Che bisogno c’è degli intimacy coordinator
Sono le persone che sui set di film e serie con scene di nudo e di sesso aiutano gli attori a sentirsi a proprio agio, ma non sempre sono ben visti

Lo scorso aprile, in occasione della presentazione a Roma di Challengers, il film di Luca Guadagnino sui rapporti di amore e amicizia tra tre giovani tennisti, l’attrice protagonista Zendaya aveva sottolineato l’importanza di aver avuto sul set un’intimacy coordinator, cioè una professionista che si occupava di mettere tutti a loro agio nelle scene più delicate. Pochi mesi dopo, con l’uscita di Anora, vincitore della Palma d’Oro a Cannes, era invece circolata molto la posizione opposta della protagonista Mikey Madison, che nel film interpreta una giovane sex worker e che aveva detto di aver scelto di rinunciare all’intimacy coordinator, facendone una questione di «autenticità».
Sui set cinematografici le intimacy coordinator (visto che sono in maggioranza donne) esistono più o meno a partire dal 2018, quando negli Stati Uniti e soprattutto a Hollywood il movimento MeToo portò all’attenzione mondiale il problema radicato degli abusi sessuali e di potere all’interno del settore. Nonostante se ne parli ancora come di una cosa nuova e messa periodicamente in dubbio da critiche e apparenti controversie, oggi gli intimacy coordinator sono figure professionali riconosciute e molto richieste, anche fuori da Hollywood.
Tra i primi a riconoscere l’importanza dell’intimacy coordinator, negli Stati Uniti, ci fu la celebre casa di produzione HBO, che nel 2018 impose a tutti i set delle sue serie tv la presenza di uno di questi professionisti in caso di scene di intimità. Proprio in una serie di HBO, The Idol, che è uscita nel 2023 e racconta le storture dell’industria musicale statunitense, c’è peraltro una delle prime rappresentazioni televisive di un intimacy coordinator e delle polemiche che si porta dietro. In una scena la protagonista, una pop star in un periodo di forte crisi, fa infatti in modo che il professionista chiamato sul set del suo videoclip venga allontanato, lamentandosi del fatto che voglia privarla della libertà di mostrare il proprio corpo. Un’altra produzione che fece parlare per la sua scelta di ingaggiare un’intimacy coordinator, nel 2019, fu quella della seconda stagione della serie tv di Netflix Sex Education, che non a caso esplora proprio il tema della scoperta della sessualità in un gruppo di studenti di una scuola superiore inglese. La cosa si diffuse poi velocemente anche in altri paesi. Nel 2021 per esempio si parlò del primo intimacy coordinator nell’industria di Bollywood, in India.
L’associazione Intimacy Coordination Italia è nata nel 2022 e oggi è composta da 12 professionisti. La loro percezione è che ci sia sempre più richiesta, non solo sui set cinematografici ma anche nei servizi fotografici o nei reality show televisivi, soprattutto quando sono produzioni internazionali. «Dove ci sono reticenze è spesso perché ancora non è chiaro cosa sia e cosa porti un intimacy coordinator sul set», spiega Sara Palma, vicepresidente dell’associazione.
La SAG-AFTRA, il sindacato che coinvolge quasi tutti gli attori di Hollywood, definisce l’intimacy coordinator «un difensore, un collegamento tra interpreti e produzione, e un coreografo e/o un consulente di movimento nell’ambito della nudità e del sesso simulato o di altre scene d’intimità o di sovraesposizione». L’intimacy coordinator si occupa quindi sia dell’aspetto emotivo e psicologico del lavoro degli attori, sia più tecnicamente delle soluzioni che possono essere impiegate perché siano a loro agio nelle scene di sesso simulato, e perché il risultato corrisponda alle idee della regia.

