Come funziona il tribunale dei ministri
Per i reati commessi durante le funzioni di un presidente del Consiglio o di un ministro le indagini funzionano in modo diverso: per questo Meloni non ha ricevuto un «avviso di garanzia»
![(ANSA/FABIO FRUSTACI)](https://static-prod.cdnilpost.com/wp-content/uploads/2025/01/29/1738132798-ilpost_20250129073915439_46a230b11b0fa8dcda4b8994d5a2956b.jpg)
Martedì la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto di essere indagata per la liberazione di Njeim Osama Elmasry, il capo della polizia giudiziaria della Libia. Meloni è sospettata di favoreggiamento e peculato. La liberazione di Elmasry era avvenuta la settimana scorsa con modalità molto irrituali.
Meloni stessa ha generato un po’ di confusione sulla vicenda, perché ha detto più volte di avere ricevuto un “avviso di garanzia”, e ha attribuito l’indagine al procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, lo stesso che aveva indagato Salvini per il caso Open Arms. In realtà la comunicazione arrivata a Meloni è diversa: nelle prossime settimane, a indagare sul caso non sarà la procura di Roma ma il cosiddetto tribunale dei ministri.
Infatti secondo l’articolo 7 della legge costituzionale numero 1 del 1989 il presidente del Consiglio e i ministri, per reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, non sono indagati dalle procure della Repubblica ma da un particolare collegio di giudici, detto tribunale dei ministri, che esiste in ogni distretto di Corte d’Appello ed è composto da tre magistrati sorteggiati preventivamente ogni due anni. In una indagine ordinaria la procura può scegliere di non avvisare la persona indagata, se ritiene che non sia necessario. È invece obbligata a farlo nel caso in cui nei confronti di questa persona intenda compiere un atto che prevede la presenza del suo avvocato difensore, come per esempio un interrogatorio.
Il tribunale dei ministri funziona in modo leggermente diverso. Se una procura riceve una denuncia a un ministro o una ministra, presidente del Consiglio compreso, la legge numero 1 del 1989 prescrive di inviare gli atti al tribunale dei ministri competente «omessa ogni indagine», cioè prima di avere compiuto ogni tipo di valutazione. Dopodiché la procura deve comunicare al ministro o alla ministra interessata di aver inviato gli atti al tribunale dei ministri: è questa la comunicazione ricevuta da Meloni. La differenza tra questa comunicazione, detta “di iscrizione al registro delle notizie di reato”, e un avviso di garanzia è che quest’ultimo è un atto che fa parte dell’indagine, mentre la comunicazione no.
La procura di Roma ha inviato gli atti dopo una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti: nel fascicolo arrivato al tribunale dei ministri ci sono solo le due pagine dell’esposto di Li Gotti, che contengono frammenti di articoli di giornale sulla liberazione di Elmasry.
Dopo aver ricevuto gli atti dalla procura, il tribunale dei ministri ha 90 giorni di tempo a disposizione per decidere se archiviare il procedimento, inviare gli atti a una diversa autorità giudiziaria se ritiene che il reato potrebbe essere stato compiuto al di fuori delle funzioni ministeriali, oppure proseguire l’indagine. In quel caso gli atti tornerebbero alla procura, che dovrà chiedere un’ulteriore autorizzazione alla camera del parlamento in cui è stato eletto il ministro o la ministra (per Meloni sarebbe la Camera dei deputati) o al Senato se non è un parlamentare, come per esempio il ministro Piantedosi.
Spetterà alla camera decidere se autorizzare o meno la prosecuzione delle indagini: l’articolo 9 della legge costituzionale prevede che la camera possa negare l’autorizzazione se ritiene che il ministro o la ministra indagata abbia agito «per la tutela di un interesse dello Stato», «ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo». La valutazione finale, insomma, è politica.
È anche vero che un piccolo margine di discrezionalità esiste: il tribunale dei ministri non si occupa di ogni denuncia che riceve un ministro, una ministra o il presidente del Consiglio. In caso di denunce particolarmente fantasiose o che non stanno in piedi, le procure – quasi sempre è quella di Roma – possono decidere semplicemente di non dare loro seguito. A questo margine di discrezionalità si appellano Meloni e i suoi collaboratori quando sostengono che la procura di Roma ce l’ha con il governo, perché secondo loro una valutazione di merito esiste nel momento in cui trasmette gli atti al tribunale dei ministri. Nel video in cui racconta di essere indagata, Meloni fa il nome di Lo Voi e definisce Li Gotti come un «ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi», nonostante Li Gotti sia stato anche nella destra postfascista del Movimento Sociale Italiano.
Meloni conclude il video così: «Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire, è possibile che sia diciamo così invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore, ma anche e soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada a difesa degli italiani».