Gli occhi più famosi della storia del cinema

Erano quelli di Paul Newman, che nacque cent'anni fa e nonostante quella faccia provò a farsi molto i fatti suoi

Paul Newman nel film Il verdetto (mptvimages/ Contrasto)
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Nel 1986, durante un’intervista per il New York Times Magazine, Paul Newman disse scherzando di immaginarsi che sulla sua tomba ci sarebbe stato scritto «morto da fallito perché i suoi occhi sono diventati marroni». Alludeva al fatto che la sua celebrità era indissolubilmente legata al suo bell’aspetto e in particolare ai suoi occhi azzurro intenso, spesso definiti i più belli di Hollywood.

Ma Paul Newman, che nacque il 26 gennaio del 1925, cent’anni fa, mostrava un certo fastidio al riguardo. Per quanto fin dai primi anni Sessanta fosse uno degli attori più famosi e celebrati del cinema mondiale era un tipo molto semplice: rifiutava di fare autografi e preferiva stare nella sua casa di campagna nel Connecticut; «era annoiato dalla moda e imbarazzato dalle donne che flirtavano senza pudore con lui o gli chiedevano di togliersi gli occhiali da sole per vedere i suoi occhi», dice Maureen Dowd, la giornalista che lo aveva intervistato nel 1986.

Essere attore per Newman era importante, ma lo furono almeno altrettanto la sua passione per le auto da corsa, l’attivismo politico e le sue attività filantropiche. Con tutto questo «alzò l’asticella troppo in alto non solo per gli attori, ma per tutti noi», disse George Clooney al momento della sua morte, nel 2008.

È difficile dire per quali film Paul Newman sia entrato nell’immaginario collettivo come uno degli attori che hanno fatto la storia del cinema. Fu candidato agli Oscar come migliore attore dieci volte per film come Lo spaccone, Nick mano fredda e Hud il selvaggio, ma ne vinse solo uno, nel 1987, grazie al ruolo del vecchio campione di biliardo del Colore dei soldi di Martin Scorsese. Lavorò con Alfred Hitchcock per Il sipario strappato e con Otto Preminger in Exodus, con Sydney Pollack in Diritto di cronaca e con Sidney Lumet per Il verdetto.

Fu poi il protagonista di Detective’s Story, Colpo secco e L’uomo dai 7 capestri. Con Robert Redford interpretò Butch Cassidy e La stangata, entrambi film di enorme successo.

Al cinema interpretò ruoli via via più complessi, senza per questo perdere il suo carisma. Fuori invece gli piacevano Bach, la birra Budweiser e fare scherzi, racconta sempre Dowd. Per la giornalista di Variety Liz Smith, insomma, «il vero Paul Newman» era tutto fuorché la tipica star di Hollywood.

Paul Leonard Newman nacque in un quartiere agiato poco fuori Cleveland, in Ohio, dove i suoi genitori gestivano un negozio di articoli sportivi. A 18 anni si arruolò in Marina puntando a diventare pilota di aerei, ma fu esonerato perché daltonico: durante la Seconda guerra mondiale finì così a lavorare come operatore radio, e una volta congedato cominciò a studiare recitazione, prima a Yale e poi a New York, dove frequentò il prestigioso Actors Studio sotto la guida di Lee Strasberg.

Nei primi anni Cinquanta ottenne alcuni ruoli a Broadway, e nel 1954 debuttò al cinema con Il calice d’argento, un dramma a tema biblico non proprio ben riuscito. Anni dopo, quando fu trasmesso in tv, l’attore comprò alcune pagine pubblicitarie su diversi giornali, dove lo definì «il peggior film degli anni Cinquanta», si scusò per la sua interpretazione e chiese alla gente di non vederlo. Ci volle comunque poco perché il pubblico si accorgesse di lui: nel 1956 fu il pugile protagonista di Lassù qualcuno mi ama, un ruolo per cui era stato scelto James Dean, morto prima di cominciare le riprese; due anni dopo invece recitò assieme a Elizabeth Taylor in La gatta sul tetto che scotta, per cui entrambi furono candidati agli Oscar.

Nel frattempo in una produzione a Broadway aveva conosciuto l’attrice Joanne Woodward, che sempre nel 1958 sposò subito dopo aver lasciato la prima moglie, Jacqueline Witte. Newman e Woodward recitarono insieme in diversi film, tra cui La lunga estate calda del 1958 e Indianapolis pista infernale, del 1969: fu da lì che nacque la sua passione per le auto da corsa, a cui si dedicò anche professionalmente e con un certo successo. Peraltro Newman contribuì a rendere famoso il modello di orologio della Rolex chiamato Daytona, in onore della corsa che si teneva nell’omonima città della Florida, conosciuto proprio come Rolex Daytona Paul Newman.

Negli stessi anni Newman debuttò anche alla regia, collaborando in più occasioni con Woodward, lui come regista e lei come attrice. Con La prima volta di Jennifer ottenne quattro candidature agli Oscar, tra cui quella per miglior film.

Era il periodo di Butch Cassidy, che lo rese l’attore più famoso degli Stati Uniti. Ma era anche il periodo del suo attivismo politico. Newman infatti fu uno dei primi attori a interessarsi attivamente di diritti civili e dei movimenti contrari alla guerra in Vietnam nonché a esporsi pubblicamente in favore dei Democratici: sostenne la candidatura alle elezioni presidenziali del senatore Eugene McCarthy, inimicandosi così il presidente Repubblicano Richard Nixon, «uno dei risultati di cui andava più orgoglioso», disse.

Al di là dell’attivismo, Newman promosse numerose attività filantropiche. In seguito alla morte del figlio Scott, avvenuta per overdose da alcol e farmaci, nel 1978 fondò un’organizzazione benefica per prevenire l’uso di droghe e aiutare chi era in difficoltà. Istituì poi una commissione per incoraggiare la filantropia tra gli imprenditori e il programma Hole in the Wall, una serie di campi estivi per permettere ad adolescenti con gravi problemi di salute di andare in vacanza. Aprì anche un’azienda di sughi e condimenti ispirati a quelli che faceva a casa per invitare le persone a sprecare di meno: grazie agli incassi della Newman’s Own donò oltre 250 milioni di dollari a varie iniziative.

Dagli anni Novanta Newman cominciò a recitare sempre meno. Dopo aver interpretato Mr. and Mrs. Bridge, sempre con la moglie, nel 1994 recitò in Mister Hula Hoop e La vita a modo mio, mentre nel 2002 fu il capostipite di una famiglia di gangster nel film di Sam Mendes Era mio padre. Continuò comunque ad avere la passione delle macchine da corsa, tanto da essere uno dei principali doppiatori del film di animazione Cars. La sua ultima interpretazione fu quella nella miniserie del 2005 Empire Falls – Le cascate del cuore con Ed Harris, Robin Wright, Philip Seymour Hoffman e l’immancabile Woodward, tra gli altri.

Newman morì nel settembre del 2008 a 83 anni per un cancro. In un comunicato, le sue figlie lo ricordarono come «un raro simbolo di generosa umiltà». Dissero che tra i «ruoli indimenticabili» che aveva interpretato quelli di cui andava più fiero non erano quelli in bella vista nei cartelloni al cinema.

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