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  • Martedì 28 gennaio 2025

La crisi tra Colombia e Stati Uniti dice molto sui prossimi quattro anni

Donald Trump ha agito in modo irrituale, usando i dazi come minaccia per ottenere qualcosa: potrebbe diventare la norma nei rapporti internazionali

Il presidente colombiano Gustavo Petro (AP Photo/Fernando Vergara)
Il presidente colombiano Gustavo Petro (AP Photo/Fernando Vergara)
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La crisi diplomatica fra Stati Uniti e Colombia riguardo ad alcuni voli di rimpatrio di migranti potrebbe essere un esempio di come Donald Trump vuole impostare i rapporti di politica estera durante il suo secondo mandato. Per risolvere la questione Trump si è mosso in modo molto irrituale per un presidente statunitense: nel giro di poche ore ha minacciato di imporre pesanti dazi sulle importazioni di merci colombiane, costringendo così il suo omologo Gustavo Petro a cedere alle richieste degli Stati Uniti. Lo stesso modello potrebbe essere ripetuto anche con altri paesi dai quali Trump vuole ottenere qualcosa, tra cui la Danimarca e Panama.

Lo scontro diplomatico con la Colombia è durato meno di dodici ore, in cui Trump ha annunciato e preso decisioni radicali. È cominciata per il rifiuto di Petro di accettare due voli militari che rimpatriavano migranti colombiani espulsi dagli Stati Uniti: il presidente colombiano chiedeva un trattamento più «rispettoso» per i migranti, e voleva per esempio che fossero usati voli civili e non militari. Trump non ha convocato riunioni di gabinetto, non ha analizzato documenti né valutato opzioni per ridurre le tensioni: nel giro di poche ore è ricorso all’annuncio di nuovi dazi, uno strumento di cui da mesi parla molto spesso.

Trump aveva annunciato l’imminente imposizione di dazi fino al 50 per cento sulle merci colombiane. La Colombia era in questo senso un obiettivo piuttosto facile: dipende dagli Stati Uniti per un quarto delle sue esportazioni, soprattutto di petrolio, carbone e caffè. Ma è anche un alleato storico degli Stati Uniti in America Latina: la nuova amministrazione statunitense ha mostrato di essere poco interessata alla salvaguardia di questi rapporti. Ha invece assunto un atteggiamento che su alcuni media statunitensi è stato definito «spavalderia da superpotenza».

Trump ha comunicato le sue decisioni tramite il suo social network Truth, usando dei termini e una retorica piuttosto aggressivi. Solo dopo l’annuncio su Truth sono stati diffusi comunicati ufficiali della Casa Bianca, un’altra mossa molto irrituale. Petro ha inizialmente cercato di resistere, annunciando dazi a sua volta, poi nel giro di poche ore ha cambiato idea e rinunciato alle sue richieste: ha acconsentito ai voli di rimpatrio, ottenendo in cambio il ritiro dei dazi (che quindi non sono mai entrati in vigore). La vittoria “diplomatica” potrebbe convincere Trump a ripetere questo metodo, nella forma e nella sostanza, nelle prossime situazioni in cui vorrà chiedere qualcosa a un paese straniero.

Donald Trump con la moglie Melania (AP Photo/Evan Vucci)

Le prime occasioni potrebbero essere vicine: fra pochi giorni il segretario di Stato Marco Rubio andrà a Panama, con ogni probabilità per chiedere nuovamente il controllo del canale costruito 120 anni fa dagli Stati Uniti e tornato alla gestione di Panama alla fine del 1999.

Inoltre da tempo Trump ripete con sempre maggiore aggressività che gli Stati Uniti ritengono strategico un maggiore controllo sulla Groenlandia, l’enorme isola che fa parte del territorio della Danimarca, pur con grande autonomia. Il governo groenlandese è ormai cosciente che ribadire che «la Groenlandia non è in vendita», come ha fatto recentemente, può non essere sufficiente per convincere Trump.

Lunedì 27 gennaio il governo danese ha annunciato investimenti militari per oltre 2 miliardi di euro per la «sicurezza della regione Artica», in collaborazione con i territori autonomi della Groenlandia e delle isole Faroe. Verranno acquistati droni a lungo raggio e due nuove navi adatte ai mari artici, e sarà aumentata la disponibilità di strumenti satellitari. Il ministro della Difesa danese Troels Lund Poulsen ha detto: «Dobbiamo fare i conti col fatto che ci sono seri pericoli alla sicurezza e alla difesa nell’Artico e nell’Atlantico settentrionale».