò perfettamente allo stile elettrico dei fratelli Safdie, adottando un’espressività carica e uno stile vicino all’espressionismo.
Fu un momento cruciale nella costruzione del suo nuovo status di attore: non solo dimostrò una vasta gamma espressiva (che tutti i grandi attori devono avere), ma anche una notevole malleabilità, che gli permise di essere a suo agio in film con toni e finalità molto diversi. Questo processo di rifondazione della sua carriera culminò nel 2019 con due film che gli offrirono ruoli estremi e radicalmente differenti: The Lighthouse e Il re.
Fu l’anno della doppia partecipazione a Cannes e alla Mostra del Cinema di Venezia. Al primo festival ci andò con The Lighthouse, atteso secondo film di Robert Eggers dopo l’esordio con The Witch, molto intellettuale e metaforico, con solo due attori, Pattinson e Willem Dafoe, chiusi in un faro. È girato in bianco e nero, e racconta la progressiva deriva mentale dei due protagonisti oltre alla strana dinamica con cui si confrontano e si avvicinano, in uno stato di isolamento.
A Venezia ci andò con due film, il più interessante dei quali è Il re: un adattamento molto libero dell’Enrico V di Shakespeare, il cui protagonista è Timothée Chalamet, anche lui in quel momento in forte ascesa. La parte di Pattinson era marginale, ma fu molto utile alla costruzione della sua credibilità: interpretava un ridicolo Luigi delfino di Francia, con i capelli ossigenati e un sorriso ebete. È l’unico personaggio leggero del film, e la sua capacità di cambiare il tono delle scene è forse la cosa più difficile che abbia mai dimostrato di saper fare.
A quel punto aveva già firmato per il film che sarebbe uscito l’anno dopo e che segnerà l’inizio della terza fase della sua carriera: Tenet. Essere scelto come uno dei protagonisti di un film di Christopher Nolan è un momento di svolta per la carriera di chiunque. Nonostante Tenet sia forse il successo minore di Nolan, stabilisce in modo definitivo quanto Pattinson sia, oltre che un attore molto versatile, anche una star: qualcuno che non solo attira pubblico e fa vendere biglietti, ma è in grado di “reggere un film” di quella portata, cioè recitare nella maggior parte delle scene ed essere una componente fondamentale del modo in cui il film imposta il proprio tono e si racconta.
Dopo Tenet arrivò un altro ruolo da protagonista in un film importante: quello di Bruce Wayne/Batman in The Batman di Matt Reeves, una nuova versione del personaggio costruita proprio intorno a Pattinson. Il suo è un Batman giovane (anche se lui ormai non lo è più così tanto), alle prime armi e pieno di una rabbia giovanile che è stata a lungo una delle caratteristiche dei suoi personaggi.
Tenet, The Batman e Mickey 17 hanno in comune non solo il fatto di essere grandi produzioni commerciali, ma anche di essere diretti da tre autori, ovvero tre registi e sceneggiatori che realizzano film molto personali e che sfruttano la cornice dei blockbuster per raccontare storie sofisticate e ambiziose. Un attore con l’esperienza di Pattinson, sia nel cinema commerciale che in quello più audace, è quindi perfetto per questi progetti.
Nonostante ciò, e nonostante il fatto che sarà nel prossimo film di Christopher Nolan (L’Odissea) e in altri due progetti con Zendaya e Jennifer Lawrence, recentemente Pattinson ha raccontato al mensile GQ che dopo il successo della sua versione di Batman si aspettava nuove opportunità che invece non sono arrivate. Questo tipo di film di alto profilo e di grandi ambizioni non escono tutti i giorni e anche per questo, secondo lui, al momento la sua carriera non ha molti sbocchi in questa direzione. In una confessione abbastanza inusuale per un attore della sua importanza ha ammesso di provare frustrazione nel constatare che, pur avendo fatto tutte le scelte giuste, il suo futuro rimane comunque incerto. E ha detto che anche per questa ragione ora sta pensando di affiancare alla carriera di attore anche quella di produttore.