Il VAR non sta riuscendo nel suo intento
Ha esasperato la ricerca di situazioni dubbie e certamente non ha eliminato discussioni e polemiche: forse però era sbagliato aspettarselo

Nella scorsa giornata di Serie A ci sono stati diversi episodi arbitrali controversi, che hanno causato più polemiche e dibattiti di quanti già non ce ne siano di solito. La Gazzetta dello Sport ha parlato di «weekend degli orrori arbitrali», Repubblica di «ennesimo disastro arbitrale della stagione», il Corriere dello Sport di «disastro arbitrale senza fine». In tutti i casi si è discusso dell’utilizzo (o del mancato utilizzo) del VAR, il sistema che prevede la presenza di un altro arbitro in una sala video che può rivedere le azioni al rallentatore, da varie angolazioni, e richiamare l’arbitro di campo quando pensa che possa aver preso una decisione sbagliata in situazioni determinanti.
Secondo le previsioni più ottimistiche il VAR avrebbe dovuto non solo ridurre gli errori arbitrali, ma anche diminuire discussioni e recriminazioni, rendere più oggettive alcune decisioni. Otto anni dopo la sua introduzione in Serie A, su questa seconda parte si può dire che non sia riuscito nel suo intento: oggi in Italia si parla ancora tantissimo di arbitri e arbitraggi, quasi tutti sono scontenti e si lamentano delle loro decisioni, e la percezione generale è che il calcio e le discussioni intorno al calcio non siano migliorate da quando si possono rivedere le immagini.
Anche sul primo obiettivo peraltro, quello di ridurre gli errori arbitrali, è ragionevole dire che le cose non siano andate del tutto come si sperava. Il VAR ha senza dubbio aiutato a dirimere varie situazioni, soprattutto quelle più standard e misurabili come il fuorigioco (dove comunque ci sono grosse discussioni sull’interpretazione della regola): gli ultimi dati noti, che sono aggiornati al 2022 e pubblicati dall’Associazione italiana arbitri, dicono che in Serie A con il VAR gli errori arbitrali si sono ridotti dell’86 per cento. D’altro canto, però, l’utilizzo della tecnologia ha aumentato le situazioni dubbie e controverse, modificando il modo in cui vengono valutate, come ha spiegato su Ultimo Uomo Emanuele Atturo nell’approfondimento più completo (e piuttosto critico) uscito finora in Italia sul VAR.
Il VAR ha reso infinitamente più controversa la valutazione dei contatti, perché ha inserito un regime visivo diverso, quello della staticità. Un regime che entra in conflitto con la dinamicità del gioco. In questi casi il VAR non solo non evita l’errore ma lo causa. Durante la revisione col VAR possiamo vedere questi arbitri rallentare l’immagine fino a fermarla per vedere se riescono a trovare il contatto tra un piede e l’altro. Solo che ciò che non è falloso in un regime di dinamismo, in presa diretta, può diventare falloso in un regime di staticità, che però non è più giusto. I regolamenti sui contatti in area di rigore, specie quelli di mano, sono impazziti in questi anni, per aggiustarsi attorno all’occhio del VAR.
Una buona parte di commentatori e persone del mondo del calcio, insomma, sostiene che il VAR venga utilizzato troppo per cercare falli, rigori ed espulsioni che normalmente non verrebbero notati, e che abbia quindi perso il suo intento principale, quello di ridurre gli errori più evidenti senza modificare il modo in cui procede la partita. Allo stesso tempo si parla della necessità di ampliare le possibilità di intervento del VAR, una discussione tornata molto attuale dopo che nel weekend due degli errori arbitrali sono avvenuti in situazioni nelle quali il VAR, secondo il regolamento, non poteva intervenire.
Nel primo caso, il difensore del Milan Fikayo Tomori è stato espulso contro l’Empoli dopo aver ricevuto un secondo cartellino giallo, in un’azione nella quale però il giocatore dell’Empoli che ha subito il fallo era in fuorigioco (non segnalato dal guardalinee nemmeno alla fine dell’azione, come invece avrebbe dovuto fare). Nel secondo caso, l’Inter ha segnato il gol dell’1-0 contro la Fiorentina su un calcio d’angolo originato da un’azione in cui il pallone era uscito e sarebbe stato corretto assegnare la rimessa dal fondo alla Fiorentina. In entrambi i casi, però, pur essendo gli errori evidenti una volta rivisti, la decisione non poteva essere cambiata.
Il primo gol dell’Inter contro la Fiorentina commentato da Luca Marelli su DAZN
Il VAR infatti può essere usato solamente in quattro situazioni specifiche, che riguardano: l’assegnazione di un gol, l’assegnazione di un calcio di rigore, l’espulsione diretta, lo scambio di identità (cioè un errore nell’individuazione del calciatore da ammonire o espellere). Su Tomori il VAR non poteva intervenire perché si trattava di un cartellino giallo, anche se un cartellino giallo che ha portato a un’espulsione, mentre per il gol dell’Inter il VAR si sarebbe dovuto pronunciare su una situazione di calcio d’angolo-rimessa dal fondo, non prevista dal protocollo. In questi casi, insomma, non viene contestata l’applicazione della tecnologia, ma le sue regole: Eurosport li ha definiti «errori oggettivi divenuti ormai incomprensibili e intollerabili», arrivando a scrivere che «la burocrazia ha avuto la meglio sulla verità sostanziale».
