Perché gennaio sembra non finire mai
Ha 31 giorni, come altri sei mesi dell’anno, ma meno feste rispetto al precedente, e questo condiziona la nostra percezione del tempo
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Il mese di gennaio non ha niente di strano. Ha lo stesso numero di giorni della maggior parte dei mesi dell’anno, e non richiede spiegazioni, che invece servono per il mese successivo, l’unico che ne ha 28 o 29. A giudicare dalle sensazioni discusse e condivise annualmente da molte persone, gennaio è però il mese apparentemente più lungo di tutti. C’entra il fatto che contiene meno giorni festivi rispetto al precedente, ma anche il modo in cui siamo fatti.
Sebbene sia una metrica tradizionalmente molto difficile da definire e misurare, la percezione del tempo cambia da persona a persona. Ci sono però fattori che possono influire collettivamente, come anche eventi eccezionali: per esempio la pandemia di Covid-19 nel 2020, quando i lockdown per limitare i contagi diedero a molte persone la sensazione che la fine del mese, qualsiasi mese, non arrivasse mai.
Diversi studi di psicologia indicano che la durata soggettiva del tempo è influenzata dagli stimoli percettivi, dalla memoria e dai livelli di attenzione, ma anche da altri fattori come l’assunzione di caffeina o di altre sostanze. Gennaio è il primo mese dopo un mese abbastanza pieno di giorni stimolanti, indipendentemente dal fatto che si amino o si odino le feste di Natale. A dicembre riceviamo e facciamo regali, e guardiamo altre persone condividere la nostra stessa condizione: queste attività possono stimolare la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore che regola le sensazioni di piacere.
Finite le feste, è abbastanza normale provare una sensazione di esaurimento dell’effetto di quegli stimoli, incluso quello che hanno sulla percezione del tempo. La dopamina è tra l’altro il neurotrasmettitore associato anche alle sensazioni di paura, e uno studio di psicologia del 2011 mostrò che subito dopo aver visto un film horror le persone dicono di avere l’impressione che il tempo scorra più lentamente. L’eccitazione data dalla paura, in altre parole, influisce sulla velocità di quello che le autrici definirono il «sistema dell’orologio interno», cioè il modo in cui giudichiamo il tempo che passa.
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«È possibile che riprendere a lavorare dopo le vacanze di Natale porti a molta noia […], che a sua volta porta all’impressione che il tempo rallenti a gennaio», disse alla rivista New Statesman Zhenguang Cai, un dottorando dello University College London impegnato nella ricerca sulla percezione del tempo. Gennaio è perlopiù un mese di lavoro, dopo un mese in cui nella maggior parte dei casi si lavora meno e si hanno più opportunità per divertirsi. E divertirsi è uno dei fattori più influenti sulla nostra percezione del tempo.
Per uno studio di psicologia condotto nel 2010 un gruppo di ricercatori e ricercatrici statunitensi chiese a 37 studenti universitari di svolgere un esercizio: sottolineare in un testo abbastanza lungo tutte le parole che contenevano una combinazione di due lettere. Alcuni studenti impiegarono appena cinque minuti per svolgerlo, mentre altri circa venti minuti, ma a entrambi i gruppi fu detto che ci avevano messo dieci minuti.
Il gruppo di ricerca chiese quindi a ciascun partecipante un giudizio sulla durata percepita del tempo trascorso durante l’esercizio. Chi lo aveva svolto in appena cinque minuti, anche se sapeva di avergliene dedicati dieci, non solo rispose di aver avuto la percezione che il tempo passasse molto velocemente, ma disse anche di essersi divertito a svolgere l’esercizio. Chi invece ci aveva messo venti minuti, e che pure sapeva di avercene messi dieci, disse di aver trovato l’esercizio noioso e di aver avuto l’impressione che il tempo non passasse mai.
Come altre ricerche dello stesso tipo, lo studio mostrò che abbiamo una scarsa capacità di stimare accuratamente la durata del tempo: nessuno dei due gruppi contestò infatti la stima di dieci minuti fornita dal gruppo di ricerca. Un’altra conclusione suggerita dalle correlazioni emerse nei risultati dello studio è che più a lungo pensiamo che duri un certo periodo di tempo, meno ci divertiamo e più siamo inclini a lamentarcene.
A rafforzare l’impressione che gennaio non finisca mai contribuiscono probabilmente anche altri fattori. Uno tra questi è che, sebbene si stiano un po’ allungando, le giornate sono ancora piuttosto prive di luce diurna: condizione che accresce la sensazione che, in un certo senso, il giorno finisca senza ancora essere finito. «Sembra tardi prima di quanto lo sia», disse a New Statesman David Whitmore, professore di cronobiologia alla University College London.
Nell’emisfero settentrionale gennaio è inoltre un periodo dell’anno in cui le giornate sono tendenzialmente molto fredde, anche nelle regioni di solito più calde. Questa combinazione di fattori ambientali rende più probabile per le persone rimanere in casa e meno frequenti gli incontri sociali, inclusi quelli casuali e non programmati, riducendo quindi le opportunità di divertimento.
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