Come funzionano i dazi, spiegato

Donald Trump li ha imposti a Canada, Messico e Cina: per la teoria economica sono distorsivi e controproducenti

Merci in arrivo al porto di Long Beach, in California (AP Photo/Jae C. Hong)
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Sabato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha imposto dazi – cioè imposte sull’importazione di merce straniera – nei confronti di Canada, Messico e Cina. I dazi sono tra i principali strumenti con cui il presidente statunitense intende portare avanti la propria politica economica: sono uno strumento che fino a qualche anno fa gli economisti ritenevano superato, una misura la cui efficacia era stata messa in dubbio sia dalla teoria economica, che aveva provato la loro natura distorsiva e controproducente, sia dai benefici di decenni di globalizzazione e libero scambio.

La feroce concorrenza con la Cina, le difficoltà di interi settori economici, e la recente crisi di popolarità del modello cosiddetto “neoliberista” hanno riportato i dazi al centro delle politiche commerciali mondiali. Questo è avvenuto con un grande contributo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha sempre sostenuto di difendere i cosiddetti “sconfitti dalla globalizzazione”, cioè le tante industrie in crisi per la concorrenza internazionale e i loro lavoratori poco qualificati che fanno fatica a reimpiegarsi. Trump utilizzò ampiamente i dazi già nel corso del suo primo mandato.

I dazi sono un’imposta che si applica sulle merci in arrivo da un paese straniero, e sono imposti con il presupposto politico di proteggere la produzione interna dalla concorrenza estera. Si esprimono in valore percentuale del prezzo di vendita e di solito ricadono concretamente sull’importatore, che lo paga alla dogana del paese di ingresso.

Un esempio pratico: sulle auto elettriche dell’azienda cinese di auto BYD l’Unione Europea ha imposto un dazio pari al 17 per cento. Su una macchina che costa 20mila euro all’importazione significa che il grossista italiano che la compra dovrà pagare alla dogana 3.400 euro di dazio: portare quella macchina in Italia gli è costato 23.400 euro, più tutte le spese di trasporto, e dovrà venderla a una cifra non inferiore se non vuole rimetterci. Se ci riesce l’onere del dazio ricade completamente sui consumatori, che si ritrovano a pagare un prezzo maggiorato.

L’idea di fondo di un dazio è che rendendo relativamente più cara la merce straniera i consumatori sceglieranno infine di comprare merce nazionale: nell’esempio i consumatori dovrebbero essere indotti a comprare auto elettriche europee e non sottoposte a dazio, che dovrebbero essere meno care. Il funzionamento reale del mercato è però molto diverso dalla teoria.

Questo perché le preferenze dei consumatori non sono influenzate solo dal prezzo: un consumatore può scegliere un’auto cinese perché più performante, o perché quelle europee si fanno fatica a trovare, o ancora perché sono comunque più care, o perché magari non c’è una reale possibilità di scelta. L’efficacia di un dazio dipende cioè dal tipo di prodotto e dall’interesse che suscita sul mercato: tanto più è un prodotto necessario e desiderato, tanto più i consumatori dovranno o vorranno comprarlo lo stesso, sopportando anche il sovrapprezzo del dazio, il cui onere ricadrà infine su loro stessi e non sul produttore.

Un esempio limite: se la Cina iniziasse a produrre mozzarella da esportare in Italia, e su questa l’Unione Europea imponesse un dazio, è evidente che i consumatori non sarebbero disposti a sopportarne il sovrapprezzo, grazie all’ampia disponibilità di un prodotto locale qualitativamente migliore e più a buon mercato. Con ogni probabilità il produttore cinese di mozzarella sarebbe disposto ad abbassare il prezzo di vendita all’esportazione, magari assorbendo il dazio pur di non perdere il mercato: l’onere del dazio ricadrebbe sul produttore, che ne sarebbe danneggiato.

In questo caso si dice che la domanda di un prodotto è elastica, cioè che è reattiva alle variazioni del prezzo: tanto più la domanda di un bene è reattiva alle variazioni di prezzo tanto più è possibile che i dazi ricadano sul produttore. Nella realtà sono pochi i casi limite in cui il dazio è sopportato interamente dai consumatori nazionali o dai produttori esteri, mentre è molto più comune che sia condiviso da entrambi, in misura diversa a seconda dell’elasticità della domanda. Generalmente comunque i prezzi tendono a salire, facendo così aumentare l’inflazione.

