Le elezioni in Albania scombinano le posizioni dei partiti italiani
La destra è in sintonia coi socialisti, il PD critica l'accordo sui migranti come il centrodestra albanese, e c'è di mezzo anche un consigliere di Trump

Il 9 febbraio scorso una importante delegazione di Forza Italia ha incontrato a Roma Sali Berisha, ex presidente e primo ministro dell’Albania candidato per le prossime elezioni nel paese, previste per l’11 maggio. Insieme a Berisha c’erano alcuni esponenti del suo partito di centrodestra – il Partito Democratico – e dei rappresentanti della comunità albanese in Italia; per Forza Italia erano presenti i due capigruppo di Camera e Senato, Paolo Barelli e Maurizio Gasparri, oltre ai deputati Alessandro Battilocchio ed Erica Mazzetti. In Forza Italia non c’era intenzione di pubblicizzare molto la cosa, sennonché sui profili social di Berisha è stato poi diffuso un video molto entusiasta dell’incontro: il video è iniziato a circolare tra le chat dei parlamentari di maggioranza, e a quel punto Forza Italia ha confermato, con un certo imbarazzo da parte di alcuni suoi dirigenti.
È solo uno dei recenti episodi che testimoniano di come intorno alle prossime elezioni albanesi si stia alimentando anche in Italia una polemica insolita, e che mostra alcune contraddizioni nel posizionamento dei partiti italiani. Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Albania si sono intensificate notevolmente negli ultimi due anni: e questo fa sì che gli sviluppi politici interni all’Albania abbiano inevitabilmente ripercussioni anche sulle vicende politiche italiane.
Alla base di tutto ciò c’è l’alleanza politica che s’è andata definendo, anche in virtù di un’autentica simpatia personale reciproca, tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il primo ministro Edi Rama: il risultato più dibattuto di questa intesa è il protocollo sui centri per migranti a Gjader e Shengjin, firmato a novembre del 2023, ma nel frattempo sono stati definiti anche altri accordi e collaborazioni. Solo che qui sta anche una grossa contraddizione: perché Meloni è la leader più in vista dell’estrema destra europea, e guida un governo conservatore e in una certa misura euroscettico, mentre Rama è da quasi vent’anni il presidente del Partito Socialista d’Albania, alleato del PD italiano e di altri movimenti progressisti europei. Un partito che peraltro cerca di facilitare le procedure d’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea.
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Rama è un politico navigato e abbastanza pragmatico. La sua intesa con Meloni, come lui stesso ha spiegato, non è motivata da un’effettiva condivisione di ideali o di orientamento politico: per lui è motivo di prestigio personale essere riconosciuto come amico di una leader di un grande paese europeo, ed è convinto che questo legame possa portare a un suo accreditamento presso le istituzioni europee, che lo porterebbe poi a un maggiore consenso anche in patria. La decisione di accettare l’accordo sui centri per migranti di Gjader e Shengjin nasce da questo calcolo che è al tempo stesso elettorale e di lungo periodo. Per Meloni è un po’ la stessa cosa, anche se da una prospettiva ribaltata: a lei il protocollo con l’Albania serve per mostrarsi come una leader che propone all’Europa un modello nuovo per la gestione dei migranti, fondato sulla cosiddetta “esternalizzazione” e cioè sul maggiore coinvolgimento dei paesi confinanti con l’Unione. Al contempo le serve per tentare di mostrarsi attiva di fronte al suo elettorato, cercando soluzioni innovative per ridurre l’ingresso dei migranti in Italia.

Durante un incontro ad Abu Dhabi, Edi Rama si è inginocchiato davanti a Giorgia Meloni e le ha regalato un foulard per il suo compleanno (PAOLO CAPPELLERI/ANSA)
Inevitabilmente questo legame ha generato tensione nei due paesi. In Italia, il PD ha contestato molto la condotta di Rama, che ha fatto un accordo così grosso e con una leader di destra senza informare i dirigenti vicini a Elly Schlein. A quel punto Meloni si è trovata a difendere Rama per poter attaccare il PD, e in pratica si è rovesciata la logica ordinaria delle alleanze. In Albania, specularmente, per avere nuovi argomenti da usare contro Rama in un contesto politico estremamente polarizzato, i leader del centrodestra e in particolare Berisha hanno criticato la politica estera di Rama e la gestione dei centri per migranti.
Nel dicembre del 2023 Berisha fece un ricorso alla Corte costituzionale albanese per contestare la validità del protocollo, che venne sospeso per poco più di un mese prima che la stessa Corte lo convalidasse, alla fine di gennaio del 2024. Anche questa appare come un’anomalia, perché appunto Berisha, che è di centrodestra, contesta al suo avversario Rama di avere fatto eccessive concessioni a un governo straniero che è però guidato dalla destra.
