Questo “inviato speciale” degli Stati Uniti in Italia è un caso strano

Sembra che Paolo Zampolli abbia ricevuto la nomina direttamente da Trump, ma nessuna istituzione italiana ne sa niente, e non si sa neanche cosa viene a fare

di Valerio Valentini

Paolo Zampolli nella sua casa di New York, il 24 agosto 2016 (HILARY SWIFT/The New York Times/Contrasto)
Paolo Zampolli nella sua casa di New York, il 24 agosto 2016 (HILARY SWIFT/The New York Times/Contrasto)

Da giorni c’è una certa attenzione mediatica e istituzionale nei confronti di Paolo Zampolli, un imprenditore italoamericano che si presenta come «inviato speciale per l’Italia» di Donald Trump. Nessuno però sa dire bene in cosa consista la sua carica, che è del resto praticamente inedita: secondo verifiche fatte dal ministero degli Esteri, sarebbe il primo caso di un inviato speciale per l’Italia da almeno quarant’anni. Anche se è in attesa di una conferma ufficiale, la sua nomina non è stata comunicata in nessun modo a nessuna delle istituzioni che dovrebbe riceverne notizia in casi del genere: non al ministero degli Esteri, non alla presidenza del Consiglio o a quella della Repubblica, non all’ambasciata italiana a Washington né a quella americana a Roma. Non è chiaro neppure quale sia il suo incarico di preciso.

Nel frattempo una sua intervista è stata pubblicata in prima pagina sul Giornale; lo ha ospitato Bruno Vespa in prima serata su Rai 1 il 24 febbraio, in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa in Ucraina. E mercoledì Zampolli è stato ricevuto da Matteo Salvini al ministero dei Trasporti, per un incontro che è stato organizzato tramite conoscenti comuni senza molto preavviso, ma che è stato poi ampiamente pubblicizzato da Salvini stesso.

Gli inviati speciali sono rappresentanti diplomatici che i capi di Stato o di governo nominano per occuparsi di specifiche questioni non demandabili a un normale ambasciatore. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, tradizionalmente agli inviati speciali viene chiesto di gestire rapporti con paesi in guerra o a favorire negoziati di pace tra due controparti, di coordinare gli interventi di sostegno ad aree del mondo colpite da calamità naturali o da crisi umanitarie, oppure di gestire i rapporti diplomatici con paesi con cui, formalmente, non si intende stabilire un contatto diretto nominando un ambasciatore: è il caso, per esempio, dell’inviato speciale per l’Iran o di quello per la Siria. Oppure ci sono inviati speciali per alcuni grandi e complessi problemi mondiali, come il cambiamento climatico, i conflitti etnici, i diritti civili e la sicurezza informatica. Nulla insomma che possa essere ricondotto all’Italia, che sarebbe il primo paese dell’Unione Europea a ricevere un inviato speciale della Casa Bianca, almeno in epoca recente.

Questo è ciò che prevede la prassi diplomatica degli ultimi decenni. Ma è noto che Donald Trump delle prassi diplomatiche si curi assai poco, e il fatto che le nomine di suoi inviati speciali potessero essere fatte in modo un po’ caotico era stato previsto con un certo allarme già dai giornali statunitensi: nomine fatte più come ricompense o gratificazioni per i suoi amici, benefattori e finanziatori, che non sulla base di effettive esigenze politiche.

È così che per esempio è avvenuta l’inedita nomina di un inviato speciale per il Regno Unito, individuato alla fine di dicembre in Mark Burnett, produttore televisivo di origini britanniche molto in confidenza con Trump. Ed è probabilmente così che è avvenuta anche la nomina di Zampolli, anche lui storico amico di Trump, almeno stando a quanto lui ha raccontato al Giornale. 

Nell’intervista ha detto che il motivo per cui Trump lo ha nominato non lo sa neppure lui: «Non so. L’altro giorno il presidente, davanti a dieci persone, all’improvviso mi ha indicato e mi ha ordinato di fare l’inviato speciale. […] Ha detto: Paolo, tu sei il mio inviato in Italia».

