Come se la passa il PD

Due recenti convegni di cattolici e riformisti hanno rianimato il dibattito interno, che al momento però non sembra preoccupare molto la segretaria Elly Schlein

Elly Schlein e Romano Prodi partecipano a un convegno sulle politiche europee organizzato dal PD, a Roma, il 16 dicembre 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)
Elly Schlein e Romano Prodi partecipano a un convegno sulle politiche europee organizzato dal PD, a Roma, il 16 dicembre 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)
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Il 18 e il 19 gennaio è stato un finesettimana movimentato per il Partito Democratico. Si sono infatti svolti due convegni che hanno rianimato il dibattito interno: uno, a Milano, intitolato “Creare legami” e organizzato dal senatore Graziano Delrio, ha riunito vari esponenti cattolici del partito e dell’area dei popolari di centrosinistra (ha partecipato anche l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi); l’altro, a Orvieto, “Idee per una sinistra di governo”, è coinciso con l’assemblea annuale di Libertà Eguale, un’associazione politica che è un po’ il riferimento dei riformisti e dei socialisti liberali che stanno nel PD o che ci gravitano attorno.

Erano entrambi appuntamenti ricorrenti, che però quest’anno hanno finito per assumere un rilievo mediatico insolito anche a causa della coincidenza temporale, che comunque non era voluta. In effetti però c’erano dei punti in comune: l’uno e l’altro convegno sono stati l’espressione di un certo malessere che vivono alcuni gruppi culturali e alcune correnti del PD più centriste, che si ritengono non adeguatamente rappresentate dalla linea imposta al partito dalla segretaria Elly Schlein. Anche se alcune riflessioni del convegno di Milano erano simili a quelle trattate a Orvieto, nel complesso le due iniziative non sono poi così affini e almeno per ora non sembra che possano condizionare granché la segreteria del PD.

Pur essendo grosso modo d’accordo sui limiti delle scelte di Schlein, infatti, i cattolici democratici e i cosiddetti riformisti non hanno un’idea comune su come si dovrebbe reagire. Un episodio che ha legato i due incontri è stato emblematico della distanza tra i due gruppi. Nella tarda mattinata di sabato gli organizzatori dei due convegni avevano fatto in modo che ciascuna delle due assemblee ascoltasse un intervento dei relatori dell’altra: prima a Milano si è trasmesso l’intervento di Giorgio Tonini e subito dopo a Orvieto hanno ascoltato quello di Pierluigi Castagnetti. Mentre veniva trasmesso il lungo discorso di Castagnetti, però, Tonini ha commentato sottovoce con alcuni suoi compagni di Orvieto in maniera un po’ caustica, non accorgendosi che uno dei microfoni era ancora acceso: «I democristiani sono logorroici. Sono abituati ai congressi che duravano una settimana». Nel frattempo Valeria Fedeli, ex ministra e senatrice del PD, commentava in diretta su YouTube: «Attenzione si sentono i vostri commenti».

Al di là di questo incidente, le differenze di orientamenti sono emerse anche dagli interventi che hanno mostrato due finalità diverse per i due convegni (e forse anche più di due). Da Orvieto sostanzialmente la corrente della sinistra riformista del partito ha fatto un appello a Schlein a prestare maggiore attenzione ad alcuni temi: per loro va bene concentrarsi su sanità e salari, ma bisogna occuparsi anche di politica internazionale, di economia e di sicurezza. Non c’è comunque un tentativo di destabilizzare Schlein e la prospettiva è restare dentro il PD.

L’intervento più atteso è stato dell’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che ha invitato la segretaria a essere più risoluta nell’esprimere il sostegno all’Ucraina, a farsi maggiormente carico delle “ansie” del ceto medio (ha parlato di “bisogni degli ultimi ma anche dei penultimi”), e a non lasciare che di sicurezza pubblica parli solo la destra. Gentiloni ha appunto escluso che si possa cercare fortuna fuori dal PD (ha citato il vecchio motto cattolico «extra ecclesiam nulla salus», cioè «al di fuori della Chiesa non c’è salvezza») e ha semmai detto che potrebbe essere auspicabile che nascesse un partitino di centro nell’area del centrosinistra.

