Il piano alternativo per il cessate il fuoco che piace molto a Israele
Il cosiddetto “piano Witkoff” prevede un allungamento della tregua e il rilascio di nuovi ostaggi senza garanzie di un ritiro israeliano da Gaza

Negli ultimi giorni sono aumentate le possibilità che fallisca l’accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che aveva garantito finora un mese e mezzo senza combattimenti. Domenica Israele ha bloccato gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e ha cominciato a sostenere un nuovo piano per estendere la cosiddetta “fase uno” dell’accordo di gennaio, che però è molto più sfavorevole per Hamas rispetto a quanto fosse la versione originale.
Sta avvenendo con il sostegno implicito dell’amministrazione statunitense di Donald Trump, che è completamente schierata con Israele e non ha protestato contro il blocco degli aiuti. Martedì i paesi arabi, tra cui l’Egitto e il Qatar, si riuniscono per fare un piano sulla ricostruzione della Striscia di Gaza che non preveda il trasferimento forzato della sua popolazione civile, come vorrebbero gli Stati Uniti e Israele.
La discussione degli ultimi due giorni si è concentrata attorno al cosiddetto “piano Witkoff”, dal nome di Steve Witkoff, l’inviato speciale di Donald Trump per il Medio Oriente che sta conducendo i negoziati a nome degli Stati Uniti. Secondo Israele, Witkoff avrebbe proposto un piano alternativo per estendere il cessate il fuoco temporaneo di altri 42 giorni, durante i quali Hamas dovrebbe rilasciare la metà degli ostaggi israeliani che ancora tiene prigionieri, senza nessuna garanzia per una fine permanente delle ostilità. Non è chiaro se questo “piano Witkoff” preveda che in cambio degli ostaggi israeliani siano liberati dei prigionieri palestinesi. Attualmente Hamas ha ancora prigionieri 59 ostaggi, 35 dei quali si ritiene che siano morti.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato del “piano Witkoff” in un video in cui ha detto che Israele lo accetta senza riserve. Nel video Netanyahu ringrazia profusamente e numerose volte il presidente Trump, definendolo «il più grande amico che Israele ha mai avuto alla Casa Bianca».
Una questione notevole è che finora Steve Witkoff non ha mai fatto menzione in pubblico del piano che porta il suo nome, né lo ha fatto l’amministrazione americana. Gli Stati Uniti hanno però detto che sostengono Israele in qualunque passo, e quindi hanno offerto il proprio sostegno implicito.
Il “piano Witkoff” è in diretto contrasto con l’accordo iniziale, quello approvato a gennaio, che prevedeva per questa settimana l’inizio di una “fase due” in cui le parti avrebbero negoziato il ritiro completo dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza e, in seguito, la fine permanente dei combattimenti. Israele però si è rifiutato di proseguire nei negoziati, principalmente perché non vuole abbandonare il controllo di alcune zone strategiche della Striscia come il corridoio Philadelphi, cioè il territorio di confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto.
Netanyahu ha poi un problema politico: accettare le condizioni della fase due, e quindi negoziare il ritiro dalla Striscia di Gaza e la fine definitiva della guerra, potrebbe provocare la caduta del suo governo, che si troverebbe senza l’appoggio dei partiti nazionalisti di ultradestra favorevoli a una ripresa dei combattimenti. Il suo governo deve approvare il budget dello stato entro la fine di marzo, altrimenti, secondo le leggi israeliane, decadrà automaticamente e si andrà a nuove elezioni. Netanyahu quindi ha bisogno di un modo per prolungare il cessate il fuoco senza perdere i suoi alleati estremisti, e il “piano Witkoff” è perfetto per lo scopo.

Camion di aiuti fermi al varco di Rafah dopo il blocco israeliano, 2 febbraio 2025 (Ali Moustafa/Getty Images)
Hamas non ha ancora né accettato né rifiutato il piano, che comunque pone condizioni peggiori rispetto al piano precedente: il gruppo dovrebbe cedere la metà dei suoi ostaggi senza di fatto ottenere niente di nuovo in cambio.
Nel frattempo a Gaza il blocco degli aiuti umanitari introdotto due giorni fa sta cominciando ad avere i primi effetti: i prezzi di vari generi di prima necessità, come lo zucchero e la farina, hanno ripreso ad aumentare, anche se non ancora ai livelli eccezionali dei mesi di guerra.