La psicologia degli aeroporti

Se si somigliano tutti è anche perché il modo in cui sono strutturati serve a ridurre i fattori di stress, la paura e il disorientamento nei passeggeri

Tre viaggiatori in controluce davanti a un'ampia finestra camminano trascinando i loro bagagli
Un corridoio dell’aeroporto internazionale di Philadelphia, in Pennsylvania (AP Photo/Matt Rourke)
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A luglio del 2024 la società che gestisce l’aeroporto calabrese di Lamezia Terme ha inaugurato una nuova area delle partenze di circa duemila metri quadrati, parte di un progetto da 200 milioni di euro per l’ammodernamento dei tre aeroporti della regione. La struttura, che ospita cinque gate d’imbarco, ha un soffitto spiovente e tre pareti formate da alte vetrate che affacciano sulla pista. Per accedere all’area si attraversa un corridoio in acciaio e vetro con un’illuminazione viola.

È nell’interesse delle autorità politiche descrivere come eccezionali le opere pubbliche realizzate durante il loro mandato. Spesso lo sono, sul piano architettonico, ma per tanti altri aspetti, quando i progetti riguardano gli aeroporti, c’è poco margine per essere originali. È difficile entrare in un aeroporto senza capire che è un aeroporto: dalla segnaletica, dai tabelloni delle partenze e degli arrivi, dai nastri per la movimentazione dei bagagli, dal tipo di collegamenti tra le diverse aree, dalla disposizione dei posti a sedere.

Oltre che rispettare regole di costruzione stabilite dagli enti internazionali di sicurezza, il modo in cui gli aeroporti sono fatti riflette anche la necessità di rendere riconoscibile, familiare e accogliente per i passeggeri uno spazio che sul piano psicologico li sottopone a fattori di stress e altri stimoli unici. In poche altre circostanze le persone considerano normale riunirsi in gruppo in attesa di entrare nello stesso ambiente dopo essere passati attraverso un metal detector e aver consegnato un documento d’identità.

Quasi ogni aspetto della struttura e dell’organizzazione degli spazi interni degli aeroporti è progettato per ottimizzare i tempi di spostamento nel terminal, da un lato, e per ridurre il rischio che i passeggeri si sentano spaventati o disorientati, dall’altro. Uno dei modi più efficaci per soddisfare questo bisogno è la segnaletica visiva. L’ideale è che i passeggeri vengano guidati verso i loro gate «naturalmente», senza rendersi conto di essere guidati, spiegò nel 2019 a BBC Future l’ingegnere e progettista di aeroporti Alejandro Puebla.

Un gruppo di passeggere in piedi in attesa di essere imbarcate su un volo

Passeggere in fila a un gate dell’aeroporto Charles de Gaulle a Parigi, il 29 ottobre 2015 (Robert Alexander/Getty Images)

I segnali sono spesso diversi per forma e per colore da un terminal all’altro, così come la moquette o i motivi disegnati sul pavimento, per esempio. Anche il posizionamento strategico di piante, sculture o altre opere di grandi dimensioni può servire come punto di riferimento per orientarsi.

Tutti i passeggeri in un certa misura sono sottoposti a vari fattori di stress e di ansia negli aeroporti, non solo chi ha paura di volare o di perdere il volo o i bagagli. Gli attentati dell’11 settembre 2001 e le misure di sicurezza introdotte successivamente hanno accresciuto quei fattori. Da allora è diventato necessario incoraggiare le persone a rispettare le regole e a seguire le indicazioni durante i controlli, ma anche rassicurarle sull’efficacia di quelle procedure.

– Leggi anche: Le cose che si trovano ai controlli di sicurezza in aeroporto

Secondo diversi esperti di sicurezza le migliori forme di prevenzione del terrorismo sono perlopiù indagini e operazioni di intelligence, cioè cose visibili solo da chi se ne occupa. Per quanto efficaci nella pratica, non hanno quindi effetti sulla percezione dei passeggeri negli aeroporti. Per quello servono altre misure, come il controllo delle scarpe o la confisca dei contenitori di liquidi da più di 100 millilitri, che l’analista e informatico statunitense Bruce Schneier definisce il «teatro della sicurezza».

Quelle due misure furono introdotte dopo aver sventato due attentati, uno nel 2001 e uno nel 2006, in cui erano stati effettivamente utilizzati un esplosivo nascosto da un passeggero nelle scarpe e un esplosivo liquido. Ma come altre misure applicate negli aeroporti servono soprattutto a dare un senso di sicurezza ai passeggeri attraverso segnali visibili, anche a costo di qualche rallentamento e scomodità.

Un uomo si riallaccia una scarpa mentre una donna di fianco a lui si rimette una scarpa aperta

Un passeggero e una passeggera si rimettono le scarpe dopo aver passato i controlli all’aeroporto internazionale di Los Angeles, California, il 30 agosto 2010 (Bob Riha, Jr./Getty Images)

In aeroporto, indipendentemente dai controlli, i passeggeri possono provare agitazione per altre ragioni. C’è chi arriva sempre in anticipo e non vede l’ora di salire sull’aereo, specialmente se viaggia per una vacanza, e chi invece ritarda il più possibile l’arrivo in aeroporto, come meccanismo psicologico di difesa dallo stress per il viaggio. Ma non è detto che siano tipi di persone poi così diversi tra loro, disse all’Atlantic Jonny Gerkin, psichiatra della University of North Carolina. Probabilmente entrambi gli approcci sono solo modi diversi di adattarsi a una situazione stressante: «una persona è iper-efficiente e iper-preparata, e l’altra è una che non gestisce la sua ansia in quel modo», disse Gerkin.