Su questo si sono interrogati, in maniera più o meno criptica, i partecipanti al convegno di Milano. Lì l’intervento più importante è stato di Romano Prodi, che ha indicato una sorta di programma che un centrosinistra più vicino ai cattolici progressisti dovrebbe seguire. Prodi da tempo manifesta il suo scetticismo sulle reali capacità di Schlein di guidare il centrosinistra alle prossime elezioni come candidata alla presidenza del Consiglio, e ha cercato qualcuno che potesse in qualche modo essere un punto di riferimento di quest’area.

Alla fine questo qualcuno è stato individuato in Ernesto Maria Ruffini, che tra il 2017 e il 2018 e poi di nuovo a partire dal 2020 è stato direttore dell’Agenzia delle Entrate (quella che si occupa della riscossione delle tasse), incarico da cui si è dimesso lo scorso dicembre: secondo molti lo avrebbe fatto per potersi dedicare più liberamente alla politica, anche se lui ha negato di voler assumere incarichi istituzionali. Ruffini stesso è intervenuto a Milano, vagheggiando tra l’altro la possibilità di costruire una «maggioranza Ursula» alternativa a quelle di centrodestra e di centrosinistra, cioè una maggioranza che escluda le parti più estreme di entrambi gli schieramenti e che veda il sostanziale accordo tra PD e Forza Italia. Ma il riferimento è stato abbastanza ambiguo.

Gli orientamenti di chi è intervenuto a Milano ruotano tutti attorno alle prospettive incerte dei partiti di centro, ma per ora sono piuttosto discordanti. C’è chi più convintamente ritiene necessario favorire la nascita di un nuovo «contenitore», come è stata definita l’idea di un partito più ampio che comprenda sia il PD che parti del centro (è la stessa sostenuta dal sindaco di Milano Beppe Sala, e anche da Matteo Renzi, ma i due non vanno affatto d’accordo); c’è chi invece, come Graziano Delrio e forse lo stesso Prodi, crede che un nuovo partito non serva, ma si debba cercare un candidato presidente del Consiglio più moderato rispetto a Schlein che riunisca tutto il centrosinistra; c’è chi infine, come per esempio l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, crede che per ora ci si debba limitare a rivendicare con maggiore fermezza la centralità di alcuni temi cari a quest’area e dare un segnale chiaro agli elettori cattolici e moderati, che altrimenti finirebbero per essere attratti dal centrodestra.

Il dato più certo emerso dalle discussioni del fine settimana è che Stefano Bonaccini non è il vero punto di riferimento della minoranza. Dopo aver sorprendentemente perso il congresso nel 2023, Bonaccini si è messo a capo della corrente più moderata, definita riformista, cercando da subito un rapporto collaborativo e per nulla conflittuale con Schlein. Anche per questo è diventato oggetto delle critiche di molti dei riformisti che lo avevano sostenuto al congresso e che lo hanno più volte esortato a incalzare con più determinazione Schlein. I convegni di Orvieto e Milano segnano dunque la presa di distanza dei cattolici e dei riformisti da Bonaccini, che finora su questo non ha detto nulla.

Elly Schlein e Stefano Bonaccini durante l’assemblea nazionale del PD, a Roma, il 14 dicembre 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Il dibattito interno di questo finesettimana non ha messo granché in difficoltà Schlein: è probabile che nei prossimi mesi le correnti di minoranza, quelle più moderate, criticheranno in maniera più esplicita certe sue posizioni, ma al tempo stesso quella minoranza appare ora piuttosto disorientata, senza reali posizioni comuni e senza leader in grado di proporsi come valida alternativa alla segretaria. Che di fatto ha reagito mantenendosi molto defilata, come è sua abitudine. Il suo staff ha fatto sapere alla stampa che Schlein rispetta e ascolta queste posizioni, ma al tempo stesso ha rivendicato i risultati ottenuti finora: un recupero del consenso rispetto al 2022, la ritrovata sintonia con alcune categorie che si erano un po’ distaccate (la CGIL, gli operai, l’associazionismo, gli attivisti per i diritti civili).

