Il gruppo paramilitare RSF vuole farsi un suo governo in Sudan
Diverso e in concorrenza con quello della capitale Khartum: è un nuovo sviluppo della sanguinosa guerra civile iniziata due anni fa

Martedì i leader delle Rapid Support Forces (RSF), il gruppo paramilitare che da quasi due anni sta combattendo contro l’esercito regolare del Sudan (SAF), si sono incontrati con i rappresentanti di altre milizie ribelli e partiti politici alleati con l’obiettivo di fare un accordo per formare un governo nei territori controllati. Sarebbe uno sviluppo importante, in un momento in cui l’esercito regolare sudanese sta ottenendo importanti vittorie militari. L’incontro è avvenuto a Nairobi, in Kenya: per questo il governo sudanese ha accusato il presidente keniano William Ruto di aver preso le parti delle milizie, nonostante in passato avesse dichiarato il contrario.
I negoziati proseguiranno per altri tre giorni. Se il piano dovesse concretizzarsi, il Sudan ne uscirebbe diviso in due: con una parte governata da Abdel Fattah al Burhan, cioè il presidente di fatto del paese, che guida l’esercito regolare, e l’altra governata dalle RSF con l’appoggio delle milizie alleate. L’accordo ha bisogno di ancora qualche giorno perché le RSF stanno definendo i termini dell’alleanza con il Movimento di liberazione del popolo del Sudan-Nord (Splm-N), una milizia che controlla la regione del Kordofan meridionale, nel sud del Sudan.
La guerra in corso è iniziata nell’aprile del 2023, in seguito alla rottura della fragile alleanza politica tra i due generali che avevano instaurato una dittatura militare dopo il colpo di stato del 2021: al Burhan, a capo dell’esercito regolare, e Hamdan Dagalo, conosciuto anche come Hemedti e capo delle RSF. I due avevano rotto l’alleanza per la decisione di al Burhan di integrare le RSF nell’esercito regolare: Dagalo aveva risposto attaccando la capitale Khartum. Nelle ultime settimane il SAF ha ottenuto diverse vittorie e ha detto di essere vicino a riconquistare la capitale.

Persone sudanesi in un campo profughi in Ciad, 5 ottobre 2024 (AP Photo/Sam Mednick)
In questi due anni entrambi gli eserciti hanno commesso enormi violenze contro i civili. Soltanto martedì Emergency Lawyers, un’organizzazione umanitaria sudanese, ha detto che le RSF hanno compiuto un massacro nello stato del Nilo Bianco, nel sud del paese, uccidendo più di 200 persone. Secondo il ministro degli Esteri del Sudan le persone uccise sarebbero molte di più: 433. Le RSF erano già state accusate in passato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Sempre Emergency Lawyers ha accusato l’esercito regolare sudanese di bombardamenti sui civili, omicidi e sparizioni forzate di persone sospettate di collaborare con le RSF. In questi due anni sono inoltre stati documentati saccheggi, incendi, omicidi su base etnica, stupri e altri crimini sessuali nei confronti di donne e ragazze.
Secondo le più recenti stime delle Nazioni Unite oggi a causa della guerra più di 30 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, oltre due terzi dei 48 milioni di abitanti del Sudan. Nel paese ci sono più di 12 milioni di sfollati e più di 630mila persone sono a rischio carestia, cioè hanno raggiunto il livello più grave di insicurezza alimentare previsto su una scala riconosciuta a livello internazionale. Si stima che finora nella guerra siano state uccise 60mila persone.
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