• Mondo
  • Mercoledì 19 febbraio 2025

L’Europa può difendersi da sola?

Trump vuole tagliare il sostegno militare ai paesi europei, stravolgendo equilibri che avevano retto per più di 70 anni: ed è molto complicato

Un soldato francese fotografato durante un addestramento della NATO a Smardan, in Romania, 25 gennaio 2023 (AP Photo/Vadim Ghirda)
Un soldato francese fotografato durante un addestramento della NATO a Smardan, in Romania, 25 gennaio 2023 (AP Photo/Vadim Ghirda)
0 seconds of 0 secondsVolume 90%
Press shift question mark to access a list of keyboard shortcuts
00:00
00:00
00:00
 

Diverse recenti dichiarazioni del nuovo presidente statunitense Donald Trump e del suo segretario alla Difesa, Pete Hegseth, fanno pensare che gli Stati Uniti intendano ridurre nettamente il proprio sostegno militare agli stati europei: sia all’Ucraina, che dal 2022 si sta difendendo da un’invasione su larga scala da parte della Russia, sia ai paesi che fanno parte della NATO, cioè l’alleanza militare creata nel Secondo dopoguerra di cui fanno parte sia gli Stati Uniti sia la stragrande maggioranza dei paesi europei.

Soltanto negli ultimi giorni Trump ha annunciato di volere azzerare il sostegno militare all’Ucraina e Hegseth ha detto che la presenza militare degli Stati Uniti in Europa non durerà «per sempre». Sono posizioni radicalmente diverse rispetto a quelle dei loro predecessori. Benché ormai da qualche anno gli Stati Uniti avessero iniziato a investire più risorse nel sostegno militare agli alleati nell’area degli oceani Indiano e Pacifico, per contrastare le mire espansionistiche della Cina, nessun presidente statunitense aveva messo in discussione l’alleanza militare con i paesi europei.

Non è chiaro esattamente se e quando Trump deciderà di ridurre il sostegno militare all’Europa. Ma le sue posizioni stanno spingendo l’Unione Europea e i paesi europei della NATO a capire se potranno fare a meno degli Stati Uniti – e dei circa 90mila soldati statunitensi che oggi si trovano in Europa – per garantire la propria difesa. Nel breve termine non sembra possibile, per via di vari ostacoli e problemi strutturali.

La questione più grande, da cui discendono tutte le altre, non è concreta ma concettuale. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e dalla conseguente fine della Guerra fredda, più di 35 anni fa, i paesi europei hanno ritenuto che una guerra su larga scala fosse ormai improbabile, soprattutto in Europa, e hanno preferito investire altrove le proprie risorse contando sul fatto che gli Stati Uniti avrebbero continuato a sostenere la difesa europea.

Tutto quello che riguardava la propria difesa, di conseguenza, è stato ridimensionato o non è stato espanso in maniera significativa: i propri eserciti e i mezzi militari a disposizione, l’industria della difesa, la capacità di intervenire rapidamente e in massa. «Molti eserciti europei sono diventate “armate bonsai”, con forze estremamente limitate dal punto di vista numerico e in grado di svolgere soltanto alcuni dei compiti principali», ha scritto il diplomatico e analista militare Camille Grand in un recente rapporto per il think tank European Council on Foreign Relations.

Grand aggiunge che la NATO stessa ha insistito molto negli ultimi anni a dotarsi di piccoli contingenti da dispiegare in situazioni di emergenza, piuttosto che prepararsi per una possibile invasione dell’Europa, per esempio da parte della Russia.

È una questione che riguarda soprattutto i mezzi militari necessari per una difesa su larga scala. I paesi europei della NATO, semplicemente, non ce li hanno e finora si sono appoggiati ai mezzi forniti dagli Stati Uniti. Diversi funzionari della NATO hanno spiegato al Financial Times che in questo momento in Europa soltanto gli Stati Uniti dispongono di sistemi di trasporto per mezzi militari pesanti e degli aerei che permettono di rifornire in volo i caccia militari. Entrambe queste cose furono cruciali per sostenere l’operazione militare compiuta in Mali dalla Francia nel 2013, per esempio.

Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’Europa ha ricominciato a investire nella produzione di proiettili, che sta fornendo in gran quantità all’esercito ucraino. L’obiettivo sarà quello di realizzarne circa 2 milioni all’anno entro la fine del 2025, che equivarrebbe a raddoppiare la produzione attuale. Ma la fornitura di proiettili è una delle rarissime filiere interamente europee. Diversi eserciti europei fanno affidamento su mezzi e tecnologie statunitensi, come i caccia F-35, i missili terra-aria, gli elicotteri da trasporto Chinook. Al momento non esistono valide alternative europee.

Alcuni F-35 scortano il re dei Paesi Bassi, Willem-Alexander, durante una visita in Estonia (Patrick van Katwijk/Getty Images)

Dal punto di vista numerico, in teoria i paesi europei che fanno parte della NATO possono contare su circa 1,9 milioni di soldati: un numero paragonabile a quello del personale militare e riservista negli Stati Uniti. In pratica però parliamo di eserciti scollegati fra loro che non si sono mai davvero allineati, neanche quelli dei paesi che fanno parte dell’Unione Europea. In un articolo di opinione su Politico, l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt ha ricordato che questo causa «lacune in alcuni settori, duplicazioni, problemi di interoperabilità, dipendenza dall’estero e spesa inefficiente».

Secondo una stima del Parlamento Europeo che circola dal 2013 l’assenza di coordinamento fra i paesi dell’Unione Europea in materia di sicurezza e difesa costa ogni anno fra i 25 e i 100 miliardi di euro. È un problema che riguarda anche le industrie europee che si occupano di difesa, che al momento producono armi e munizioni adatte soltanto a un solo esercito. La necessità di allineare maggiormente gli eserciti europei e l’industria europea della difesa, soprattutto dei paesi membri dell’Unione, è citata più volte nel rapporto (PDF) prodotto nel 2024 da Mario Draghi sul futuro della competitività europea.

Fra i quasi 2 milioni di soldati europei, peraltro, molti non hanno le competenze necessarie per essere impiegati sul campo in operazioni di massa e a lungo termine. L’analista militare Claudia Major dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza (SWP) ha calcolato che nel caso in cui ai paesi europei venga chiesto di sorvegliare il confine di circa duemila chilometri fra l’Ucraina, la Russia e la Bielorussia – cioè l’attuale linea del fronte della guerra in Ucraina – servirebbero fra i 40mila e i 150mila soldati. «Al momento i paesi europei non avrebbero a disposizione queste forze, a meno di indebolire le proprie difese o ridurre i propri contingenti nei paesi baltici», ha detto Major parlando con Reuters.

Investire in armamenti, mezzi pesanti e nell’addestramento e allineamento degli eserciti europei costerebbe poi un sacco di soldi. Da qualche anno i paesi dell’Unione Europea, per esempio, hanno aumentato la spesa per la difesa e nel 2024 hanno speso complessivamente 332 miliardi di euro, il 30 per cento in più rispetto al 2021. Sono cifre, però, ancora molto lontane da quanto investono gli Stati Uniti: nel 2023 il budget statunitense per la difesa è stato di circa 880 miliardi di dollari (circa 840 miliardi di euro).

– Leggi anche: L’Unione Europea inizia a discutere di un aumento delle spese militari

Per aumentare ulteriormente le spese militari serve anche la volontà politica di farlo: e non è chiaro se l’elettorato europeo sia favorevole o meno. Qualche settimana fa diversi analisti e funzionari contattati da Reuters hanno stimato che per la stragrande maggioranza dei paesi della NATO sarebbe «impossibile, dal punto di vista economico e politico» investire il 5 per cento del proprio PIL nella difesa, come chiesto esplicitamente dall’amministrazione di Trump: significherebbe sottrarre molti miliardi di euro di soldi pubblici ad altri settori, e quindi ridurre i servizi offerti ai propri abitanti.