Più in generale, Schlein ha dimostrato un’abilità politica che molti dei suoi avversari interni, ma anche molti dei suoi sostenitori, inizialmente non le avevano riconosciuto. Ha evitato di esporsi troppo sui temi più divisivi all’interno del PD (l’alleanza con il Movimento 5 Stelle e il sostegno militare all’Ucraina, per dirne due); ha progressivamente isolato i capi delle correnti che potevano più o meno direttamente insidiarla (Bonaccini, così come Nicola Zingaretti, sono al Parlamento Europeo in un ruolo più marginale, Andrea Orlando si è concentrato sulla Liguria); e ha fatto accordi con altri, in particolare con Dario Franceschini. Quest’ultimo è sì espressione di una cultura cattolica progressista, ma si riconosce nell’azione della segretaria e dunque la “copre”, per così dire, su quel fronte.

– Leggi anche: Le correnti del Partito Democratico sono ancora lì

In definitiva, Schlein non ha smantellato le correnti come aveva promesso di fare, ma di certo la sua elezione a segretaria e alcune sue scelte hanno contribuito a disgregarle, costringendole a riposizionarsi e rendendo molto più fluida la situazione interna del partito.

Inoltre Schlein ha imposto una gestione sempre più verticistica del partito, prendendo l’abitudine a consultarsi con una cerchia molto ristretta di collaboratori, spesso due o tre al massimo. Allo stesso tempo ha rinunciato abbastanza presto agli approcci radicali che aveva durante la campagna congressuale, proprio per non dare pretesti ai suoi oppositori interni per attaccarla.

Ad aprile Schlein diventerà la terza segretaria più longeva della storia del PD, dopo Renzi e Pier Luigi Bersani.

Schlein tratta le due correnti del partito – i riformisti e i cattolici – in modi un po’ diversi. I riformisti li ritiene del tutto organici al PD, e fa in modo di non esasperare i conflitti latenti con loro. Invece nei confronti di chi le chiede una maggiore attenzione alle istanze dei cattolici ha un atteggiamento un po’ meno accomodante, nel senso che ritiene che la sua leadership non possa, diciamo, compromettersi troppo in quel senso (significherebbe, solo per fare un esempio su un tema molto caro alla segretaria, rinunciare in parte al suo impegno in favore della comunità LGBTQ+). Perciò, stando almeno a quanto lasciano intendere alcuni suoi collaboratori, Schlein non disdegnerebbe affatto la nascita di un partito centrista cattolico come una sorta di alleato a destra del PD: anche perché questo le consentirebbe di definire ancora di più la sua segreteria in senso progressista e radicale.

Anche se lei è stata silenziosa, alcuni parlamentari hanno osservato con un certo distacco i convegni di Orvieto e Milano. Recuperando una vecchia battuta con cui Guerini tempo fa aveva chiesto a Schlein «quando finisce l’assemblea d’istituto?» (una critica a certi approcci ritenuti ingenui e radicali della segreteria) alcuni deputati vicini a Schlein si sono chiesti se l’alternativa all’assemblea d’istituto sia «la bocciofila o la riunione di condominio», in riferimento alle discussioni percepite come inconcludenti e ombelicali fatte nei due convegni. Quanto all’iniziativa dei cattolici a Milano, segnalano le profonde divisioni in quell’area che invece dovrebbe mostrarsi compatta: il sostegno militare all’Ucraina e in generale la politica estera è forse il tema su cui ci sono distanze maggiori tra i cattolici.

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