Abbiamo trovato il posto preciso da cui proveniva chi parlava protoindoeuropeo?

Un nuovo studio pubblicato su Nature prova a rispondere a una domanda che circola da tempo, e che era al centro del podcast "L'invasione"

di Riccardo Ginevra

(Il particolare di una mappa postata dallo studioso Iosif Lazaridis su X)
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Ormai da qualche anno sappiamo che il cosiddetto protoindoeuropeo, l’antenato di molte lingue parlate ancora oggi tra cui l’italiano e l’inglese, fu portato in Europa intorno al 3.000 a.C. da gruppi di persone con un preciso corredo genetico che provenivano dalle steppe eurasiatiche, l’enorme distesa di praterie e arbusti che si estende più o meno dalla Romania fino al Kazakistan. È la storia al centro del podcast L’invasione, prodotto dal Post nel 2023.

Rimane ancora una discreta incertezza però sul luogo esatto da cui provenivano queste persone: anche perché la lingua indoeuropea di cui abbiamo le più antiche tracce scritte – l’ittito, che compare per la prima volta in testi scritti intorno al 2.000 a.C. – è attestata in un luogo piuttosto distante dalla steppa, l’Anatolia centrale, cioè l’odierna Turchia. I primissimi movimenti di queste persone, insomma, ci sono piuttosto oscuri.

Una soluzione a questo problema potrebbe essere stata individuata di recente, almeno secondo due articoli pubblicati in contemporanea sulla rivista scientifica Nature lo scorso 5 febbraio – ma già noti da tempo agli addetti ai lavori tramite la piattaforma accademica bioRxiv – da un gruppo di ricerca che fa capo al David Reich Lab di Harvard, uno dei più importanti centri che si occupano di genetica applicata all’archeologia. Si tratta di un articolo di portata più generale sull’origine delle lingue indoeuropee e un altro che si concentra nello specifico sulla steppa tra Ucraina e Russia.

A detta dello stesso David Reich, il rinomato genetista statunitense che guida il laboratorio, si tratta in realtà di un unico grande studio che è stato diviso in due pubblicazioni distinte per ragione sostanzialmente politiche: per gli studiosi di nazionalità russa e per quelli di nazionalità ucraina non era opportuno comparire come coautori dello stesso articolo.

L’ipotesi di partenza del gruppo di ricerca di Reich era la seguente: dato che la genetica non permette di ricostruire un contatto preistorico – cioè dei legami genetici diretti – tra le persone che portarono in Europa il protoindoeuropeo, che gli archeologi localizzano nella cosiddetta “cultura Yamnaya”, e le persone che presumibilmente parlavano ittito nell’Anatolia centrale, forse queste popolazioni distinte parlavano lingue imparentate perché condividevano degli antenati comuni. Per testare questa ipotesi, sono stati analizzati per la prima volta i genomi di 367 persone attraverso la cosiddetta tecnica del DNA antico e si è migliorata l’analisi di 68 persone già studiate in precedenza, per un totale di 435 individui.

I risultati della ricerca si possono sintetizzare così: le persone della cultura Yamnaya e quelle che abitavano l’Anatolia centrale tra il 2750 e il 1500 a.C. (nella cosiddetta Età del Bronzo) hanno materiale genetico comune che sembra risalire a una popolazione vissuta più di seimila anni fa tra le montagne del Caucaso e la regione del Basso Volga, nell’odierna Russia meridionale: una popolazione che possiamo abbreviare come “CLV” (dall’inglese Caucasus-Lower Volga). Da questa popolazione sarebbero partite due migrazioni, più o meno contemporanee, avvenute intorno al 4.400 a.C.: una avrebbe dato origine alle persone della cultura Yamnaya, e un’altra avrebbe contribuito a formare le popolazioni dell’Anatolia centrale nell’Età del Bronzo (alcune delle quali parlavano ittito).

Una cartina postata su Twitter da un genetista che ha partecipato allo studio: col numero 1 è indicata la zona di provenienza della popolazione antenata comune, con le zone 2-3 le persone da cui discesero quelle di cultura Yamnaya, col 4 quelle dell’Anatolia

Più precisamente, una di queste due migrazioni portò gruppi di persone della CLV a migrare verso ovest in direzione dei fiumi Dnepr e Don, nella steppa tra le odierne Ucraina e Russia. Qui queste persone si mescolarono con i cacciatori-raccoglitori locali e svilupparono la cultura archeologica di Serednyi Stih (Srednij Stog in russo), da cui intorno al 4000 a.C. si separarono gli antenati delle persone della cultura Yamnaya.

Nel frattempo, sempre intorno al 4400 a.C., un’altra migrazione portò gruppi di persone provenienti da questa stessa popolazione CLV a migrare verso sud e a mescolarsi progressivamente con le popolazioni che incontrarono nel Caucaso (geneticamente simili a quelle della Mesopotamia), fino a raggiungere l’Anatolia centrale, nell’odierna Turchia, da est. Secondo il team di Reich, alla popolazione CLV si possono far risalire i quattro quinti del corredo genetico delle persone della cultura Yamnaya, e almeno un decimo del DNA delle persone dell’Anatolia centrale nell’Età del Bronzo.