Quello che conta poi dell’effetto dei dazi è il loro carattere redistributivo all’interno della società, cioè come incide sulla distribuzione del reddito tra ricchi e poveri: agiscono da una parte sui prezzi, come detto, generalmente facendo aumentare il costo generale della vita; e dall’altra sui redditi, poiché solo se ben congegnati potrebbero portare a un aumento della produzione nazionale di un certo prodotto, dunque favorire l’occupazione del settore.

È la combinazione delle due forze che dà l’effetto complessivo sulla società, che è composta da persone che sono sia consumatori che lavoratori: l’effetto sui prezzi rischia di colpire i consumatori più poveri, se i prodotti su cui sono imposti dazi sono comprati spesso da chi ha un reddito più basso. Affinché l’effetto sui redditi più bassi sia positivo devono essere interessati dai dazi quei settori più colpiti dalla concorrenza internazionale, che impiegano lavoratori poco qualificati, e che hanno ancora margine per riprendersi, tornare a crescere e assumere lavoratori.

Un esempio pratico sono i dazi che ha annunciato Donald Trump, che riguardano tutte le merci provenienti da Messico e Canada, rispettivamente il primo e secondo partner commerciale degli Stati Uniti: potrebbero avere effetti positivi nei settori manifatturieri che hanno risentito di più della delocalizzazione delle industrie, che potrebbero nel tempo riportare parte della produzione negli Stati Uniti e assumere più lavoratori locali; ma poiché riguarderanno tutte le merci, e non è stata fatta una scelta per evitare quelle più consumate dai consumatori più poveri, è possibile che infine l’effetto sarà negativo sul fronte generale dei prezzi. In sostanza, forse si creeranno posti di lavoro nel tempo, ma nell’immediato sicuramente aumenterà il prezzo di molte cose, rendendo i consumatori più poveri.

In ogni caso chi ci guadagna sempre sono i governi, che incassano il valore dei dazi tramite le dogane. Per esempio dai dazi dipende circa il 14 per cento del bilancio dell’Unione Europea, che è un caso particolare poiché è un’unione doganale: significa che tra i paesi al suo interno non ci sono dazi o vincoli al commercio, e che con gli altri paesi si relaziona come un’entità unica. Tutti i paesi dell’Unione applicano e sono sottoposti agli stessi dazi: l’Italia non può imporre di sua spontanea volontà un dazio sul formaggio prodotto negli Stati Uniti, solo l’Unione Europea può farlo, così come gli Stati Uniti non possono imporre dazi sul formaggio proveniente dall’Italia, ma solo da quello proveniente dall’Unione. Le autorità doganali dei paesi membri collaborano come se fossero un’unica entità.

Una famosa scena del film Non ci resta che piangere, in cui c’è un doganiere molto rigoroso che impone il pagamento di un fiorino per il passaggio del carretto di Roberto Benigni e Massimo Troisi

I dazi sono uno strumento che a partire dagli anni Novanta la comunità internazionale ha cercato di limitare, anche grazie ad accordi commerciali e alla partecipazione di un numero crescente di paesi all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), un ente internazionale che ha l’obiettivo di favorire il libero scambio e limitare misure protezionistiche e arbitrarie che potrebbero ostacolare i commerci. Far parte dell’OMC significa accettare anche la cosiddetta “clausola della nazione più favorita”, che in breve prevede un generale appiattimento dei dazi e il divieto di imporre dazi discriminatori tra singoli paesi.

Ci sono comunque certe eccezioni, ampiamente sfruttate negli ultimi anni. Un esempio sono i dazi “antidumping”, imposti per compensare appunto una forma di concorrenza sleale per cui certi produttori riescono a vendere le loro merci a prezzi molto più bassi della concorrenza, beneficiando per esempio di sussidi statali. È il caso dei dazi che l’Unione Europea ha imposto alla Cina sulle auto elettriche, che puntano a compensare la differenza con le imprese europee che non riescono a competere con quelle cinesi: si chiamano per questo dazi compensativi. Ed è anche il caso dei dazi imposti reciprocamente da Stati Uniti e Unione Europea, e poi sospesi, nell’ambito dell’annosa controversia legale tra le aziende produttrici di aerei Boeing e Airbus.

Le regole dell’OMC prevedono eccezioni per settori di interesse strategico per i paesi, che i governi possono decidere di tutelare dalla concorrenza straniera in nome della sicurezza nazionale: è il caso di tutte quelle misure applicate durante l’amministrazione di Joe Biden che erano volte a limitare il rapido avanzamento tecnologico della Cina.

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