Insomma, c’è una confusione che è persino aumentata negli ultimi giorni, dopo che il governo italiano ha fatto capire che intende modificare la natura e le funzioni dei centri per migranti di Shengjin e Gjader, prendendo atto, dopo quindici mesi dalla firma del protocollo d’intesa, del sostanziale fallimento del progetto fino a questo momento. Per il governo la soluzione è trasformare le due strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), ma questa ipotesi pone una serie di problemi sia dal punto di vista economico, sia di compatibilità col diritto europeo. Ma soprattutto andrebbe a modificare radicalmente alcuni punti fondanti degli accordi presi da Meloni e Rama nel novembre 2023 su richiesta esclusiva dell’Italia. Quest’ultimo aspetto è piuttosto imbarazzante per il governo albanese che, in campagna elettorale, si troverebbe a doversi difendere dall’accusa scontata di essere succube delle intenzioni di quello italiano, perciò fonti dello staff di Rama hanno espresso un certo scetticismo.
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Berisha ne ha approfittato. I dirigenti del suo partito sono tornati a criticare apertamente il progetto dei centri per migranti, ricordando come il protocollo stesso prevede che debba esserci condivisione tra i due governi per modificarlo. Berisha ha poi dato un’intervista alla Stampa nella quale, pur mostrandosi tutto sommato cauto nel giudizio su Meloni, ha spiegato che non intende rinnovare l’accordo con l’Italia per i centri di Shengjin e Gjader e ha assicurato «che, finiti i 5 anni [la durata prevista dell’accordo, ndr], il contratto con l’Italia non sarà rinnovato».
Le opposizioni, PD e Movimento 5 Stelle in particolare, hanno colto a loro volta l’occasione per ribadire le loro critiche sulla precarietà e l’inconsistenza dell’accordo, che finora non ha prodotto alcun risultato concreto nella gestione dei migranti a fronte di una spesa prevista che oscilla tra i 600 e gli 800 milioni di euro fino al 2028. Mercoledì alla Camera il deputato Giovanni Donzelli, uno dei massimi dirigenti di Fratelli d’Italia, parlando coi cronisti ha ridimensionato la portata della polemica: «Le opposizioni profetizzavano che saremmo andati in affanno dopo il cambio di amministrazione statunitense, da Biden a Trump, e siamo ancora qua. Direi che, sempre ribadendo che non intendiamo intrometterci nelle vicende politiche di altri paesi, saremo in grado di gestire anche un eventuale avvicendamento alla guida dell’Albania».
La convinzione abbastanza radicata in Fratelli d’Italia è che in questi ultimi due anni Meloni abbia costruito un’alleanza con Rama che va al di là dei due centri dei migranti: a gennaio infatti ha fatto un accordo con gli Emirati Arabi che si sono impegnati, tra l’altro, a realizzare un grande centro di energie rinnovabili in Albania; poi c’è l’impegno diplomatico dell’Italia a favorire l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea. Sono “leve” politiche efficaci che Meloni potrebbe utilizzare con qualsiasi leader albanese, a prescindere dalle eventuali divergenze ideologiche o su singole questioni.
Negli ultimi giorni è successa anche un’altra cosa che ha contribuito a scombinare ancora di più il quadro.
Chris LaCivita, uno degli strateghi della campagna elettorale di Trump, il 10 febbraio ha accettato l’incarico di consigliere politico per Berisha, che ha festeggiato questo evento sottolineando una presunta contiguità del suo progetto con quello di Trump stesso, entrambi sintetizzati dal celebre acronimo MAGA (che nel caso di Berisha sta per Make Albania Great Again). L’impegno di LaCivita coinvolge in maniera solo marginale l’amministrazione statunitense nella campagna elettorale albanese, ma ha messo comunque Meloni in una posizione delicata. Per attaccare Rama, infatti, LaCivita ha iniziato a descriverlo come «un pupazzo» nelle mani di George Soros, il miliardario di origine ungherese che finanzia da decenni i partiti progressisti a favore di una maggiore integrazione tra i popoli, e che è uno dei bersagli più frequenti della retorica sovranista di Fratelli d’Italia. LaCivita sta insomma usando contro Rama, cioè un alleato di Meloni, gli stessi argomenti che Meloni ha utilizzato (anche di recente) per denunciare presunte ingerenze di Soros nelle democrazie occidentali.
Tutte queste contraddizioni sono poi esasperate dal fatto che l’Italia è di per sé un paese che ha un certo peso nelle vicende politiche ed elettorali albanesi. In Italia, principalmente a seguito della massiccia immigrazione degli anni Novanta, vivono circa 380mila albanesi, cioè grosso modo il 14 per cento della popolazione albanese: quella residente in Italia è di fatto la seconda comunità albanese in termini numerici, dopo quella che vive nel comune della capitale Tirana. E la cultura italiana ha da tempo una profonda influenza sull’immaginario albanese (per criticare Rama, che ha detto di non avere molti contatti con un suo collega di partito, il sindaco di Tirana arrestato per corruzione, i seguaci di Berisha hanno condiviso negli scorsi giorni un video in cui Totò Riina, boss di Corleone, dice di non conoscere il suo sodale Bernardo Provenzano). Questo fa sì che i leader albanesi facciano molta attenzione a quel che accade in Italia, e a come le vicende politiche del loro paese vengono percepite a Roma, a Milano o a Bari.
Non a caso Berisha ha in programma un tour elettorale in Italia in varie città. L’8 febbraio è stato accolto da un comitato festante all’aeroporto di Fiumicino. Il giorno seguente ha partecipato a un raduno dei rappresentanti di alcune associazioni che rappresentano le comunità albanesi in Italia. Il 22 febbraio parteciperà a un evento simile a Parma.