Donald Trump e Mark Burnett, il nuovo inviato speciale per il Regno Unito, il 2 febbraio 2017 a Washington (Evan Vucci/AP Photo)

Per fare un parallelismo italiano, Gianni Letta, storico collaboratore di Silvio Berlusconi, raccontò che quando venne fondata Forza Italia capitava di assistere a scene simili. I vari esponenti locali, più o meno noti, andavano da Berlusconi a reclamare maggiore visibilità: e Berlusconi puntualmente si inventava nuove cariche. Una persona veniva fatta coordinatrice del Piemonte, l’altra portavoce della provincia di Isernia, e così via. Le nomine erano talmente tante, e fatte spesso con tale leggerezza, che ci si accorgeva poi di aver creato dei doppioni: e allora, per non avere tre coordinatori regionali in Veneto, uno veniva promosso responsabile del Triveneto, un altro referente per il Nord-Est. Erano nomine che magari avvenivano nel bel mezzo di cene o colazioni di lavoro. E tutti ne rimanevano contenti, aggiornavano il proprio curriculum e si facevano stampare nuovi biglietti da visita. «Erano todos caballeros», sintetizzò Letta.

La logica degli inviati speciali di Trump sembra un po’ la stessa. Finora ha fatto diverse nomine, alcune di grande importanza – Keith Kellogg per l’Ucraina e la Russia; Steven Witkoff per il Medio Oriente; Richard Grenell per le missioni speciali, cioè un po’ per tutte le zone di crisi in giro per il mondo – altre invece più inconsuete, come quelle degli attori Jon Voight, Mel Gibson e Sylvester Stallone come «ambasciatori speciali» per Hollywood, dopo gli incendi che hanno devastato Los Angeles. Ma il punto è che di tutte queste nomine si è parlato molto sui giornali statunitensi, e in molti casi è stato lo stesso Trump ad annunciarle pubblicamente. Della scelta di Zampolli, invece, non c’è traccia né sulla stampa che non sia quella italiana, né sul sito della Casa Biancasu quello del dipartimento di Stato.

A dare la notizia della sua nomina come inviato speciale è stato Paolo Mastrolilli, un giornalista sempre ben informato su quel che succede al dipartimento di Stato, lo scorso 20 febbraio su Repubblica.

Da quando è arrivato in Italia, presentandosi appunto come l’inviato speciale di Trump, il suo attivismo ha generato un certo disorientamento negli ambienti diplomatici. Arrivato a Milano, la città in cui è nato e cresciuto, martedì aveva intenzione di incontrare il console generale statunitense Douglass Benning, o alcuni suoi stretti collaboratori; l’incontro è stato poi rimandato per impegni già presi da Benning, e la sera Zampolli è andato invece allo stadio di San Siro per vedere la partita di Coppa Italia tra Inter e Lazio insieme al senatore di Forza Italia Claudio Lotito, presidente della Lazio. «A lui mi legano rapporti pregressi, siamo amici di lunga data», dice Lotito.

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A Roma Zampolli ha in programma tutta una serie di incontri con persone delle istituzioni di un certo livello. Alcuni dei suoi collaboratori italiani hanno detto anche di una visita al presidente della Camera Lorenzo Fontana, il cui staff però smentisce. «Definisco la mia agenda giorno per giorno», dice Zampolli.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani in occasione del Forum imprenditoriale Italia-Emirati Arabi Uniti, a Roma, il 24 febbraio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che in privato ha commentato in maniera piuttosto sbigottita l’incontro tra Salvini e Zampolli, ha risposto mercoledì ai cronisti che gli chiedevano un giudizio sul nuovo sedicente inviato speciale con una battuta liquidatoria: «Zampolli? Zampolli chi?». Il viceministro Edmondo Cirielli, di Fratelli d’Italia, ha detto: «Noi di questa presunta nomina di Zampolli non sappiamo proprio niente. L’abbiamo scoperto dai giornali». Armando Siri, ex sottosegretario e stretto collaboratore di Salvini, era presente all’incontro tra Salvini e Zampolli: «I dettagli sulla nomina, sul suo incarico da un punto di vista formale, non li conosciamo. È di certo un facilitatore politico che, in virtù della sua diretta conoscenza del presidente Trump, può rendere le relazioni più fluide e meno formali», spiega. E aggiunge: «L’incontro con Salvini è stato comunque molto generico, lo definirei conoscitivo. Sicuramente un attestato di reciproca stima».