Alcuni cosiddetti “modesty garments” usati sui set dalla intimacy coordinator Jessica Steinrock, presidente dell’organizzazione statunitense Intimacy Directors and Coordinators (Mary Mathis/The New York Times/Contrasto)
«Un tempo si usava un cuscino per evitare il contatto tra un corpo e l’altro, mentre oggi abbiamo a disposizione tantissime coperture intime e barriere esterne, e tecniche molto specifiche di coreografia dei corpi che vengono poi mascherati con le riprese», spiega Intimacy Coordination Italia. Allo stesso tempo gli intimacy coordinator si occupano di far rispettare le pratiche di consenso e sicurezza e di tutelare attori e attrici anche in scene che non coinvolgono necessariamente la sfera sessuale: possono essere per esempio anche scene di violenza verbale verso un minore, o che riguardano temi delicati come l’identità sessuale e di genere. «Intendiamo il tema della sicurezza e del consenso ad ampio spettro, assicurandoci che vengano rispettati sia i corpi di attrici e attori che la creatività del regista. Tutto deve essere consensuale e consapevole», spiega l’associazione.
L’importanza di chiamare un professionista di questo tipo ha cominciato a diventare evidente quando, dopo l’inizio del MeToo, hanno cominciato a venire fuori testimonianze di molestie avvenute sui set, alla cui origine c’era spesso un problema di scarsa definizione di cosa poteva essere considerato consensuale e di assenza di una figura esterna che potesse eventualmente intervenire. SAG-AFTRA lo definisce «l’abuso che può verificarsi in un set gestito in modo informale e spesso dominato dai maschi».
Il caso più esemplare è quello arcinoto della cosiddetta “scena del burro” nel film di Bernardo Bertolucci con Marlon Brando Ultimo tango a Parigi, del 1972. Anni dopo le riprese, la protagonista femminile Maria Schneider raccontò di essersi sentita umiliata per come fu girata: Bertolucci e Brando infatti non la avvisarono dell’idea di simulare uno stupro utilizzando il burro, per ottenere da lei una reazione più spontanea. Nonostante non ci fosse stato un rapporto sessuale tra i due, Schneider disse di essersi sentita «un po’ violentata».
Essendo nato all’interno del MeToo e in generale all’interno del più ampio fenomeno di diffusione delle istanze femministe degli ultimi anni, la figura dell’intimacy coordinator si è portata dietro anche molte delle critiche che vengono tipicamente sollevate su questi temi. Una è che le produzioni abbiano cominciato a introdurli sui set solo per rispondere alle pressioni della cosiddetta “ideologia woke”, e per liberarsi di eventuali responsabilità. L’altra è che la loro presenza sia una forzatura che toglie spontaneità e autenticità al lavoro di registi e interpreti.
Secondo Palma questo problema non si pone perché «nel cinema non c’è nulla di spontaneo: ogni scena, ogni battuta viene ripetuta cento volte. Così come esiste lo stunt coordinator, che costruisce una scena di violenza o di lotta in modo che nessuno si faccia male, serve qualcuno che faccia lo stesso con le scene di intimità. È identico, ma è come se su questo tema ci fosse una resistenza». Soprattutto, Palma sostiene che bisogna fare attenzione a tutelare i corpi femminili, perché sono quelli che fino a oggi sono stati più trascurati in questo settore: «un corpo si mette al servizio di un film ma non è di proprietà di quella produzione o di quel regista. Un’attrice non è tenuta a fare niente. Per esempio una regola che noi applichiamo è che ciò che non vedono gli spettatori non lo deve vedere neanche la troupe: se non c’è una scena di nudo integrale nel film, non deve vedere un nudo integrale neanche la troupe mentre si gira».
Di recente il discorso sull’importanza degli intimacy coordinator nelle produzioni cinematografiche è tornato molto attuale per via delle accuse di molestie rivolte dall’attrice Blake Lively al coprotagonista e regista Justin Baldoni dopo le riprese del film It Ends With Us, di cui si discute da mesi. Lively aveva diffuso il video di alcune riprese in cui i due ballano, per mostrare come Baldoni l’avesse messa a disagio provando a baciarla più volte nonostante lei si allontanasse. La scena è stata commentata da varie intimacy coordinator negli Stati Uniti, che hanno fatto notare come una professionista esperta sul set avrebbe probabilmente evitato che quella situazione si creasse, chiarendo prima le intenzioni dei due e trovando una soluzione consensuale.