Si tratta di una teoria che, qualora dovesse superare la prova del tempo – la ricerca è in continuo movimento e diversi nuovi studi vengono pubblicati ogni anno – combacia perfettamente con quello che è stato ipotizzato da tempo da linguiste e linguisti.

Non appena fu decifrato l’ittito nel 1915, infatti, ci si accorse di due cose. Da un lato, le lingue anatoliche come l’ittito erano chiaramente lingue indoeuropee proprio come il latino, il greco, il sanscrito e l’inglese: basti pensare che in ittito ‘acqua’ si diceva watar. Dall’altro, si trattava di lingue molto diverse dalle altre lingue indoeuropee, che ad esempio hanno tutte la distinzione tra genere maschile, femminile e neutro (come in latino, greco e tedesco), a differenza dell’ittito (che distingue solo tra animato e inanimato).

Da tempo insomma linguiste e linguisti avevano ipotizzato che il ramo anatolico a cui appartiene l’ittito si fosse separato molto presto dal resto delle altre lingue indoeuropee: c’è chi ha proposto addirittura di rinominare l’intera famiglia linguistica nel suo complesso “lingue indoanatoliche” e di ricondurle tutte a un antenato comune chiamato “protoindoanatolico”, da cui poi si sono separati da una parte il “protoanatolico” (l’antenato di tutte le lingue anatoliche come l’ittito) e dall’altra il “protoindoeuropeo” (l’antenato di tutte le altre lingue indoeuropee).

Questa è la terminologia impiegata nello studio di Reich, ma rinominare di colpo un’intera famiglia linguistica è un po’ difficile ormai: per il momento la linguistica “mainstream” preferisce continuare a parlare di “protoindoeuropeo” per riferirsi all’antenato di tutte le lingue indoeuropee, compreso l’ittito, e chiamare piuttosto “protoindoeuropeo nucleare” (in inglese Core Proto-Indo-European) l’antenato del “nucleo principale” (inglese core) di tutte le altre lingue indoeuropee.

Un albero genealogico aggiornato delle lingue indoeuropee (Riccardo Ginevra)

Combinando i risultati di archeologia e genetica con quelli della linguistica, il team di Reich ha quindi proposto la seguente ricostruzione. Il protoindoeuropeo, inteso come l’antenato di tutte le lingue indoeuropee comprese quelle anatoliche, era parlato da persone che vissero durante il quinto millennio a.C. nella zona tra il Caucaso e il Basso Volga, nell’odierna Russia meridionale.

Le due migrazioni preistoriche che portarono i geni di queste persone verso ovest nella steppa e verso sud in Anatolia segnarono anche lo sviluppo di questa lingua in due rami. La lingua parlata dai gruppi che migrarono verso ovest nella steppa si sviluppò nel corso dei secoli nella lingua delle persone della cultura Yamnaya: il protoindoeuropeo nucleare che attraverso le migrazioni successive si è poi sviluppato in quasi tutte le lingue indoeuropee non anatoliche (compreso l’italiano, l’inglese e tutte le lingue indoeuropee parlate ancora oggi). Invece la lingua parlata dai gruppi che migrarono verso sud addentrandosi nel Caucaso si sviluppò nel protoanatolico, l’antenato di tutte le lingue indoeuropee del ramo anatolico (come l’ittito), oggi estinte: queste lingue arrivarono quindi in Anatolia centrale da est, dopo che i discendenti di quella migrazione si furono mescolati parecchio con le comunità incontrate nel loro cammino.

Si tratta ovviamente di una ricostruzione che, come tutte le teorie scientifiche (dall’evoluzione delle specie al Big Bang), propone un’interpretazione dei dati in nostro possesso al momento, ma potrebbe essere contraddetta in futuro dall’acquisizione di nuovi dati, o semplicemente da nuove e migliori interpretazioni degli stessi dati.

Oltretutto questa teoria presuppone una serie di cose di cui non possiamo essere completamente certi: ad esempio, che le persone che migrarono a ovest verso la steppa e a sud verso l’Anatolia abbiano portato con sé la propria lingua, senza adottare le lingue delle comunità incontrate nel loro cammino (come hanno fatto ad esempio gli immigrati italiani negli Stati Uniti, i cui discendenti italoamericani oggi parlano principalmente inglese).

Inoltre è chiaro che la popolazione da cui sono partite le due migrazioni non è esattamente “originaria” del sud della Russia. Tutti gli esseri umani di oggi discendono da migrazioni che a un certo punto sono partite dall’Africa. Lo studio del David Reich Lab ha semplicemente incrociato genetica e linguistica per ipotizzare che in un dato luogo e un dato momento storico un gruppo di persone parlasse la stessa lingua e condividesse anche del materiale genetico.

Va ricordato però che non c’è alcun legame diretto e automatico tra lingua e DNA: “protoindoeuropeo” e “indoeuropeo” sono concetti esclusivamente linguistici, per cui qualsiasi teoria sulla loro diffusione che ignori i dati linguistici è destinata a fallire. La ricostruzione del David Reich Lab però ha proprio il vantaggio di mettere d’accordo persone che lavorano in discipline molto diverse tra loro, come linguistica, archeologia e genetica, e di combaciare con idee che sono state formulate e accettate da tempo nell’ambito della linguistica.