Un nuovo promettente antidolorifico
È stato approvato negli Stati Uniti ed è il primo non a base di oppioidi in oltre vent'anni: potrebbe aprire la strada a principi attivi che non danno dipendenza
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Un nuovo promettente farmaco antidolorifico è stato approvato negli Stati Uniti, il primo con un principio attivo non a base di oppioidi a essere introdotto sul mercato nel paese nell’ultima ventina d’anni. La speranza è che possa contribuire ad alleviare l’emergenza sanitaria dovuta alla dipendenza dai farmaci a base di oppioidi nel Nord America. La suzetrigina, il principio attivo del nuovo farmaco, riduce infatti il dolore a livelli comparabili agli oppioidi, ma con un rischio ridotto di sviluppare una dipendenza o andare in overdose.
L’approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia statunitense che si occupa di medicinali, riguarda il trattamento a breve termine del dolore ed è il primo passo verso l’introduzione di una nuova generazione di farmaci che intervengono sui canali del sodio, cioè la via principale attraverso cui l’organismo prova dolore. L’approvazione era attesa da tempo, anche se nei test clinici la suzetrigina non ha mostrato di essere sempre efficace, in particolare nelle terapie contro il dolore cronico.
I canali del sodio sono una parte importante del funzionamento dei nervi specializzati nella percezione del dolore. Il sodio è un elemento chimico presente nel nostro corpo sotto forma di particelle cariche, cioè gli ioni di sodio. Funzionano un po’ come la corrente elettrica: quando entrano nelle cellule nervose attraverso particolari ingressi, che chiamiamo canali del sodio, attivano un segnale che viaggia lungo il nervo e che in ultima istanza fa sì che il nostro cervello riceva lo stimolo doloroso.
I canali del sodio sono piccole proteine, che possiamo immaginare come minuscole porte, presenti sulla membrana delle cellule nervose. Quando una di queste riceve un segnale, per esempio perché abbiamo toccato una padella rovente mentre stiamo cucinando, la carica elettrica sulla membrana cambia quel tanto che basta da indurre una modifica nella forma della porta, aprendo un canale attraverso cui possono passare gli ioni di sodio.
Al loro ingresso, cambiano le caratteristiche della carica elettrica della cellula e si produce un impulso che viaggia lungo il sistema nervoso fino al cervello, dove viene interpretato come dolore. Il processo è estremamente rapido ed è importante per rispondere velocemente a uno stimolo che potrebbe essere l’indicazione di un pericolo più grave. Se i canali del sodio non funzionano correttamente, o sono influenzati da altri fattori, possono produrre segnali di dolore anche senza una vera lesione, contribuendo al dolore cronico.
Intervenire sui canali del sodio per modulare le sensazioni dolorose non è però semplice, soprattutto perché ne esistono tipi diversi. I farmaci tradizionalmente più utilizzati per lavorare sul loro funzionamento sono la lidocaina e la procaina. Queste sostanze sono impiegate da circa un secolo come anestetici perché bloccano tutti e nove i tipi di canali del sodio, senza fare particolari distinzioni. Devono quindi essere usate con cautela e quasi sempre localmente, attraverso iniezioni o pomate, per evitare che interferiscano con funzioni vitali del sistema nervoso.
Il ruolo dei canali del sodio nella trasmissione e modulazione del dolore divenne più chiaro a partire dagli anni Novanta, quando si scoprì che tre canali sono principalmente legati ai neuroni specializzati nel percepire gli stimoli dolorosi. Fu una scoperta importante, perché significava che non avevano un ruolo particolare sul funzionamento di organi vitali e che c’era quindi la possibilità di intervenire sulla loro attività, attraverso lo sviluppo di nuove molecole.
Inizialmente le ricerche si concentrarono sul canale NaV1.7, che dà l’avvio alla catena di eventi che coinvolge poi il canale NaV1.8 che si occupa di inviare ripetuti impulsi verso il fitto fascio di neuroni del midollo spinale e infine al cervello. Nel processo è coinvolto anche il canale NaV1.9, che ha invece la funzione di modulare il segnale e regolarne la durata nelle fasi successive.
L’idea delle prime ricerche era quindi di provare a bloccare il canale all’inizio della catena (NaV1.7) in modo da intervenire alla base del processo che porta alla percezione del dolore. Bloccare la strada agli ioni di sodio si rivelò però più difficile del previsto e spinse alcuni gruppi di ricerca a sperimentare soluzioni per gli altri due canali, comunque validi obiettivi per intervenire sulla generazione del dolore. Con NaV1.9 non si ottennero risultati di rilievo, mentre la sperimentazione di molecole per NaV1.8 si rivelò promettente.
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(Business Wire via Associated Press)
La società statunitense Vertex Pharmaceuticals, in particolare, avviò la sperimentazione di alcuni principi attivi per inibire i meccanismi del canale NaV1.8, arrivando infine alla suzetrigina. I test mostrarono che la molecola blocca quel canale circa 30mila volte più efficacemente di quanto faccia con gli altri, quindi senza effetti generalizzati come avviene con la lidocaina.
Dopo le prove in laboratorio, negli ultimi anni Vertex aveva effettuato i test clinici necessari per verificare la sicurezza e l’efficacia del nuovo farmaco, rispetto ad altri principi attivi già disponibili o ai placebo (cioè sostanze che non fanno nulla). Dalle sperimentazioni era emerso che in vari ambiti, per esempio dopo un’operazione chirurgica, la suzetrigina aveva un effetto antidolorifico paragonabile a quello degli oppioidi più diffusi, ma senza i loro effetti avversi e l’alto rischio di svilupparne una dipendenza. Il principio attivo è in generale ben tollerato, anche se in alcuni casi può comportare nausea, mal di testa e capogiri.
Sempre nei test clinici la suzetrigina si è invece rivelata meno efficace nel trattare il dolore cronico. Persone che soffrivano di sciatica hanno segnalato di avere avuto benefici, ma hanno fatto altrettanto anche i partecipanti al test che assumevano un placebo (i partecipanti non sapevano se stessero assumendo il farmaco vero e proprio a una sostanza che non fa nulla). Sono quindi ancora da approfondire l’efficacia e l’utilità di questa molecola su persone che soffrono di dolore cronico, ambito medico dove gli oppioidi hanno trovato in passato grande impiego portando all’attuale emergenza sanitaria.
Non è ancora chiaro con che tempi il farmaco sarà disponibile in Europa, dove non c’è comunque una situazione grave legata al consumo di oppioidi come nel Nord America. Sull’eventuale successo della suzetrigina negli Stati Uniti – dove sarà venduta con il nome commerciale di Journavx – potrebbe comunque influire il prezzo fissato al momento a 15,50 dollari per pillola, ben più alto rispetto a quanto costano i farmaci generici a base di oppioidi. Un’analisi ha comunque segnalato come il costo per i sistemi sanitari, pubblici e privati, potrebbe essere sostenibile se rapportato ai costi economici e sociali derivanti dalle dipendenze da oppioidi.
L’approvazione della suzetrigina è considerata l’inizio di una nuova fase nella ricerca e nella sperimentazione dei farmaci che intervengono sui canali del sodio. Altre aziende farmaceutiche sono al lavoro per sviluppare principi attivi per inibire il canale NaV1.8, al momento l’obiettivo più promettente per questo tipo di farmaci. Negli ultimi anni sono inoltre riprese le ricerche su NaV1.7, che potrebbe dare la possibilità di ridurre più efficacemente il dolore intervenendo anche sui tempi di azione del farmaco.