Non si capisce chi decide la politica estera del governo

Antonio Tajani dice che è di sua competenza, Matteo Salvini fa continue intrusioni e alla fine spesso Giorgia Meloni fa di testa sua

Tajani, Salvini e Meloni (Roberto Monaldo / LaPresse)
Tajani, Salvini e Meloni (Roberto Monaldo / LaPresse)
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Interpellato sulle critiche del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini al piano di riarmo dell’Unione Europea, l’altro vicepresidente Antonio Tajani ha risposto un po’ infastidito e ha detto che in politica estera la linea del governo «è quella che traccia il presidente del Consiglio con il ministro degli Esteri». Non è una novità: sarà almeno la quinta o sesta volta che, negli ultimi cinque mesi, Tajani ribadisce questo concetto. E il fatto che sia costretto a ripetere con tanta insistenza un’ovvietà, e che lo faccia spesso con toni perentori, è sintomo del fatto che nel governo c’è un problema.

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Il problema è la tendenza di Salvini, ministro dei Trasporti, a intervenire in modo assai disinvolto nelle faccende di politica internazionale. A questo problema se ne collega un altro: cioè il fatto che molto spesso sulla politica estera Meloni decide di testa sua, senza confrontarsi granché neppure con Tajani. Quindi Tajani protesta pubblicamente per le ingerenze di Salvini, ma talvolta si lamenta coi suoi parlamentari più fidati anche dell’atteggiamento di Meloni.

Questa situazione produce dei cortocircuiti notevoli, per cui su questioni internazionali più o meno importanti non è sempre chiaro l’orientamento del governo. Martedì scorso, durante una riunione convocata da Meloni a Palazzo Chigi proprio per definire la linea del governo sul piano di riarmo europeo, la presidente del Consiglio ha usato toni abbastanza duri per richiamare i suoi vice all’esigenza di evitare divisioni o iniziative non concordate, annunciando peraltro che d’ora in avanti non tollererà fughe di notizie o imbeccate ostili ai giornalisti.

Tajani aveva avvertito i primi rischi di questo atteggiamento di Meloni fin dall’inizio del suo mandato. Salvini invece ha sempre liquidato senza grossi patemi queste lamentele, dicendo che lui oltre a essere ministro dei Trasporti è anche il segretario federale della Lega: e da leader politico di un partito è normale che dica la sua sulle faccende internazionali. Quando Tajani ha fatto obiezioni al suo attivismo sulla politica estera nelle riunioni ristrette, Salvini ha fatto notare che pure il leader di Forza Italia, da ministro degli Esteri, è solito intervenire su questioni bancarie o sul canone RAI, cioè su argomenti di competenza del ministro dell’Economia leghista Giancarlo Giorgetti.

Al di là dei vari tatticismi e delle reciproche ripicche, al fondo c’è una effettiva incompatibilità di orientamenti tra la Lega e Forza Italia su molte questioni internazionali. Una è senz’altro legata all’Unione Europea. Salvini è alleato del Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia e di altri movimenti di destra sovranista che fanno parte del cosiddetto gruppo dei Patrioti, ma cerca dialogo e collaborazione anche con Alternative für Deutschland (AfD), il movimento di estrema destra da cui gli stessi Patrioti hanno preso le distanze per certe posizioni filonaziste espresse da alcuni dirigenti.

Nel luglio del 2023 Tajani fece dichiarazioni molto dure contro AfD, escludendo qualsiasi possibilità di alleanze con quel partito; Salvini replicò con una nota altrettanto dura, accusando Tajani di «preferire gli inciuci con Emmanuel Macron e i socialisti». Il leader di Forza Italia confidò ad alcuni cronisti, durante un convegno del Partito Popolare Europeo a Roma, che «anche una persona di media intelligenza» avrebbe capito che le sue dichiarazioni volevano essere «un assist a Salvini per allontanarsi dagli estremisti». Da allora, il rapporto con AfD è un motivo costante di polemica tra Lega e Forza Italia.

Il fatto che Elon Musk e altri esponenti dell’amministrazione di Donald Trump abbiano espresso sostegno ad AfD nella recente campagna elettorale in Germania ha complicato ancor più le cose. Anche Fratelli d’Italia, che in Europa ha un posizionamento più moderato rispetto alla Lega, ha espresso giudizi molto ambigui su AfD. Il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli – che peraltro in più occasioni ha preso iniziative in contrasto con l’indirizzo del suo stesso ministro Tajani – li ha elogiati come possibile forza di governo; altri, come il capogruppo del partito in commissione Esteri alla Camera, Giangiacomo Calovini, hanno ribadito la distanza del partito di Meloni da certi estremismi.

Più in generale, il fatto che i tre partiti di governo abbiano tre diverse posizioni in Europa rende complicato anche il lavoro del personale diplomatico. Forza Italia è stabilmente nella maggioranza europeista col Partito Popolare, Fratelli d’Italia è più defilato nella destra sovranista dei Conservatori, la Lega è tra gli estremisti. Durante la formazione della nuova Commissione Europea, lo scorso autunno, ogni paese aveva una propria lista di funzionari che intendeva promuovere agli incarichi dirigenziali della burocrazia europea: l’Italia però ne ha fatte circolare tre diverse, di cui una formalmente presentata dal ministero degli Esteri e un’altra dalla presidenza del Consiglio, coi collaboratori di Meloni e Tajani che si rinfacciavano a vicenda di non aver controllato a sufficienza la composizione di una terza lista, che era quella che girava da più tempo, e che però a loro parere conteneva nomi di tecnici di sinistra ostili al governo.

