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  • Martedì 18 febbraio 2025

Sinner ha avuto dei vantaggi nel suo processo per doping?

Sembra proprio di no: si è difeso usando i mezzi a sua disposizione, che chiaramente sono maggiori di quelli di altri tennisti

Jannik Sinner, 23 anni, è il numero uno del ranking mondiale (Cameron Spencer/Getty Images)
Jannik Sinner, 23 anni, è il numero uno del ranking mondiale (Cameron Spencer/Getty Images)

Lo scorso sabato il tennista Jannik Sinner si è accordato con l’Agenzia mondiale antidoping (WADA) per una squalifica di tre mesi dopo che, nel marzo del 2024, era risultato positivo a una sostanza vietata, il clostebol. In questo modo ha evitato di attendere la sentenza del Tribunale arbitrale internazionale dello sport (TAS) prevista per il 16 e 17 aprile, nella quale avrebbe potuto ottenere sia una completa assoluzione sia d’altro canto una squalifica ben superiore, visto che nel ricorso al TAS la WADA chiedeva almeno un anno.

La stessa WADA, come in precedenza aveva stabilito un tribunale indipendente interpellato dall’International tennis integrity agency (ITIA), ha riconosciuto che Sinner è risultato positivo a seguito di una contaminazione involontaria, avvenuta tramite un farmaco cicatrizzante utilizzato dal suo fisioterapista per curarsi un dito. Per motivare la squalifica (e prima il ricorso) lo ha però giudicato «responsabile della negligenza del suo staff», andando contro il giudizio del tribunale che aveva assolto Sinner con la formula «senza colpe o negligenze»: è quella che viene usata quando si ritiene che l’atleta abbia fatto tutto ciò che poteva per assicurarsi di non aver assunto una sostanza vietata. Per la WADA – ed è un approccio che in passato è già stato contestato – un atleta è praticamente sempre responsabile di ciò che accade al suo corpo.

Dopo la notizia del patteggiamento, sui media e tra commentatori e giocatori è nato un dibattito sulle modalità con cui è avvenuto il processo. C’è chi ritiene che qualsiasi squalifica a Sinner sia ingiusta, anche una relativamente breve, dato che nessuno degli enti che doveva giudicarlo ha mai sostenuto che abbia intenzionalmente assunto una sostanza per migliorare le sue prestazioni; e poi c’è chi pensa che Sinner abbia quantomeno ricevuto un trattamento di favore per via della sua influenza, e sostiene che ad altri tennisti nella sua posizione non sarebbe andata così bene.

La squalifica di tre mesi consente in effetti a Sinner di chiudere il caso senza subire possibili conseguenze più gravi: salterà quattro tornei della categoria Masters 1000 e per due mesi non potrà allenarsi in strutture sportive ufficiali e con tesserati (quindi nemmeno con i suoi allenatori), ma non perderà nemmeno un torneo del Grande Slam. È anche molto probabile che quando tornerà, giusto in tempo per gli Internazionali d’Italia (il più prestigioso torneo italiano), sarà ancora al primo posto della classifica mondiale, perché ha accumulato un grosso vantaggio su tutti gli altri. Inoltre, proprio perché né la WADA né l’ITIA hanno ritenuto intenzionale la contaminazione, a Sinner non sono stati cancellati i risultati precedentemente ottenuti, se non quelli di Indian Wells 2024, il torneo che giocò nei giorni in cui fu rilevata la positività al clostebol (arrivando in semifinale).

La risoluzione del caso con la WADA non si può però ritenere una cosa eccezionale, dovuta solo al fatto che Sinner sia il miglior tennista al mondo: dal 2021 il codice della WADA consente agli atleti di patteggiare, a condizione che ammettano di aver violato in qualche modo il regolamento. Sinner ha ammesso di essere responsabile del comportamento del suo staff e la WADA ha quindi deciso di rinunciare al ricorso al TAS, accordandosi per una sospensione di tre mesi. Da quando esiste questa possibilità il patteggiamento è stato usato una dozzina di volte: un portavoce della WADA ha dettoThe Athletic che «è più l’eccezione che la regola», dal momento che si è conclusa in questo modo una manciata di processi sulle migliaia che vengono aperti. D’altra parte Sinner ha comunque subìto una sospensione dopo essere stato assolto e giudicato incolpevole.