Dalle verifiche che hanno fatto i tecnici del ministero degli Esteri, risulta che l’unico incarico diplomatico ufficiale di Zampolli sia quello di ambasciatore alle Nazioni Unite della Dominica, un piccolissimo stato caraibico. È per questo che Zampolli si presenta tuttora come «ambassador», dicendo di essere uno particolarmente bravo a far conoscere persone e a farle andare d’accordo. Politici e diplomatici italiani lo ricordano aggirarsi alla sede dell’ONU a New York sempre ben disposto verso di loro, sempre in vena di battute e di ricordi della sua infanzia milanese, e spesso disponibile a dare dritte sui migliori club di New York per la serata.

In effetti Zampolli è stato a lungo considerato uno dei massimi esperti di locali e vita notturna di New York, città dove arrivò all’inizio degli anni Novanta come direttore di un’agenzia di modelle. Era nato a Milano in via Borgonuovo nel 1970, da una famiglia molto benestante. Una sua nonna aveva una lontana parentela con papa Paolo VI. Zampolli decise poi di lasciare l’Italia poco dopo che suo padre morì in un incidente di sci a Saint Moritz, in Svizzera. Frequentò Miami, Ibiza e poi New York, e iniziò a lavorare nella moda, tornando di tanto in tanto anche a Milano. Poi fondò la ID Models, che ingaggiò tra le altre una giovane modella slovena, poco più che ventenne, Melania Knauss. Fu proprio Zampolli, una sera del 1998, a fare conoscere la futura first lady a Trump, con cui era nel frattempo diventato grande amico ed era entrato in affari.

Anche questo avvenimento ha contribuito a consolidare la loro amicizia. Zampolli è diventato uno dei manager delle aziende di Trump, specializzandosi sempre più nel settore immobiliare e dismettendo progressivamente il suo impegno nella moda, fino a lasciare la ID Models nel 2010. Resta tuttora uno degli imprenditori immancabili agli eventi che organizza Trump: è un abituale frequentatore della sua casa a Mar-a-Lago, in Florida, cena con lui e la sua famiglia quasi ogni Natale, e spesso anche in occasione di altre feste. Ma pur essendo così intimo di Trump, negli anni ha saputo costruire ottime relazioni anche con i Clinton e con gli Obama, e in generale con molti esponenti Democratici.

È quindi verosimile che Trump gli abbia assegnato un incarico importante, anche perché spesso le scelte di questo genere vengono fatte sulla base di rapporti fiduciari. Essendo però una cosa del tutto inedita per l’Italia, ed essendo nata in un contesto così poco chiaro, c’è il rischio di una sovrapposizione di competenze tra Zampolli e l’ambasciatore di ruolo. Quello Trump lo ha scelto a dicembre, annunciandolo su Truth: è l’imprenditore Tilman Fertitta, 67enne texano di origini siciliane che gestisce una lussuosa catena di alberghi e casinò. Il suo patrimonio è stimato in 8,4 miliardi di dollari, e lui è stato uno dei principali finanziatori della campagna presidenziale. Insomma, anche lui è molto vicino a Trump: ma mentre l’ambasciatore risponde, almeno formalmente, al dipartimento di Stato, verso il quale Trump ha avuto spesso un problema di fiducia, l’inviato speciale ha il presidente e basta come diretto interlocutore.