Altro argomento di perenne tensione è la questione mediorientale, con Salvini radicalmente a sostegno del governo israeliano di Benjamin Netanyahu e Tajani più cauto. Le tensioni sono iniziate con l’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre del 2023. A fine ottobre il presidente turco Recep Erdogan prese le difese di Hamas, e Salvini chiese «al collega Tajani di inviare protesta formale e di convocare l’ambasciatore della Turchia» al ministero degli Esteri, provocando la reazione piccata di Tajani: «Quando avrò bisogno dei consigli da Salvini, glieli chiederò», rispose ai cronisti che gli domandavano un commento.

Di lì in avanti i due si sono più volte punzecchiati, e hanno spesso avuto posizioni diverse. Per esempio in merito al mandato d’arresto nei confronti di Netanyahu da parte della Corte penale internazionale, contro cui Salvini si è espresso così platealmente che, secondo Tajani, proprio quell’enfasi sarebbe stata poi alla base dell’ostilità della Corte nei confronti del governo italiano sul caso del generale libico Almasri.

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Altre divergenze riguardarono la gestione del contingente militare italiano impegnato nella missione UNIFIL al confine tra Israele e Libano. Quando le basi italiane furono colpite da razzi dei miliziani libanesi di Hezbollah che puntavano a colpire l’esercito israeliano, Tajani commentò in maniera un po’ improvvida: «Questa organizzazione (cioè Hezbollah, ndr) non può pensare di giocare con le armi, se non le sanno usare decidano di fare altro». I parlamentari leghisti condivisero coi cronisti la clip di questa intervista, commentandola in maniera malevola.

A metà febbraio furono invece alcuni funzionari del ministero degli Esteri a condividere tra loro un video che mostrava un Salvini piuttosto imbarazzato rispondere in modo impacciato a Netanyahu proprio su UNIFIL. Salvini era andato a Gerusalemme in maniera un po’ precipitosa, senza condividere la preparazione di quel delicato viaggio con Tajani. Parlando col premier israeliano il leader della Lega era sembrato condividere la tesi per cui i militari italiani siano troppo accondiscendenti nei confronti dei miliziani di Hezbollah.

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Poi c’è l’Ucraina. Anche su questo Meloni tende ad agire piuttosto in autonomia, anche per superare le divisioni storiche tra Salvini piuttosto vicino alle istanze della Russia e Tajani più allineato con l’Unione Europea a sostegno di Volodymyr Zelensky. Il 30 agosto del 2024, al termine di una riunione tra i tre leader per definire la posizione del governo sull’invio di nuove armi all’Ucraina, ci fu un notevole trambusto perché lo staff di Salvini fu il primo a diffondere una nota con un passaggio piuttosto scettico sull’opportunità di concedere nuovi sostegni militari a Zelensky. Fu un errore, verosimilmente dettato dall’ansia di Salvini di essere il primo a dichiarare sul tema. Tajani però si risentì molto della cosa, spiegando che certe cose non succederebbero se ognuno sapesse stare al suo posto.

Ora che gli ultimi sviluppi hanno reso più ambigua la posizione dell’Italia sull’Ucraina, anche le divergenze tra Salvini e Tajani sembrano essersi esasperate. Meloni gestisce in sostanziale autonomia i rapporti con l’amministrazione Trump: lo si è visto per esempio durante la prigionia in Iran della giornalista Cecilia Sala, quando andò senza dire niente a nessuno a Mar-a-Lago per parlare con Donald Trump. E lo si è visto nel caso della imbarazzata nota diffusa dalla presidenza del Consiglio alcune ore dopo la fine del disastroso incontro tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca. Lo si è visto anche nella preparazione della telefonata di sabato scorso, nella quale Meloni ha proposto a Trump alcune idee su un possibile coordinamento tra Stati Uniti ed Europa in merito alla crisi ucraina.

Sono tutte circostanze in cui Meloni ha agito di sua iniziativa, confrontandosi coi suoi più stretti collaboratori ma senza un effettivo coordinamento con Tajani, cosa della quale i consiglieri del ministro si sono risentiti.

Il prossimo passaggio delicato sarà verosimilmente la designazione dell’ambasciatore italiano negli Stati Uniti, in sostituzione di Mariangela Zappia che dovrebbe terminare il suo incarico la prossima estate. Circolano già vari possibili candidati, ma per Tajani sarà decisivo evitare che si ripeta anche in quell’occasione quanto già avvenuto nel recente passato, con Meloni che ha deciso una serie di nomine di ambasciatori e di consiglieri diplomatici ai più alti livelli (Mario Vattani, Giovanni Pugliese, Elisabetta Belloni) poco o nulla graditi a Tajani. Eppure lui avrebbe avuto, almeno formalmente, una responsabilità maggiore su quelle scelte.

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