La Stampa ha pubblicato un chiarimento sul caso ricevuto in esclusiva dal responsabile della comunicazione della WADA, James Fitzgerald, in cui si legge che la disposizione sul patteggiamento «consente un’ulteriore riduzione del periodo di sospensione in base al livello di gravità della specifica violazione, nonché al fatto che l’atleta abbia ammesso la violazione». Il caso di Sinner è stato giudicato «unico e diverso», motivo per cui la WADA ha deciso di accordarsi per la risoluzione:

In effetti, questo non era un caso di somministrazione diretta da parte dell’entourage dell’atleta, ma di assorbimento transdermico, perché il massaggiatore dell’atleta (all’insaputa dell’atleta) aveva trattato un taglio sul dito con un prodotto contenente clostebol. Attraverso la propria approfondita revisione del caso, la WADA ha verificato e concordato che lo scenario dell’atleta era scientificamente plausibile e ben documentato sui fatti […] Tenendo conto, in particolare, del livello di gravità della violazione, dati i fatti specifici, la WADA ha ritenuto che una sanzione di 12 mesi sarebbe stata eccessivamente severa.

Molti comunque hanno giudicato questo (legittimo) accordo conveniente per entrambe le parti, per Sinner per i motivi sopra elencati, per la WADA perché la parziale ammissione di colpa del tennista è cruciale nel modo in cui porta avanti la sua lotta al doping, e cioè dando agli atleti la responsabilità per qualsiasi cosa succeda al loro corpo.

(Andy Cheung/Getty Images)

In generale, la WADA è riuscita a non creare un precedente e a far passare il messaggio che chi viola le sue regole può essere giudicato colpevole a prescindere dalle intenzioni. L’impostazione di base dell’Agenzia mondiale antidoping, piuttosto discussa perché giudicata troppo vessatoria e non risolutiva, prevede di punire gli sportivi risultati in qualche modo positivi anche quando è provato che non volevano doparsi e non hanno davvero migliorato le loro prestazioni.

Su Sinner nemmeno la WADA ha mai sostenuto che abbia intenzionalmente assunto una sostanza per migliorare le proprie prestazioni, e del resto la concentrazione di clostebol rinvenuta nelle urine del tennista, inferiore a 0,1 milionesimi di grammo per litro, non può in alcun modo aver influenzato le sue performance. Eppure aveva deciso di ricorrere al TAS giudicando non soddisfacente che la prima sentenza, quella del tribunale incaricato dall’ITIA, lo avesse assolto anche dalle responsabilità per il comportamento del suo staff.

L’ex tennista spagnolo Feliciano López ha scritto su X che «è abbastanza chiaro che [Sinner] non ha fatto niente per migliorare le sue performance. Si è assunto piena responsabilità di errori altrui e di conseguenza ha preso tre mesi di sospensione. Una sospensione più lunga avrebbe reso lo sport più pulito? Non credo». López stava rispondendo a un tweet del tennista svizzero Stanislas Wawrinka, che in reazione al patteggiamento di Sinner diceva di non credere più in uno sport pulito (in contrapposizione al “torbido” che viene associato a chi fa uso di sostanze dopanti). Wawrinka fa parte del gruppo di giornali, commentatori e tennisti (Nick Kyrgios, ma non solo) che, in modo più o meno pretestuoso, ritiene invece che Sinner sia stato trattato da privilegiato, perché è il numero 1 del mondo e uno sportivo molto apprezzato, ma anche perché della sua presenza nel circuito beneficia tutto il tennis in termini economici.

È indubbio che Sinner, uno degli sportivi più forti e pagati al mondo, abbia potuto organizzare una difesa più tempestiva ed efficace, così come ha fatto di recente anche Iga Swiatek, la tennista numero 2 al mondo, sospesa per un mese dopo una contaminazione involontaria avvenuta attraverso un farmaco per il sonno. Che le persone più ricche possano accedere velocemente ai migliori avvocati è del resto vero in quasi tutti gli ambiti e lo è anche nel tennis, uno sport già in generale piuttosto elitario e diseguale. Nel tennis ci sono infatti pochissimi atleti molto ricchi e di successo e tanti che invece faticano a mantenersi, e per i primi si creano spesso condizioni che li rendono via via più tutelati.

