E il metaverso?

Nonostante decine di miliardi di dollari di investimenti, del mondo virtuale immaginato da Mark Zuckerberg è rimasto poco, e ora si punta sulla «realtà mista»

Il CEO di Meta Mark Zuckerberg in una presentazione del metaverso. (AP Photo/Eric Risberg)
Il CEO di Meta Mark Zuckerberg in una presentazione del metaverso. (AP Photo/Eric Risberg)
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Nell’ottobre del 2021 Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, annunciò che il gruppo di cui faceva parte l’azienda (insieme a Instagram, WhatsApp e altre società) si sarebbe chiamato Meta. Il nuovo nome era un diretto riferimento al metaverse, o metaverso, una tecnologia immersiva, simile a un mondo in realtà virtuale visitabile dagli utenti, che avrebbe dovuto sostituire il web per come lo conosciamo. In realtà Facebook aveva cominciato a investire nel settore già nel 2014, quando acquisì Oculus, azienda sviluppatrice di visori per la realtà virtuale.

Nonostante dal 2021 a oggi Meta abbia speso circa 46 miliardi di dollari in questo progetto, il metaverso non è diventato una tecnologia di utilizzo quotidiano e, anzi, a partire dal 2023, l’entusiasmo e le aspettative sul suo conto (il cosiddetto hype) sono stati sostituiti da quelli per le intelligenze artificiali generative. I limiti incontrati dal metaverso di Meta erano soprattutto di natura tecnologica ed economica: sviluppare una realtà virtuale realistica è estremamente costoso e ha bisogno di tecnologie molto potenti, che non sono ancora disponibili sul mercato. Quanto ai dispositivi necessari per interagirci, sono spesso molto voluminosi e non garantiscono la migliore esperienza possibile.

Nel pieno dell’interesse di Meta per il settore, Zuckerberg presentò un futuro vicino in cui gli utenti avrebbero potuto muoversi in ambienti digitali, partecipare a riunioni, allenarsi e incontrare altre persone, senza mai lasciare il metaverso. Al centro della strategia dell’azienda c’era Horizon Worlds, un videogioco che faceva da punto di partenza dell’esperienza del metaverso: secondo fonti interne all’azienda, al massimo della sua diffusione, la piattaforma raggiunse i 300mila utenti mensili.

Tra il 2021 e il 2022 le discussioni sul metaverso si legarono all’interesse per criptovalute e altri servizi basati sulla blockchain, come gli NFT: dall’unione tra realtà virtuale e il settore crypto nacque il cosiddetto “Web3”, una presunta nuova era di internet in cui gli utenti avrebbero potuto visitare ambienti virtuali e fare acquisti utilizzando criptovalute. Nel corso del 2022 il settore crypto entrò in una lunga crisi – che culminò con l’arresto di Sam Bankman-Fried, giovane imprenditore e fondatore del servizio FTX – e anche l’interesse nei confronti del Web3 scemò velocemente, portando con sé anche quello per il metaverso.

I mesi successivi furono di grande difficoltà per Meta, che tanto aveva investito nella tecnologia, e ancora di più per le molte startup che avevano cercato di imporsi nel settore, e che non potevano contare sulle dimensioni del gruppo per resistere alla crisi del Web3 e del metaverso. Tra i principali errori commessi da Meta all’epoca ci fu sicuramente essersi concentrata sull’ambiente lavorativo: nelle dimostrazioni del metaverso, infatti, gli utenti venivano sempre mostrati mentre, indossando i loro visori, erano davanti al computer o partecipavano a videoriunioni a distanza. Per molto tempo mancò un’applicazione divertente di questa tecnologia, nonostante da sempre la realtà virtuale abbia un rapporto molto stretto con i videogiochi e l’attività fisica, ad esempio.

Questa visione fredda e lavorativa del metaverso finì per essere rappresentata dall’ossessione di Meta per le gambe degli avatar degli utenti. Per molti mesi, infatti, gli utenti di Horizon World apparivano come busti, senza gambe, perché i visori tendono a tracciare i movimenti della parte superiore del corpo. Quando alla fine del 2022 la tecnologia di Meta progredì abbastanza da incorporare le gambe negli avatar, Zuckerberg lo annunciò trionfalmente, finendo per suscitare grande ilarità nei social. Il New York Times raccolse anche la confusione e la frustrazione di molti dipendenti del gruppo, che raccontarono di riferirsi internamente al progetto del metaverso con la sigla M.M.H., che stava per Make Mark Happy (“rendi Mark felice”).

