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  • Giovedì 13 febbraio 2025

Il processo contro Shell per l’inquinamento nel delta del Niger

Inizia oggi a Londra, vede opposte due comunità di etnia Ogoni e la multinazionale petrolifera

Alcune delle perdite di petrolio nel Delta del Niger, vicino a Ogboinbiri, a dicembre 2024. (AP Photo/Sunday Alamba)
Alcune delle perdite di petrolio nel Delta del Niger, vicino a Ogboinbiri, a dicembre 2024. (AP Photo/Sunday Alamba)
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Oggi, giovedì 13 febbraio, inizia a Londra un processo che vede opposte la multinazionale petrolifera britannica Shell e due comunità Ogoni, un’etnia africana che abita la regione del delta del Niger (Nigeria). Circa 50mila membri delle due comunità chiedono attraverso i loro avvocati che la società petrolifera venga ritenuta responsabile del grave inquinamento del delta avvenuto fra il 1989 e il 2020 e provocato dal petrolio.

La Nigeria è il maggior produttore di greggio del continente africano, e dagli anni Cinquanta l’area del delta del Niger è quella da cui proviene la maggior parte del petrolio nigeriano. Shell opera nella regione dal 1958: secondo dati delle Nazioni Unite, da allora si sono verificati oltre 7mila incidenti e 13 milioni di barili di greggio sono stati riversati nell’ambiente.

Da oltre vent’anni gli effetti di questi incidenti si vedono chiaramente nell’area, che attualmente è considerata fra le più inquinate al mondo. Due delle perdite di greggio più grandi da stabilimenti Shell avvennero fra il 2008 e il 2009 nell’area di Bodo, ma in generale si stima che fra il 2006 e il 2019 oltre 90 milioni di litri di petrolio abbiano contaminato l’area.

Una piattaforma della Shell sul delta del Niger nel 2011 (AP Photo/Sunday Alamba)

Un rapporto del Programma sull’ambiente dell’ONU (UNEP) nel 2011 diede le dimensioni dell’impatto dell’inquinamento da petrolio nelle zone abitate dalle comunità Ogoni: l’acqua potabile conteneva livelli di sostanze cancerogene superiori di 900 volte ai limiti prescritti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e anche l’analisi dell’aria rivelò la presenza di benzene. Concludeva che sarebbero stati necessari 25-30 anni per ripulire completamente la zona.

Nel 2015 Shell accettò un patteggiamento da circa 65 milioni di euro per l’incidente del 2008 nell’area di Bodo. Nel 2016 fu avviato il Progetto di bonifica dell’inquinamento da idrocarburi (HYPREP) a cui collaborarono la società petrolifera statale nigeriana e Shell, che partecipò con 350 milioni.

Secondo le comunità Ogoni i lavori di bonifica sarebbero stati parziali. Raccontano che l’inquinamento ha causato danni alla vegetazione, compromesso l’agricoltura e di fatto reso impossibile pescare (due delle principali fonti di sostentamento delle comunità) e che tuttora l’acqua non è potabile. Lamentano un’incidenza più alta di tumori e un tasso elevato di mortalità infantile.

Alcune delle perdite di petrolio nel delta del Niger, vicino a Ogboinbiri, a dicembre 2024. (AP Photo/Sunday Alamba)

Shell invece difende la bontà delle opere di bonifica e ha detto a BBC News che l’area è particolarmente complessa per il grande numero di attività illegali e in particolare per i diffusi furti di greggio. Varie organizzazioni criminali manomettono gli oleodotti per rubare greggio e secondo Shell questa sarebbe una causa delle perdite: «Quando si verificano fuoriuscite dalle nostre strutture, le ripuliamo e le bonifichiamo, indipendentemente dalla causa. Se si tratta di una fuoriuscita operativa, risarciamo anche le persone e le comunità».

A fine 2024 Shell ha venduto per 2,4 miliardi di euro tutte le sue attività sulla terraferma in Nigeria a Renaissance Africa, un consorzio di aziende locali e internazionali (l’operazione è stata completata la scorsa settimana). La multinazionale e altri operatori (ExxonMobil, Eni, Equinor e TotalEnergies) stanno lasciando le operazioni sulla terraferma in Nigeria concentrandosi sui pozzi offshore, cioè in mare aperto.

– Leggi anche: La Nigeria cerca di risolvere i furti di petrolio