Una crisi sulle espulsioni di migranti fra Colombia e Stati Uniti si è risolta in fretta
Il presidente Gustavo Petro voleva impedire l'atterraggio di due aerei con migranti espulsi, ma ha cambiato idea dopo che Trump aveva minacciato di imporre dei dazi
![(AP Photo/Mark Schiefelbein)](https://static-prod.cdnilpost.com/wp-content/uploads/2025/01/27/1737960528-AP25026076252430.jpg)
Domenica i governi di Stati Uniti e Colombia si sono scontrati sul tema delle espulsioni dei migranti: il presidente colombiano Gustavo Petro si era rifiutato di far atterrare dei voli con a bordo migranti espulsi dagli Stati Uniti, e il suo omologo statunitense Donald Trump aveva risposto annunciando la futura imposizione di dazi del 25 per cento su tutte le merci che arrivano nel paese dalla Colombia. Lo scontro si è risolto rapidamente: nella notte la Colombia ha accettato di accogliere i voli coi migranti in cambio di una rinuncia ai dazi. La crisi potrebbe però diventare un esempio della politica estera di Trump, basata sull’uso dei dazi per minacciare i paesi che si oppongono alle sue decisioni.
La crisi era cominciata quando domenica Petro aveva impedito l’atterraggio di due aerei militari statunitensi che trasportavano migranti colombiani espulsi dagli Stati Uniti. Petro, eletto nel 2022 e sostenuto da una coalizione di sinistra, aveva annunciato di voler vietare i rimpatri fino a quando gli Stati Uniti non «tratteranno i migranti colombiani con dignità e rispetto», aggiungendo però che sarebbe stato disposto ad autorizzarli se Trump avesse accettato di portarli nel paese con aerei civili, e non militari. Secondo il segretario di Stato statunitense Marco Rubio, inizialmente Petro aveva dato tutti i permessi necessari, ma poi avrebbe annullato l’autorizzazione mentre gli aerei erano in viaggio.
Trump aveva risposto annunciando i dazi con un post sul suo social network Truth dai toni molto piccati, in cui tra le altre cose accusava «il presidente socialista Gustavo Petro, già molto impopolare tra la sua gente», di aver messo in pericolo la sicurezza nazionale statunitense. Trump aveva aggiunto che i dazi sarebbero aumentati fino al 50 per cento entro una settimana, e annunciato una serie di ulteriori misure nei confronti della Colombia, tra cui la revoca immediata dei visti per i funzionari del governo e l’imposizione di controlli doganali più rigorosi nei confronti dei cittadini colombiani.
Dopo alcune ore, quando negli Stati Uniti e in Colombia era tarda serata, i due governi sono arrivati a un accordo, presentato dalla portavoce del governo statunitense Karoline Leavitt come l’accettazione da parte di Petro «di tutti i termini imposti dal presidente Trump», compreso il rimpatrio su aerei militari, «senza limiti né ritardi». L’ordine esecutivo sui dazi non è quindi stato firmato, mentre le limitazioni sui visti sarebbero rimaste in vigore «fino all’atterraggio del primo aereo».
Il governo di Petro ha confermato l’accordo, dicendo però che un aereo presidenziale sarebbe partito lunedì per riportare nel paese i primi migranti espulsi e che rappresentanti del governo colombiano avrebbero tenuto un’altra riunione con esponenti del governo statunitense per definire la collaborazione in futuro.
La Colombia è stata a lungo uno dei principali alleati degli Stati Uniti in America Latina e ha collaborato in questi anni con le amministrazioni statunitensi, anche sul tema dell’immigrazione. Fra il 2020 e il 2024 ha accettato 475 voli con immigrati espulsi dagli Stati Uniti (quinto paese dopo Guatemala, Honduras, Mexico ed El Salvador), di cui 124 solo nel 2024. Negli ultimi anni i migranti colombiani sono stati particolarmente numerosi lungo il confine fra Messico e Stati Uniti, favoriti anche dalla possibilità di entrare legalmente in Messico e potendo così evitare di attraversare il Buco di Darién, la giungla che separa Panama e la Colombia ed è la parte più pericolosa della rotta.
Non appena entrato in carica, lo scorso 20 gennaio, Trump ha introdotto misure molto restrittive sull’immigrazione: tra le altre cose ha promesso che manderà via dal paese «milioni e milioni» di persone senza cittadinanza o permesso di soggiorno. Si stima che nel paese gli immigrati irregolari siano circa 11 milioni, molti dei quali fondamentali per l’economia degli Stati Uniti.
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