Da allora Meta non ha smesso di investire nel metaverso, anche se è stata costretta a ricalibrare le proprie spese, in favore soprattutto delle intelligenze artificiali. Uno degli effetti di quel periodo speculativo è che oggi il termine “metaverso” è stato abbandonato, considerato ormai sinonimo di una tecnologia promettente ma poco concreta. La stessa Meta, nonostante il suo stesso nome, ha recentemente dedicato un post del suo blog aziendale al futuro del settore, nominando la «realtà mista» (come viene definito il suo mix con la cosiddetta realtà aumentata, meno immersiva di quella virtuale) prima del metaverso.

Lo stesso ha fatto Apple, che lo scorso anno è entrata nel settore delle realtà mista con Apple Vision Pro, un visore che dopo un iniziale clamore mediatico non ha raggiunto il successo sperato, tanto che l’azienda ne ha tagliato la produzione a pochi mesi dal lancio. Nell’evento di lancio di Vision Pro, infatti, Apple non nominò mai il termine “metaverso” ma preferì parlare di «spatial computing», presentando quindi Vision Pro come uno strumento per il lavoro o l’intrattenimento. Non si tratta solo di marketing: l’abbandono del termine metaverso – anche da parte di Meta – rispecchia un cambiamento profondo. L’obiettivo non è più quello di costruire una realtà virtuale con cui sostituire il web, quanto quello di sostituire progressivamente gli smartphone come dispositivo personale di riferimento, incorporando sempre più funzioni su occhiali, visori e altri dispositivi indossabili.

Con Vision Pro, Apple proponeva un approccio particolare a questa tecnologia, con un dispositivo potente ma anche molto pesante e costoso (il prezzo parte dai 3499 dollari). Da anni invece Meta propone i prodotti della linea Quest, che costano poche centinaia di dollari, sono più leggeri ma anche meno sofisticati. Tra l’approccio di Apple e Meta c’è stata una grande differenza. Apple aveva infatti realizzato il dispositivo più avanzato possibile, senza curarsi del prezzo troppo alto; Meta, invece, veniva da ormai dieci anni di investimenti nel settore della realtà mista, e aveva puntato su oggetti più leggeri e meno potenti, ma anche più comodi da usare e meno d’impatto.

– Leggi anche: La corsa al “Web3”

Al centro di questa strategia c’è l’alleanza tra Meta e Ray-Ban, marchio di occhialeria di proprietà della multinazionale italo-francese EssilorLuxottica, dalla quale è nata una linea di smart glasses, Ray-Ban Meta, in grado di registrare video e scattare foto, ma anche di interagire vocalmente con gli utenti, grazie al riconoscimento vocale. Sin dall’inizio questi occhiali hanno venduto più del previsto e, secondo alcuni dati, sarebbero i prodotti più venduti nella maggior parte dei negozi Ray-Ban di Europa, Medio Oriente e Africa.

Meta ha anche annunciato che i prossimi modelli di smart glasses saranno potenziati con le intelligenze artificiali generative di Meta AI, permettendo tra le altre cose di tradurre in tempo reale le conversazioni degli utenti, o ottenere informazioni sui luoghi e sugli oggetti inquadrati. Dopo alcuni anni di crisi in seguito al fallimento degli investimenti sul metaverso, quindi, Zuckerberg ha potuto sfruttare il grande interesse sulle AI per rilanciare gli investimenti dell’azienda nel settore. In questo senso, gli accordi industriali con Ray-Ban sono di tale importanza per Meta che, secondo il Wall Street Journal, il gruppo sta considerando di acquisire il 5 per cento delle azioni di EssilorLuxottica.

Lo scorso settembre Meta ha anche presentato Orion, un prototipo di smart glasses che rappresenta la visione dell’azienda per il futuro del settore. A differenza dell’ingombrante Apple Vision Pro, Orion è simile a un paio di occhiali con la montatura spessa e pesa circa cento grammi. Ad accompagnarlo c’è un dispositivo a braccialetto con cui l’utente può interagire con le interfacce virtuali muovendo le dita.

In un’intervista al sito The Verge, Zuckerberg ha spiegato la visione di Meta per l’intero settore: «un normale paio d’occhiali che fa due cose fondamentali: aggiungere ologrammi al mondo reale per creare questo senso di presenza realistico, ed essere il dispositivo ideale per le intelligenze artificiali».

Lo scorso febbraio anche il sito The Verge scrisse che la visione di Meta per il face computing (computer facciale, una delle espressioni alternative a metaverso e realtà virtuale) era migliore di quella di Apple. Quest’ultima aveva infatti cercato di costruire «il miglior visore possibile con la tecnologia disponibile oggi, mentre Meta ha deciso di costruire gadget più economici che le persone vogliono usare adesso».