Gli Stati Uniti non vogliono più definire «aggressione russa» la guerra in Ucraina
Hanno chiesto di togliere quest'espressione da un comunicato del G7: è un ulteriore avvicinamento alla narrazione di Vladimir Putin

Gli Stati Uniti si stanno opponendo al fatto che la Russia venga definita come «paese aggressore» in un comunicato dei paesi del G7 (le sette più influenti democrazie del mondo) che dovrebbe venire pubblicato lunedì 24 febbraio, nel terzo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. La richiesta americana, confermata da fonti diplomatiche a diversi giornali internazionali, è coerente con il riavvicinamento del presidente statunitense Donald Trump alla Russia di Vladimir Putin. In questi giorni Trump ha detto cose false e in linea con la propaganda russa, incolpando tra le altre cose l’Ucraina di aver iniziato la guerra e definendo il presidente Volodymyr Zelensky «un dittatore senza elezioni».
Il comunicato del G7 non è ancora definitivo e sono in corso trattative sul testo. Come accade in queste occasioni, il paese che detiene la presidenza annuale a rotazione (il Canada) ha mandato in anticipo una bozza della dichiarazione agli altri sei paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Giappone. Questa prima versione si basava sui precedenti comunicati del G7, incluso quello al termine della riunione dell’anno scorso in Puglia. In questi documenti la Russia veniva identificata chiaramente come paese aggressore e la sua guerra su larga scala veniva chiamata «aggressione».
Ora i rappresentanti del governo statunitense hanno proposto una nuova versione del testo, più breve e neutra, in cui erano stati rimossi i passaggi che si riferivano all’Ucraina come vittima di un’aggressione e alla Russia come alla perpetratrice di quella stessa aggressione. Per esempio, nella controproposta, è rimasta la frase che parla della «guerra devastante iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina», ma sono state tolte le parole «aggressione russa» e «aggressori» che erano presenti nei precedenti comunicati.
I rappresentanti degli Stati Uniti hanno motivato le richieste dicendo che non vogliono interferenze nei negoziati con la Russia che hanno avviato martedì a Riad, in Arabia Saudita, peraltro senza coinvolgere finora né l’Ucraina né l’Europa. Per la stessa ragione ancora non si sa se alla riunione virtuale tra i leader dei paesi del G7, in programma lunedì, sarà invitato anche Zelensky come l’anno scorso.
La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni non parteciperà: ufficialmente per via della visita a Roma, già prevista, del presidente degli Emirati Arabi Uniti, ma in questo periodo Meloni tiene molto a non indispettire Trump, a cui è vicina politicamente, e ha espresso dubbi sulle ultime iniziative diplomatiche europee sulla guerra in Ucraina, a partire dalla riunione d’emergenza organizzata lunedì a Parigi dal presidente francese Emmanuel Macron. L’Italia sarà invece rappresentata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Anche il dipartimento di Stato degli Stati Uniti, l’equivalente del ministero degli Esteri, recentemente ha cambiato il modo in cui si riferisce alla guerra in Ucraina. Per esempio il segretario di Stato Marco Rubio ha parlato di «conflitto in Ucraina» durante l’incontro di martedì con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. “Guerra” e “conflitto” non sono sinonimi e la scelta di una parola o dell’altra convoglia una precisa visione, anche politica: il regime russo infatti non ha praticamente mai parlato di «guerra» ma, come noto, di «operazione militare speciale» per riferirsi a quella che è a tutti gli effetti un’invasione su vasta scala, e quindi una guerra.
Inoltre, sempre questa settimana, gli Stati Uniti si sono rifiutati di sostenere una risoluzione all’assemblea generale delle Nazioni Unite, sempre in occasione del terzo anniversario dell’invasione, che appoggiava il principio dell’integrità e sovranità territoriale dell’Ucraina.
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