I primi permessi per fare sesso in carcere
Sono stati accordati a Terni e a Parma, dopo che un anno fa la Corte costituzionale aveva rimosso il divieto all'affettività in carcere

Nelle ultime settimane a due detenuti di due diverse carceri italiane è stato accordato il permesso di fare colloqui intimi con le proprie compagne senza la sorveglianza della polizia penitenziaria, con l’obiettivo di avere rapporti sessuali (lo hanno esplicitato i detenuti nelle rispettive richieste): sono i primi due casi da quando, l’anno scorso, una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto all’affettività in carcere. Il primo caso riguarda un detenuto del carcere di Terni; il secondo caso, raccontato per primo dal Resto del Carlino, il carcere di Parma.
In entrambi i casi il permesso è stato accordato dopo un reclamo presentato dagli stessi detenuti, che avevano chiesto di poter incontrare senza supervisione la propria compagna (a Terni) e moglie (a Parma) ricevendo un rifiuto dal carcere. Seguìti dai propri avvocati, i detenuti hanno intrapreso due azioni legali durate mesi, al termine delle quali i magistrati di sorveglianza competenti (cioè i magistrati incaricati di vigilare sull’organizzazione delle carceri e di disciplinare la vita quotidiana delle persone detenute) hanno ordinato alle due carceri di attrezzarsi entro due mesi per permettergli di avere colloqui intimi con le proprie partner.
È una notizia rilevante: non solo perché sono i primi casi dalla sentenza della Corte, ma anche perché nelle rispettive ordinanze (consultabili qui e qui) i magistrati hanno ordinato alle due carceri di individuare degli spazi idonei per gli incontri intimi dei due detenuti. Quella degli spazi è stata fin da subito la questione più discussa e problematica della sentenza della Corte costituzionale, che su questo punto era stata vaga e non aveva indicato in maniera chiara a chi spettasse il compito di allestirli.
La sentenza aveva ipotizzato che le singole carceri si muovessero autonomamente, e aveva poi parlato più genericamente di un’«azione combinata» di parlamento, magistratura di sorveglianza e amministrazione penitenziaria. Nei fatti però da allora non si è mosso nulla, anzi: a Padova le associazioni attive all’interno del carcere “Due Palazzi” avevano avviato un’iniziativa per costruire gli spazi (che sono stati chiamati “stanze dell’amore”), dopo un parere favorevole da parte della direzione; il progetto però era stato bloccato dal governo, che aveva sostenuto che l’allestimento fosse di esclusiva competenza del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), l’ente del ministero della Giustizia che si occupa di tutte le carceri italiane.
Da allora il DAP non ha fatto allestire nessuno spazio all’interno delle carceri italiane, e quindi la sentenza della Corte finora non è stata attuata: con le due ordinanze di Terni e Parma la questione è tornata alle singole strutture. I due magistrati di sorveglianza hanno dato loro 60 giorni di tempo per individuare gli spazi, senza bisogno di altri passaggi intermedi o altre approvazioni.
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I casi di Parma e Terni riguardano entrambi due detenuti dell’alta sicurezza (un regime carcerario che prevede una maggiore sorveglianza), e hanno avuto svolgimenti diversi. A Terni, il primo caso dei due e finora non raccontato, la vicenda è durata qualche mese: il detenuto in questione aveva chiesto al carcere di poter incontrare in modo riservato la propria compagna, poi lo scorso autunno aveva ricevuto il rifiuto da parte della direzione, e infine a gennaio il magistrato di sorveglianza ha ordinato al carcere di permettergli i colloqui. Il caso di Parma è durato di più: il detenuto aveva fatto richiesta di incontrare sua moglie senza la sorveglianza della polizia a marzo del 2024, due mesi dopo la sentenza della Corte costituzionale, e l’ordinanza del magistrato di sorveglianza è stata emessa il 7 febbraio.
L’avvocato che lo ha seguito, Pina Di Credico (la definizione al maschile è una sua preferenza), ha detto di aver assistito non solo lui, ma anche altri due detenuti che avevano fatto richiesta di incontrare in spazi privati e intimi le proprie partner: al momento la vicenda si è conclusa in modo favorevole solo per uno dei tre, mentre gli altri due sono ancora in attesa di una risposta dal carcere.
I legali dei due detenuti hanno motivato i reclami in maniera diversa. Entrambi hanno insistito sulla buona condotta dei propri assistiti, e sul fatto che la sentenza della Corte costituzionale sull’affettività in carcere non escludeva i detenuti indicati nell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, relativo a reati di particolare gravità, come mafia o terrorismo. I due reclami erano invece diversi per le motivazioni alla base della richiesta dei colloqui intimi: nel caso di Terni si parlava di desiderio di genitorialità del detenuto, quindi della sua volontà di procreare e formare una famiglia pur nella condizione di detenzione; nel caso di Parma del desiderio di avere rapporti intimi con la propria moglie.
Di Credico dice di aver insistito, impugnando il rifiuto della direzione del carcere con il magistrato di sorveglianza, anche sulla solidità del legame matrimoniale tra il detenuto e sua moglie, rimasto intatto e stabile, con regolari colloqui, nonostante i 17 anni di detenzione di lui. Di Credico ha detto che il caso è rimasto in sospeso per vari mesi, perché il carcere sosteneva di non potersi muovere senza ricevere direttive da organi superiori, come appunto il DAP (quindi il ministero della Giustizia).
La magistrata che ha accolto il ricorso ha detto di aver chiesto al carcere di Parma di motivare meglio il proprio rifiuto, per capire se ci fossero motivi specifici per cui a quel detenuto era stato negato di incontrare sua moglie senza sorveglianza. Nell’ordinanza la magistrata scrive di aver concluso che il rigetto non era «individualizzato», cioè non aveva motivi specifici legati a quel singolo detenuto, e che quindi non andasse accolto, alla luce di quanto stabilito dalla Corte costituzionale.
Un altro punto importante di queste decisioni, e che potrebbe diventare un precedente, riguarda l’individuazione degli spazi, visto che i due magistrati hanno incaricato le singole carceri di allestirli. Qualcosa potrebbe cambiare anche nel carcere di Padova, il primo che aveva cercato di fare di aprire una stanza per l’affettività dei detenuti, senza riuscirci. Ornella Favero, la direttrice di Ristretti Orizzonti, storica rivista del carcere di Padova a cui lavorano soprattutto persone detenute, ha detto che diversi detenuti hanno presentato reclami per poter incontrare le proprie partner in maniera intima, e che sono ancora in attesa di risposta.