Altri due episodi dell’ultima giornata di Serie A piuttosto discussi hanno riguardato invece situazioni sulle quali anche l’utilizzo del VAR non porta per forza a una decisione unanimemente riconosciuta come giusta. In Como-Juventus non è stato assegnato un possibile calcio di rigore al Como per un tocco di mano del difensore della Juventus Federico Gatti, mentre in Inter-Fiorentina è stato assegnato un rigore per un tocco di mano del difensore dell’Inter Matteo Darmian.
L’allenatore del Como, Cesc Fàbregas, ha detto che quello non dato alla sua squadra era un rigore «clarisimo, clarisimo, clarisimo» (“chiarissimo”); l’allenatore dell’Inter, Simone Inzaghi, ha definito quello dato contro la sua squadra «un rigore che non esiste mai». La realtà però è più sfumata di così, perché il regolamento sui falli di mano e la loro valutazione lasciano spazio a una certa dose di soggettività: nel caso di Gatti, per esempio, persino i due arbitri in Sala VAR non erano d’accordo sull’interpretazione.
L’analisi di Open VAR (ci torniamo sotto) sul tocco di mano di Gatti
Fàbregas ha detto anche di poter capire che l’arbitro in diretta non abbia visto il tocco di mano di Gatti, «però il VAR scusami, però no, questo no, non lo posso accettare». Una cosa che ha forse esasperato ancor di più il dibattito sugli errori arbitrali è proprio questa, e cioè che se prima una svista poteva essere tollerata (anche se spesso non lo era comunque), adesso tutti quelli che si lamentano hanno un argomento solido per sostenere che l’errore sia inaccettabile. Una frase comune oggi è «come fanno a non vedere questa cosa al VAR?». Il problema però è che il calcio è uno sport dinamico, di contatto, nel quale si verificano eventi sempre diversi, su molti dei quali la pretesa di oggettività è quasi utopistica.
La valutazione di molte cose che succedono in campo rimane soggettiva anche con il VAR, e c’è piuttosto una questione di mancanza di uniformità nell’applicazione del regolamento, o proprio nel regolamento stesso; uniformità che però, ancora una volta, è difficile ottenere perché le situazioni non sono mai una uguale all’altra. Le trasmissioni e i dibattiti sugli episodi arbitrali continuano ad avere successo in parte per il fatto che due persone possono riguardare dieci volte lo stesso episodio ed essere comunque in totale disaccordo sulla sua interpretazione.
Molto spesso questa valutazione, per tifosi e addetti ai lavori, è influenzata da ragioni di tifo e di appartenenza, ed è rarissimo vedere allenatori o dirigenti riconoscere un errore fatto in proprio favore: nella maggior parte dei casi si concentrano sui torti (o presunti tali) subiti, analizzando i casi arbitrali in modo piuttosto strumentale. Non ci sono, di fatto, allenatori o squadre che non si lamentano dell’operato degli arbitri e del VAR, una cosa che sicuramente non migliora il dibattito e il lavoro degli arbitri.

Due allenatori che si lamentano entrambi dell’arbitraggio di una stessa partita: una scena piuttosto comune (Sky Sport)
Le critiche al VAR non sono comunque una cosa solo italiana: in Inghilterra viene messo in discussione da una buona parte di persone del calcio e opinione pubblica, e la scorsa estate si è tenuto un voto tra i club di Premier League, il principale campionato, per decidere se abolirlo o meno (alla fine non è stato abolito). Le critiche riguardano soprattutto la sua applicazione molto spesso cervellotica, ma in Inghilterra è ancora piuttosto sentito anche il fatto che gli interventi del VAR abbiano tolto una parte di spontaneità alle partite, costringendo tifosi e giocatori per esempio a ritardare le esultanze. Ci sono casi anche più estremi: la Svezia non ha nemmeno introdotto il VAR nel suo campionato, mentre in Norvegia i tifosi e i club hanno appena votato per abolirlo (ma la decisione finale spetterà alla Federazione).
In Italia per il momento sono pochi quelli che sostengono che il VAR vada abolito, molti invece quelli che dicono che «usato così non serve a niente». Senza dubbio è uno dei paesi in cui il VAR viene usato di più (tra i cinque principali campionati europei la Serie A quasi ogni anno è quello in cui si dà il maggior numero di rigori) e nel quale le discussioni sugli arbitraggi e sul VAR sono più frequenti, diffuse e incoraggiate. I quotidiani e le trasmissioni sportive dedicano sempre ampio spazio all’analisi degli episodi, e ogni programma ha un suo esperto in questioni arbitrali. Da qualche anno ormai alcuni broadcaster hanno introdotto una figura di questo tipo anche nel corso delle partite: su DAZN i telecronisti interpellano spesso l’ex arbitro Luca Marelli durante le partite per avere la sua opinione su un fallo o una situazione di gioco dubbia; nelle partite di Champions League trasmesse da Prime Video c’è Gianpaolo Calvarese, un altro ex arbitro.
Il passaggio successivo è stata la creazione della trasmissione Open VAR, in onda su DAZN dalla scorsa stagione, nella quale le comunicazioni tra arbitro e VAR vengono ascoltate e le decisioni spiegate da qualche persona con ruoli dirigenziali nell’Associazione italiana arbitri (a volte proprio dal designatore Gianluca Rocchi, cioè colui che sceglie gli arbitri per ogni partita). Che gli arbitri potessero parlare e spiegare le loro decisioni era una cosa invocata da tempo, e Open VAR era nata con l’idea di rendere trasparente il processo decisionale; anch’essa però non è particolarmente riuscita nel suo intento, visto che i rappresentanti degli arbitri la intendono spesso come una sorta di “difesa d’ufficio”, giustificando le decisioni degli arbitri sul campo e in sala VAR piuttosto che spiegarle.
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