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  • Lunedì 10 febbraio 2025

Hamas ha detto che rimanderà la prossima liberazione di ostaggi israeliani

Ha accusato Israele di aver violato i termini del cessate il fuoco

La liberazione degli ostaggi Ohad Ben Ami, Eli Sharabi e Or Levy, a Deir al-Balah l'8 febbraio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
La liberazione degli ostaggi Ohad Ben Ami, Eli Sharabi e Or Levy, a Deir al-Balah l'8 febbraio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
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Lunedì pomeriggio un portavoce del braccio armato di Hamas, le Brigate Al Qassam, ha annunciato che il gruppo rimanderà a data da definirsi la prossima liberazione degli ostaggi israeliani, che secondo i termini del cessate il fuoco era prevista per sabato 15 febbraio. Hamas ha motivato la decisione accusando Israele di aver violato gli accordi. L’annuncio mette a rischio la tenuta del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, iniziato lo scorso 19 gennaio e che finora ha sostanzialmente retto, al di là di alcuni intoppi e ritardi.

In particolare, Hamas accusa Israele di aver ritardato il rientro della popolazione palestinese nel nord della Striscia di Gaza; di aver compiuto numerosi attacchi di artiglieria in varie parti della Striscia; e di aver ostacolato l’ingresso degli aiuti umanitari. Il comunicato aggiunge che Hamas ricomincerà a rilasciare gli ostaggi quando riterrà che Israele rispetti le condizioni dell’accordo.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che le dichiarazioni di Hamas violano gli accordi per il cessate il fuoco, e ha ordinato all’esercito israeliano di prepararsi «con il massimo grado di allerta per ogni possibile scenario a Gaza». Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha anticipato a martedì mattina una riunione del gabinetto di sicurezza (di cui fanno parte tra gli altri, oltre a lui, i ministri della Difesa e degli Esteri) che era prevista per il pomeriggio. Già nella serata di lunedì Netanyahu ha incontrato alcuni funzionari del ministero della Difesa per discutere della situazione.

Una manifestazione dei parenti degli ostaggi israeliani fuori dal ministero della Difesa, a Tel Aviv, il 10 febbraio

Parenti degli ostaggi israeliani manifestano con un blocco stradale fuori dal ministero della Difesa, a Tel Aviv, il 10 febbraio (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

L’accordo sul cessate il fuoco è entrato in vigore dopo mesi di complicatissimi negoziati mediati da Stati Uniti, Egitto e Qatar. È articolato in tre fasi, ma per ora sono stati definiti i dettagli solo della prima, che prevede fra le altre cose il rilascio di quasi tutti gli ostaggi vivi che si trovano ancora nella Striscia di Gaza e la liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Dal 19 gennaio Hamas ha riconsegnato 16 ostaggi israeliani e 5 thailandesi, mentre Israele ha liberato 566 prigionieri palestinesi: in base a quanto stabilito, restano da liberare nove ostaggi israeliani e Hamas deve riconsegnare i corpi di otto di loro morti durante la prigionia. Finora l’accordo ha retto, ma è sempre stato fragile e segnato da accuse di violazioni reciproche.

Il gruppo che rappresenta le famiglie degli ostaggi israeliani, Bring Them Home Now (“portateli a casa ora”), ha diffuso un appello affinché «l’accordo esistente sia ripristinato e implementato con efficacia». Lunedì a Tel Aviv migliaia di persone hanno partecipato a una manifestazione per chiedere che l’accordo non si interrompa e continui la liberazione degli ostaggi.

Sempre lunedì è stata diffusa la trascrizione di un’intervista a Fox News in cui il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è tornato a parlare del suo piano per il futuro della Striscia, secondo cui questa dovrebbe essere controllata dagli Stati Uniti (piano che è illegale per il diritto internazionale, impraticabile, contestato dai paesi del Medio Oriente e parzialmente smentito dai funzionari della sua amministrazione). Trump ha detto che, in base al suo piano, in futuro la popolazione palestinese non sarà autorizzata a tornare a Gaza. Lunedì Hamas ha ribadito che ritiene le proposte di Trump irricevibili.