Di serie come “Scissione” ce ne sono sempre meno

È una distopia sulla vita dentro e fuori dal lavoro, originale e ambiziosa come si vede ormai di rado: ma Apple TV+ è una piattaforma poco diffusa

I protagonisti di Scissione in una scena della serie (Apple TV via IMDb)
I protagonisti di Scissione in una scena della serie (Apple TV via IMDb)
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Il confine tra lavoro e vita privata, al centro di dibattiti ed esperimenti come quelli sulla settimana corta, è il tema centrale di Scissione, una delle serie tv più ambiziose, originali e costose degli ultimi tempi, prodotta e distribuita dalla piattaforma di streaming Apple TV+. È ambientata in un universo distopico ed esplora i limiti pratici ed etici di confini così netti, dove la separazione tra dentro e fuori è portata all’estremo. Per via dei suoi meccanismi c’è chi l’ha paragonata a serie come Westworld o Black Mirror, così come al celebre romanzo di George Orwell 1984: la sua seconda stagione è appena cominciata, e se ne parla bene come della prima.

Scissione, in inglese Severance, parla di un gruppo di impiegati che accettano di sottoporsi a un intervento chirurgico che divide le loro coscienze in due, di modo che quando lavorano non ricordano nulla della vita privata e viceversa. Nella loro versione fuori dall’ufficio vengono soprannominati “esterni”, mentre sul lavoro “interni”; ogni giorno si occupano di compiti apparentemente senza senso per la Lumon, un’azienda piuttosto misteriosa, poi riprendono la loro vita, e via dicendo. È tra un ufficio abbastanza spoglio, corridoi anonimi e stanze bizzarre che si svolge la gran parte della trama della serie: a poco a poco gli “interni” mettono in discussione il loro ruolo lì dentro e cercano di capire cosa abbia portato i rispettivi “esterni” a voler rimuovere tutti i loro ricordi pur di fare quel lavoro, una questione che viene approfondita nella seconda stagione.

Tra i punti di forza di Scissione c’è proprio tutto ciò che i personaggi non sanno, non capiscono o trovano assurdo in questa presunta versione ideale dell’equilibrio tra vita e lavoro, che ideale chiaramente non è. «A prescindere da quale versione stiamo seguendo, Mark è bloccato in un film horror senza una via di fuga in vista», ha scritto sul Guardian Lucy Mangan a proposito del protagonista interpretato da Adam Scott, che ci recita tra gli altri con Britt Lower, John Turturro, Christopher Walken e Patricia Arquette.

Scott è un attore noto perlopiù per serie comiche come Parks and Recreation e Party Down, così come è noto soprattutto per i suoi ruoli comici Ben Stiller, che è produttore esecutivo di Scissione e ne ha girate diverse puntate. Diversi critici hanno riconosciuto proprio a Stiller il merito di aver dato un’identità visiva peculiare alla serie. Uno degli elementi che la rendono affascinante infatti è senz’altro l’ambientazione, un po’ a metà tra un ufficio degli anni Ottanta e un posto futuristico e austero. Ma lo sono altrettanto le scelte della regia e della fotografia, che spesso si soffermano su dettagli apparentemente minuscoli e sfruttano inquadrature, luci e colori evocativi, come grigio, bianco e blu.

Il contesto, come detto, è invece quello che sul sito di cultura pop The Ringer Alison Herman definisce «una versione esagerata di un ambiente quotidiano che è già più inquietante e artificiale di quanto vorremmo ammettere». Di fatto la Lumon ha preso il controllo di una parte del cervello dei propri dipendenti e li sottopone a compiti, gratificazioni e punizioni tanto assurde quanto allegoriche. In tutto ciò si può dire che sia una riflessione non solo sull’alienazione del sé e su quanto le circostanze influiscano sulla costruzione della propria identità, ma anche sull’attaccamento al lavoro e sulle conseguenze del lavorare per un’azienda così rigida e poco trasparente.

I film di fantascienza sfruttano da sempre l’idea che un ente o un’entità possa condizionare la coscienza delle persone, come accade per esempio in Matrix. Più di recente serie come Black Mirror, Westworld o Devs hanno usato espedienti simili a quelli usati in Scissione per esplorare le conseguenze del progresso tecnologico per l’esperienza umana e mostrarne i limiti. Quello che ha in più la serie creata da Dan Erickson è una certa ironia, una stranezza che rende il racconto ancora più enigmatico, surreale e in un certo senso tollerabile.

Per come è scritta porta chi la vede ad accettare di non avere tutte le risposte. In ogni caso, ha scritto Sophie Gilbert sull’Atlantic, sta alla larga dall’intento moralizzatore di serie come Ai confini della realtà, la serie fantascientifica per eccellenza.

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La prima stagione di Scissione ha ottenuto 14 candidature agli Emmy, diversi premi ed è stata molto apprezzata sia dal pubblico che dalla critica, come finora la seconda, di cui al momento sono uscite due puntate. Ciononostante serie ad alto budget e un pubblico relativamente piccolo come questa sono sempre più rare.

Ogni anno piattaforme come Netflix, Amazon Prime e Disney+ producono centinaia e centinaia di serie, ma hanno cominciato a comportarsi sempre di più come i vecchi canali televisivi, badando soprattutto all’ottimizzazione dei costi e all’incremento dei ricavi. Quasi tutte inoltre hanno smesso di produrre serie audaci e complesse, preferendo quelle adatte al grande pubblico. Da quando ha presentato il servizio di streaming Apple TV+, nel 2019, Apple ha speso oltre venti miliardi di dollari per la produzione di contenuti originali, creando un catalogo di serie e film di tutto rispetto. Però si stima che abbia circa 25 milioni di abbonati, contro gli oltre 300 milioni di Netflix e i 200 di Prime Video: e questo significa che malgrado gli enormi investimenti le sue serie rischiano di essere poco viste.

Scissione in particolare è considerato uno dei prodotti più riusciti di Apple TV+, ma mentre la sua prima stagione aveva un budget tutto sommato contenuto la seconda è stata una delle più costose mai prodotte. I rallentamenti legati allo sciopero degli sceneggiatori del 2023, il costo degli attori e altri intoppi hanno finito per farla costare circa 200 milioni di dollari: 20 milioni per ciascuna puntata contro i 18 dell’adattamento del manga One Piece o i 13 di The Crown, la storia romanzata della famiglia reale britannica realizzata da Netflix. Secondo diverse classifiche di settore al momento è una delle serie in streaming più “popolari” negli Stati Uniti, ma è ancora presto per capire se e come influirà sugli abbonamenti di Apple TV.

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