Cosa non si fa per vincere un Oscar

E cosa si fa: Adrien Brody e Timothée Chalamet si contendono quello per il migliore attore, e se lo stanno sudando

Timothée Chalamet e Adrien Brody a Cannes nel 2021. (Kate Green/Getty Images)
Timothée Chalamet e Adrien Brody a Cannes nel 2021. (Kate Green/Getty Images)
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Se Timothée Chalamet dovesse ricevere l’Oscar per il miglior attore protagonista il prossimo 3 marzo sarebbe la persona più giovane ad averlo mai vinto, con un distacco di qualche mese da chi detiene al momento il primato, cioè Adrien Brody che è anche l’altro principale contendente al premio di quest’anno. La competizione in questa categoria è una delle più interessanti perché Brody e Chalamet stanno facendo una intensa campagna Oscar, si stanno spendendo moltissimo e con strategie diverse. Brody è apparso a lungo come il favorito, visto che ha vinto praticamente tutti i premi che vengono prima dell’Oscar. Lo consideravano favorito anche i giornalisti specializzati nel raccogliere gli umori per capire chi sia in vantaggio. Negli ultimi mesi però quelle stesse fonti hanno parlato di un distacco sempre meno netto, e Chalamet intanto ha vinto l’ultimo dei premi che precedono gli Oscar, che è anche uno dei più indicativi.

I due concorrono con film molto diversi, con ruoli e tipi di recitazione lontani. Adrien Brody è candidato per The Brutalist, un film americano a basso budget che ha molto impressionato già dalla presentazione alla Mostra del cinema di Venezia. È una storia inventata di un architetto ungherese ebreo, scampato ai campi di concentramento, che arriva in America e, dopo essere stato riconosciuto per il suo talento, viene pagato da un magnate per un lavoro grandissimo che sembra distruggerlo. Chalamet invece è candidato per A Complete Unknown, un film biografico per certi versi più convenzionale per gli Oscar, anche se a essere poco convenzionale è il personaggio che interpreta: Bob Dylan, nel momento della sua vita in cui passò alla musica elettrica.

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Inizialmente sembrava che una vittoria di Adrien Brody fosse il risultato più probabile. La Mostra di Venezia è un ottimo punto di partenza per le campagne Oscar e già da lì si era iniziato a parlare delle possibilità del film. In più quando è iniziata la stagione dei premi, con tutte le premiazioni che ci sono prima degli Oscar e che forniscono indicazioni cruciali perché coinvolgono di volta in volta diverse persone che poi votano per gli Oscar, Brody era sempre il vincitore. La campagna di Brody è stata impostata in maniera molto tradizionale dalla A24, la società che distribuisce il film, con copertine di periodici cartacei e interviste lunghe e approfondite in cui parlare, per esempio, della ricerca spirituale a suo dire necessaria per interpretare il film.

Poi però la campagna di The Brutalist ha avuto un incidente. Il montatore del film Dávid Jancsó, sulla testata di settore RedShark, ha parlato dell’esigenza di fare un discorso franco sull’uso dell’intelligenza artificiale nel cinema, raccontando che proprio in The Brutalist alcuni dialoghi in ungherese tra Adrien Brody e Felicity Jones erano stati ottimizzati con il software Respeecher per suonare corretti anche all’orecchio di persone madrelingua ungheresi.

Questa dichiarazione ha avuto una sua circolazione, e come spesso accade sui social network è stata riportata parzialmente per servire le finalità di chi la voleva usare come un’arma. Diversi account di fan di Timothée Chalamet hanno ripreso la notizia accusando The Brutalist di essere un film fatto con l’intelligenza artificiale, non autentico e che quindi sarebbe stato una vergogna premiare. È montata insomma una controcampagna che ha criticato il film facendo leva su quella che, al momento, è la prima paura a Hollywood: cioè che l’intelligenza artificiale rimpiazzi le persone e venga usata di nascosto per fare i film.

Questo genere di incidenti è molto frequente nelle campagne Oscar perché, non diversamente dalle campagne politiche, ogni frase può essere usata contro il proprio avversario. È una pratica diventata uno standard negli anni ’90, quando Harvey Weinstein ne fece una delle sue armi più forti (all’epoca lo faceva attraverso la stampa e puntando di solito sull’accusa di antisemitismo). Siccome Weinstein aveva messo a punto una squadra molto cinica e molto vittoriosa agli Oscar, oggi una gran parte delle persone che sono a capo delle squadre che lavorano alle campagne Oscar degli studios sono le stesse che si erano formate con lui in quegli anni.

