La banda criminale di sole donne che allarmava la Londra dell’Ottocento

Le Forty Elephants rubavano, estorcevano e taccheggiavano, e la loro storia è al centro della nuova serie del creatore di “Peaky Blinders”

Una scena della serie A Thousand Blows con il personaggio di Mary Carr (IMDb)
Una scena della serie A Thousand Blows con il personaggio di Mary Carr (IMDb)
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Nell’albergo che occupa la vecchia sede della polizia metropolitana di Londra, vicino a Trafalgar Square, c’è un bar chiamato The 40 Elephants. Deve il nome a un gruppo criminale che tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento era piuttosto noto: quello delle Forty Thieves, o Forty Elephants appunto, una banda composta da una quarantina di donne che si dedicava a furti, estorsioni e taccheggi con una certa abilità. Che al tempo esistesse un gruppo criminale di sole donne era già di per sé un fatto inconsueto, e fu inconsueto anche il suo successo. La sua storia, per quanto romanzata, viene raccontata nella serie A Thousand Blows, ideata dal creatore di Peaky Blinders Steven Knight, disponibile su Disney+.

La banda si era formata a Elephant and Castle, una zona a sud del Tamigi che prendeva a sua volta il nome da un pub malfamato. Molte donne che ne facevano parte erano fidanzate, figlie o sorelle dei membri di un’altra banda di truffatori, ladri e piccoli criminali della zona: gli obiettivi di entrambe erano soprattutto i negozi del centro e le persone ricche, che riuscivano a derubare con destrezza per poi rivendere la merce tramite una rete di collaboratori.

In un libro del 1851 il giornalista Henry Mayhew riferiva alcuni dei metodi usati dalle borseggiatrici, descritte come donne tra i 14 e i 60 anni, spesso vestite con grandi scialli e mantelli. In generale entravano nei negozi all’orario di punta, in due o tre alla volta, e chiedevano di poter vedere più prodotti: «Quando il negoziante era impegnato a prenderne di nuovi dalla vetrina o dagli scaffali» per sistemarli sul bancone, scriveva Mayhew, «solitamente una di loro infilava qualcosa sotto il mantello o lo scialle, mentre l’altra cercava di distrarlo».

A volte le ladre usavano finte lettere di referenze per essere assunte come domestiche e derubare i loro padroni. Altre invece attiravano uomini anziani in un vicolo per poi accusarli di averle aggredite, mentre una complice si fingeva testimone del presunto attacco: per risparmiarsi l’imbarazzo di solito l’uomo in questione consegnava alle ragazze i propri oggetti di valore, ha raccontato Brian McDonald, autore di diversi libri sui gruppi criminali londinesi.

Un’illustrazione del 1872 che mostra una taccheggiatrice (Wikimedia Commons)

La storica e giornalista Caitlin Davies, autrice di un libro sulla criminalità femminile, ha notato che nel tempo le figure delle Forty Elephants sono state stereotipate oppure sessualizzate. Le loro comunque erano operazioni ben organizzate, che spesso funzionavano proprio perché compiute da donne.

Hallie Rubenhold, esperta del ruolo femminile nella società inglese, ha spiegato alla BBC che data la morale del tempo ci si aspettava che le donne fossero più rispettose della legge, con il risultato che nessuno le avrebbe sospettate di furti simili. In ogni caso le Forty Elephants avevano regole da rispettare, in parte per mantenere l’armonia nel gruppo, e in parte per favorire l’uguaglianza al suo interno: quelle note come “hoister’s code” (“hoist” in inglese vuol dire taccheggio), motivo per cui McDonald le ha definite «una specie di cooperativa».

Intanto in vista di un colpo bisognava essere puntuali e non si doveva mai bere alcol; i proventi di un furto dovevano essere divisi equamente tra chi lo aveva compiuto, e se una compagna veniva arrestata le altre le avrebbero fornito un alibi. Il codice vietava poi di rubare sia dalle altre donne della banda, sia dai loro compagni. Era inoltre raro che indossassero gli abiti o i gioielli che rubavano: spendevano comunque grandi cifre nei pub, nei ristoranti e durante le feste per cercare di emulare le celebrità e l’alta aristocrazia, soprattutto negli anni Venti, il loro periodo di massima attività.

– Leggi anche: Le donne che praticavano il Ju Jitsu a inizio Novecento

Anche se i documenti della polizia londinese attestano furti regolari commessi da donne già dalla fine del Settecento, il primo riferimento alla banda risale al 1873, e si sa per certo che rimase attiva fino agli anni Cinquanta. Le Forty Elephants erano tanto abili nello sfuggire alla polizia quanto note, con il risultato che se la gente le vedeva vicino ai negozi cominciava ad agitarsi. Nel tempo ne furono identificate una settantina, alcune delle quali condannate per reati come taccheggio o aggressione alle forze dell’ordine; altre a poco a poco si spostarono fuori Londra.

La banda comunque era guidata da una leader, o “regina”. Una delle più note fu Alice Diamond, che nacque nel 1896 da una famiglia di criminali e gestì il gruppo «con precisione militare», imponendo il controllo sul territorio e punendo chi non lo rispettava, spiega Davies. Un’altra è Mary Carr, che nella serie tv è interpretata da Erin Doherty, nota per il ruolo della principessa Anna nella serie sulla famiglia reale britannica The Crown.

In una puntata del suo podcast, il noto attore inglese Stephen Fry racconta del processo che si tenne proprio nel 1896 contro Carr, che era stata incriminata per il rapimento di un bambino. Secondo le ricostruzioni di McDonald, il bambino era stato venduto e affidato a Carr in attesa di essere ceduto a una coppia senza figli: dopo che era stato ritrovato a casa sua in seguito a una soffiata anonima, lei fu condannata a tre anni di prigione e lui finì in orfanotrofio. Ufficialmente Carr vendeva fiori a Covent Garden e faceva la modella per pittrici e pittori, e anche se si sapeva che era la capa della banda la polizia non aveva mai avuto prove per incriminarla.

Si sa che Carr venne condannata di nuovo nel 1900 per ricettazione e si crede che in seguito si fosse trasferita nella zona di Manchester, dove avrebbe continuato a rubare presentandosi come una donna dell’alta società, morendo poi attorno al 1924. Nella serie di Knight il suo personaggio incontra fra molte libertà artistiche quello di Hezekiah Moscow (Malachi Kirby), un’altra figura realmente esistita: un uomo arrivato dalla Giamaica con l’idea di diventare domatore di leoni, che però finì per avere successo come pugile.