La transizione tra Nicolás Maduro e Nicolás Maduro
Oggi il presidente venezuelano si è assegnato da solo il terzo mandato nonostante le nuove proteste dell’opposizione
Venerdì in Venezuela c’è stata la cerimonia di insediamento che segna l’inizio del terzo mandato di sei anni del presidente Nicolás Maduro, al potere dal 2013. È stata diversa dalle precedenti: Maduro governa in modo sempre più autoritario e ha intensificato la repressione dopo le elezioni dello scorso luglio, delle quali si era assegnato da solo la vittoria nonostante documentati brogli. Nei sei mesi successivi aveva promesso di pubblicare le ricevute del voto elettronico, ma non l’ha mai fatto – a differenza dell’opposizione, che per oggi ha convocato grandi proteste.
La cerimonia è stata un rito altamente coreografico, ma vuoto di significato: il regime ha controllato tutti i passaggi che l’hanno preceduta e la seguiranno, militarizzando il paese con misure di sicurezza straordinarie. È avvenuta inoltre in un contesto di isolamento diplomatico, visto che larga parte della comunità internazionale la boicotta e ha già condannato l’arresto della leader dell’opposizione María Corina Machado, avvenuto appena lei si è presentata a una protesta a Caracas giovedì dopo 133 giorni di clandestinità. Machado è stata liberata dopo una mezz’ora e ha detto di trovarsi in un luogo sicuro, ma la dinamica del suo arresto non è ancora chiara.
Alla cerimonia hanno mandato i propri ambasciatori soltanto Brasile, Messico e Colombia, cioè i paesi latinoamericani che avevano cercato invano di mediare con Maduro. Persino Russia e Cina – i principali alleati internazionali di Maduro, se non gli unici – non hanno inviato alla cerimonia rappresentanti di alto livello: per la Russia è andato il presidente della Duma (il parlamento) Vjačeslav Volodin.
Nella stessa giornata il governo statunitense ha annunciato una ricompensa di 25 milioni di dollari per chiunque fornisca informazioni che portino all’arresto di Maduro: esisteva già una taglia simile, di 15 milioni di dollari, dal 2020. Sono stati promessi altri 15 milioni per informazioni simili sul ministro della Difesa Vladimir Padrino.
Fin dal 1° gennaio il regime ha mobilitato i tesserati del Partito Socialista (PSUV), perché riempissero le strade della capitale, ma l’evento più atteso della giornata è il ritorno annunciato da Edmundo González Urrutia, il candidato unitario dell’opposizione alle presidenziali (a Machado era stato impedito di partecipare) che da settembre si trova in esilio in Spagna in quanto ricercato dalla polizia. González aveva promesso di tornare nel suo paese per reclamare l’incarico di presidente al posto di Maduro, e il regime ha messo su di lui una taglia da 100mila dollari. Negli scorsi giorni González è stato in viaggio in diversi paesi latinoamericani e giovedì, nell’ultima tappa a Santo Domingo, ha detto: «Ci vediamo molto presto a Caracas, in libertà».
González non è ancora stato avvistato in Venezuela e non è chiaro come dovrebbe entrare nel paese, visto che il regime ha fatto chiudere le frontiere, né cosa succederà se effettivamente ricomparirà in pubblico. Potrebbe rifugiarsi nell’ambasciata di un paese amico; oppure lasciarsi arrestare, come avvenuto a Machado.
Giovedì nel paese sono ricominciate le manifestazioni in 20 regioni su 23: hanno partecipato migliaia di persone, oltreché a Caracas, anche a Maracaibo e Barquisimeto. Le forze di sicurezza hanno cercato di disperderle sparando lacrimogeni. Per venerdì ne sono in programma altre, più grandi.
Il governo ha dato ordini che di fatto blindano il paese.
Sono stati schierati 20mila uomini delle forze speciali, incluso un nuovo reparto di risposta rapida istituito negli scorsi mesi. Sono stati disposti posti di blocco e, soprattutto nella capitale, vengono usati droni per sorvegliare le strade. La retorica del regime parla di «aggressione»; il ministro dell’Interno Diosdado Cabello, responsabile della macchina repressiva, di «nemici interni ed esterni». Come prova di questi «piani terroristici» che sarebbero finalizzati a destabilizzare il Venezuela, il regime ha citato i cittadini stranieri arrestati questa settimana con l’accusa imprecisata di essere «mercenari».
Negli ultimi mesi Maduro aveva fatto liberare, in più ondate, circa 1.400 delle oltre 2mila persone fatte arrestare nelle proteste delle settimane successive alle elezioni, presentando la cosa come un segnale di distensione. Con l’avvicinarsi della cerimonia di insediamento, però, sono riprese le incarcerazioni di decine di giornalisti e di dirigenti e attivisti dei partiti d’opposizione, tra i quali il genero di González, Rafael Tudares, e l’ex candidato alle presidenziali Enrique Márquez.
L’insediamento di venerdì ha costituito il passaggio del Venezuela da un’«autocrazia elettorale» a «un regime autoritario chiuso ed egemonico», secondo lo studioso John Polga-Hecimovich, che ha scritto un saggio su come Maduro ha consolidato il potere. Secondo Polga-Hecimovich, Maduro non fa più finta di contare sul sostegno della popolazione, o di averne bisogno, e per questo non ha mai prodotto le prove della vittoria alle elezioni: «Non c’è più la messinscena di un negoziato con l’opposizione o di espandere i consensi. È un rifiuto in blocco dell’opposizione e della democrazia».
– Ascolta Globo: L’alleanza dei dittatori, con Anne Applebaum (italiano)