– Leggi anche: L’annosa questione di chi si alza appena l’aereo atterra

In generale una parte delle emozioni, delle preoccupazioni e delle paure dei passeggeri, alcune subconsce, deriva dal fatto di trovarsi in una situazione su cui non hanno pieno controllo e in un luogo dai confini incerti. Con le loro porte di ingresso e di uscita, e le loro ordinate divisioni interne, gli aeroporti cercano in qualche modo di definire meglio quei confini.

Mark Vanhoenacker, pilota statunitense di aerei di linea, scrisse su Slate nel 2017 che se consideriamo i viaggi in aereo una specie di macchina per il teletrasporto, rispetto alle precedenti forme di viaggio, allora l’aeroporto è una parte fondamentale della macchina. Viaggiare, secondo lui, non potrebbe essere così veloce e accessibile se non ci fosse da qualche parte lungo il percorso una linea netta «tra il regno internazionalizzato all’interno degli aeroporti e il mondo esterno».

I confini tracciati dagli aeroporti restano tuttavia piuttosto sfumati. Sul sito The Conversation lo psicologo e ricercatore inglese Steve Taylor, professore alla Leeds Beckett University, ha paragonato gli ambienti degli aeroporti a quelli che la mitologia celtica definisce “luoghi sottili” (thin places). Sono ambienti come boschi o foreste sacre, considerati una sorta di interregno in cui i confini tra la dimensione materiale e quella spirituale si assottigliano: spazi in cui non si è né del tutto in un luogo, né del tutto in un altro.

Una folla di passeggeri in fila in attesa dei controlli

Passeggeri in attesa all’aeroporto internazionale di Narita, in Giappone, il 9 agosto 2016 (AP Photo/Shizuo Kambayashi)

– Leggi anche: Il successo dell’espressione “nonluogo”

Anche la percezione del tempo cambia, tra un aeroporto e l’altro: in molti casi viaggiare in aereo implica infatti uno spostamento non solo nello spazio ma anche attraverso fusi orari diversi. Alcuni voli hanno persino un orario locale di atterraggio precedente rispetto all’orario locale di partenza.

Poter gestire il proprio tempo è una delle condizioni che le persone associano più spesso alla sensazione di avere il controllo sulla propria vita. Accettare di dare il proprio tempo interamente in gestione a qualcun altro, entrando in aeroporto per un viaggio, può di conseguenza essere un motivo di ansia e di frustrazione, specialmente quando i voli sono in ritardo. Un obiettivo fondamentale nella strutturazione degli aeroporti è quindi cercare di dare ai passeggeri l’impressione di avere ancora il controllo della situazione anche se di fatto, in quella situazione, sono per certi aspetti come prigionieri.

A quest’obiettivo si sovrappongono interessi di altro tipo, come quello di trasformare i passeggeri in clienti che spendono. L’area per lo shopping è un passaggio obbligato posizionato quasi sempre tra l’area dei controlli e il gate. Serve come segnale visivo rassicurante, perché – dopo vari passaggi stressanti e quasi interamente gestiti da altre persone – indica un’attività che di solito le persone svolgono avendo il controllo della situazione, oltre che il tempo per farlo. E questo può servire a tenere a bada il panico, evitare crolli emotivi e indurre la calma.

Una passeggera osserva dei prodotti esposti in un negozio nell'ampia area shopping dell'aeroporto

Negozi di lusso al terminal “Tom Bradley” all’aeroporto internazionale di Los Angeles, California, il 18 settembre 2013 (AP Photo/Reed Saxon)

«Quando siamo in un aeroporto e sentiamo di avere un ragionevole controllo sul nostro ambiente fisico, il nostro benessere psicologico ne trae vantaggio», disse a BBC Future la psicologa ambientale Sally Augustin. Avere il controllo può anche banalmente volere dire poter scegliere l’area in cui sedersi in attesa di un volo: se in un posto illuminato o riparato dal sole, per esempio.

C’è infine chi negli aeroporti si sente invece a suo agio proprio per le stesse ragioni che provocano ansia in altre persone: non avere il controllo della situazione. Condividere questa condizione può favorire anche comportamenti prosociali e indurre persone estranee a interagire con un livello di intimità e libertà che forse non avrebbero in altre circostanze. «Nella terra di nessuno, le normali inibizioni sociali non valgono», ha scritto Taylor, e «l’alcol può ulteriormente lubrificare questa coesione sociale».

L’alcol può però aumentare indirettamente anche il rischio di litigi, scontri e comportamenti inappropriati dei passeggeri a bordo degli aerei. Per cercare di ridurlo, la compagnia di volo Ryanair ha quindi recentemente chiesto che la vendita di alcolici negli aeroporti europei sia limitata come la vendita di altri prodotti nei negozi duty free. Ogni passeggero potrebbe acquistare un massimo di due drink alcolici, e solo presentando la carta d’imbarco.