Le maggiori possibilità di Sinner di difendersi con efficacia si sarebbero viste già quando lo scorso aprile riuscì, presentando subito ricorso, a evitare la sospensione preventiva, e poi nel modo in cui in questi mesi il suo team legale ha continuato a seguire il caso fino a raggiungere l’accordo di patteggiamento. In entrambi i casi, però, Sinner non ha né ricevuto un diverso trattamento né violato alcuna regola: quando un atleta viene trovato positivo a un test viene sospeso preventivamente in attesa di indagini, ma può fare appello contro la sospensione. Sinner lo presentò subito e dimostrò di non aver assunto volontariamente il clostebol, motivo per cui poté continuare a giocare e inizialmente non si seppe niente: nella pratica infatti c’era stata una piccola sospensione di qualche giorno, anche se senza conseguenze sulla sua presenza nei tornei, e si seppe poi solo ad agosto, quando venne assolto pienamente dal tribunale incaricato dall’ITIA.

Sinner venne accusato di ricevere favoreggiamenti anche per la discrezione usata dall’ITIA fino all’esito del processo, un fatto non sostenuto da prove ma comunque auspicabile per qualsiasi tennista in quella condizione.

L’unica differenza tra il caso di Sinner e altri sta nel fatto che alcune atlete o atleti non hanno i mezzi legali per presentare subito appello. Non sempre gli appelli vengono accolti: bisogna poter dimostrare subito che il caso si concluderà ragionevolmente con un’assoluzione, cosa che in effetti è successa a Sinner nel processo. Nel maggio del 2022 la tennista britannica Tara Moore, 145esima al mondo, fu sospesa provvisoriamente dall’ITIA dopo una positività a un anabolizzante e non fece appello (come ha fatto invece Sinner): per quasi due anni di fatto non poté giocare, nonostante alla fine fu giudicata non colpevole. Un altro caso fu quello di Stefano Battaglino (miglior posizione in classifica: 760 al mondo), che venne squalificato per quattro anni per clostebol ma che, a differenza di Sinner, non era riuscito a provare che la positività fosse dovuta a una contaminazione involontaria.

(Shi Tang/Getty Images)

A fine gennaio la Professional tennis players association (PTPA), una specie di sindacato dei giocatori fondato da Novak Djokovic, per evitare che i giocatori meno importanti e ricchi ricevano trattamenti di sfavore aveva annunciato la creazione di un programma di difesa legale gratuita per i tennisti che affrontano accuse di doping o corruzione. Ci sono però anche esempi di tenniste e tennisti assai meno famosi e forti di Sinner che hanno ottenuto sospensioni minori rispetto alla sua; il più simile è quello di Marco Bortolotti.

Bortolotti, tennista discreto con la 355esima posizione come miglior ranking nel singolare, fu trovato positivo al clostebol ma non fu sospeso e l’ITIA lo assolse pienamente, giudicando credibile la sua versione (anche per lui una contaminazione accidentale). In quel caso la WADA scelse di non presentare ricorso, come del resto ha deciso di fare con Swiatek, a conferma di come il protocollo sia spesso confuso e come i singoli casi siano difficilmente sovrapponibili e non sempre paragonabili. Anche per questo, dopo aver ricevuto grosse critiche, l’Agenzia mondiale antidoping ha annunciato che dal 2027 rivedrà le sue regole sulle contaminazioni accidentali, rendendole in parte meno stringenti.

Commentando la risoluzione del caso, il tennista russo Daniil Medvedev ha detto che sarebbe un brutto segno se Sinner fosse l’unico tennista in grado di difendersi e patteggiare una sospensione minore, ma un buon segno se in futuro tutti riusciranno a discutere con la WADA. Le parole di Medvedev soprattutto in Italia sono state giudicate come un attacco a Sinner, ma in realtà contengono un auspicio probabilmente sensato: e cioè che il caso di Sinner proprio per la sua esposizione e maggiore capacità di difesa legale possa aver fatto emergere alcune contraddizioni nei procedimenti per doping di cui si parla da anni, ma che comprensibilmente suscitano meno interesse quando riguardano tennisti meno famosi.

Medvedev non è né il primo né l’unico nel tennis ad aver chiesto che in futuro ci sia più spazio per il dialogo tra l’Agenzia mondiale antidoping e gli atleti, soprattutto quelli che in modo piuttosto palese non si sono dopati.