A partire dal momento in cui è stata tirata fuori quell’intervista a RedShark per accusare The Brutalist le possibilità di Brody hanno avuto una flessione a favore del secondo candidato più favorito, Chalamet per l’appunto. La distribuzione di A Complete Unknown è la Searchlight, una sezione della Disney specializzata in film da Oscar, e ha cambiato in corsa la strategia per adattarsi ai problemi di The Brutalist. Prima era stata molto focalizzata sul pubblico presso il quale Chalamet è più forte, cioè quello giovane, tralasciando testate cartacee e dedicandosi ai reel Instagram o ad altri contenuti virali.

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Quello su cui la Searchlight ha cominciato a insistere di più è stata l’autenticità della sua interpretazione, il fatto che abbia cantato realmente lui le canzoni di Dylan e l’abbia fatto dal vivo durante le riprese (e non quindi doppiandosi dopo). Chalamet ha anche raccontato di essere ingrassato per la parte, un tipico dettaglio considerato importante per la vittoria di un premio, per quanto nel caso di Chalamet si tratti di soli 10 chilogrammi. Per rinforzare il fatto che l’interpretazione di Chalamet sia stata autentica, è stato ospite alla trasmissione Saturday Night Live sia come presentatore (cosa usuale) sia come ospite musicale, e non capitava da 30 anni che non fosse un musicista di professione. Ha suonato e cantato tre canzoni di Dylan e poi nel consueto monologo di apertura ha parlato delle otto nomination di A Complete Unknown, scherzando sul fatto di essere stato candidato per tanti premi senza aver mai vinto.

Contro ogni previsione invece un premio l’ha vinto ai SAG Awards, i premi del sindacato degli attori. A quel punto è sembrato che lui e Brody si siano avvicinati ancora di più. Gli attori sono infatti una porzione molto grossa di chi vota per gli Oscar, perché il corpo votanti è composto dalle persone che sono state candidate in passato per il premio: e a differenza degli altri, gli attori hanno quattro categorie dedicate. Curiosamente quando vinse l’Oscar per il miglior attore protagonista per il film di Roman Polanski Il pianista, nel 2003, Brody non era considerato un favorito. Lo erano semmai Jack Nicholson (per A proposito di Schmidt) e Daniel Day-Lewis (per Gangs of New York), quelli che avevano vinto tutti gli altri premi della stagione.

Le interpretazioni di Brody e Chalamet sono molto diverse e l’impressione è che corrispondano a due idee diverse di chi meriti un Oscar. Tradizionalmente interpretare una persona realmente esistita, truccarsi, mascherarsi, modificare il proprio fisico o la voce per somigliarle, sono state caratteristiche vincenti. Recentemente tuttavia molto è cambiato proprio nella composizione di chi vota per gli Oscar. Prima erano più che altro attori, più che altro bianchi e avanti negli anni, ora sono un gruppo etnicamente molto diverso e anche eterogeneo per provenienza (con una parte grossa che vive fuori dagli Stati Uniti), più giovane e non necessariamente legato a quell’idea di buona interpretazione.

È probabile che un decennio fa interpretare Bob Dylan suonando e cantando come Bob Dylan, in un film per molti versi classico, avrebbe portato alla vittoria con facilità. Oggi che il voto europeo e asiatico conta di più, un film più particolare come The Brutalist e un’interpretazione molto più sottile come quella di Adrien Brody sono in vantaggio. Chalamet, come da tradizione statunitense moderna, trova il personaggio nell’immedesimazione, nello studio del suo soggetto, nella ricostruzione di un contesto reale e nella pratica (in questo caso musicale); Brody invece ha una maniera meno convenzionale e misurabile di interpretare un reduce dell’Olocausto che vive in una maniera strana e inattesa il “sogno americano”, cioè il successo frutto della propria determinazione. Invece di far capire allo spettatore cosa prova lo nasconde per la maggior parte del tempo. Solo nel finale del film si comprende come mai molto della sua recitazione era sembrato strano, perché il personaggio stesso aveva tenuto nascosto qualcosa.