Un esempio molto diverso di film in cui la presenza di un’intimacy coordinator è stata ritenuta necessaria è Aftersun, in cui Paul Mescal interpreta un padre che va in vacanza con la figlia preadolescente, l’attrice Francesca Corio, che ai tempi aveva 11 anni. L’intimacy coordinator del film, Adelaide Waldrop, ha spiegato l’importanza del suo ruolo anche in scene in cui attori adulti prendono in braccio, coccolano o baciano dei bambini. Un altro esempio ancora, italiano, di film per cui è stata assunta una intimacy coordinator è Il ragazzo dai pantaloni rosa, uscito lo scorso anno, dove c’erano molte attrici e attori minorenni. In una scena in particolare il protagonista si mette degli abiti femminili, cosa che prevede un’esposizione di alcune parti del corpo oltre che un momento ritenuto potenzialmente delicato per la sensibilità del giovane attore.
L’attrice italiana Matilda De Angelis ha recentemente raccontato della sua esperienza con l’intimacy coordinator della serie statunitense The Undoing, ironizzando sulle sue modalità molto ingombranti ed esplicite: «alcune intimacy coordinator prendono così tanto seriamente il loro ruolo che ti vengono a chiedere cose che paradossalmente ti mettono più a disagio che altro», ha detto. Negli Stati Uniti, in effetti, questa professione non è ancora stata regolamentata, per cui è probabile che vengano usati approcci e metodi anche molto diversi gli uni dagli altri. Mam Smith, l’intimacy coordinator di Challengers, ha spiegato che negli Stati Uniti si sta lavorando per mettere insieme linee guida e standard condivisi, in modo che sia più facile per le produzioni sapere cosa aspettarsi. In Italia la gran parte degli intimacy coordinator si è diplomata all’accademia britannica Moving Body Arts, seguendo una formazione di un anno che include corsi dal primo soccorso psicologico ad approfondimenti sulle disabilità, solo per dirne alcuni.
De Angelis ha comunque poi specificato che «io ho un buon rapporto con il mio corpo e sono serena nel dire le cose, quindi per come sono fatta io non penso di avere bisogno di quella figura, magari ci sono persone che si sentono più tranquille ad averla vicina, lo posso capire». La risposta che gli intimacy coordinator danno solitamente in questi casi è che la loro presenza sul set non è quasi mai pensata per un solo interprete, ma per un intero cast; e che quindi, se anche non lo si ritiene utile per sé, è però probabile che sia utile per mettere a proprio agio le altre persone con cui si lavora, con vantaggi per tutti.
Nel primo contratto nazionale per attrici e attori, che è stato introdotto in Italia alla fine del 2023, c’è un articolo, il numero 21, che prevede il diritto di chiedere la presenza sul set di un’intimacy coordinator. Intimacy Coordination Italia dice che vengono chiamati soprattutto da attrici e attori giovani, tra i 20 e i 35 anni, che hanno «un rapporto completamente diverso col proprio corpo e i corpi altrui».
Altre attrici, oltre a Zendaya, hanno esaltato l’importanza di questa figura negli ultimi anni. Per esempio Michaela Coel, autrice, regista e attrice della serie tv I May Destroy You, che affronta molte questioni legate alle violenze sessuali e al consenso, aveva ringraziato proprio la sua intimacy coordinator nel discorso per la vittoria dei BAFTA. Kate Winslet ha detto in un’intervista recente che la sua intera esperienza da giovane attrice sarebbe stata diversa se ci fosse stata questa figura ai tempi: «sarebbe stato bello avere qualcuno dalla mia parte, perché mi sono sempre dovuta far valere da sola».