La detenzione di Cecilia Sala, raccontata da lei

Nel suo podcast “Stories” spiega per la prima volta come è stata arrestata, la perdita della cognizione del tempo e il momento in cui le è stato detto che sarebbe stata liberata

Cecilia Sala abbraccia i suoi genitori al suo arrivo a Ciampino (LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili)
Cecilia Sala abbraccia i suoi genitori al suo arrivo a Ciampino (LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili)
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Giovedì la giornalista Cecilia Sala ha raccontato la sua detenzione nel carcere di Evin, a Teheran, in Iran, in una nuova puntata del suo podcast Stories, pubblicato da Chora Media. Nella puntata, in cui viene intervistata da Mario Calabresi, direttore di Chora Media, racconta come è stata arrestata, dei giorni passati in isolamento, del fatto che è stata interrogata molte volte e di una volta in cui è andata nel cortile del carcere. Ha parlato anche del suo rapporto con un’agente carceraria e di quello sviluppato negli ultimi giorni con la sua compagna di cella, e di come le hanno detto che era libera. Sono tutte informazioni che finora non si conoscevano.

Fra le tante cose di cui ha parlato, Sala ha raccontato che quando è stata arrestata, il 19 dicembre, stava lavorando a una puntata del suo podcast nella sua stanza d’albergo: hanno bussato alla sua porta, e pensava che fossero persone addette alle pulizie. Ha detto che prima di essere portata nella prigione di Evin è stata portata in un altro luogo, dove le sono state fatte delle domande, da cui ha capito che «non sarebbe stata una cosa breve». Ha detto che giorni prima aveva letto dell’arresto in Italia dell’imprenditore iraniano Mohammed Abedini Najafabadi e aveva ipotizzato che quello fosse il motivo dietro al suo arresto.

Ha raccontato delle condizioni molto dure in cui è stata tenuta per la maggior parte della sua detenzione, aggiungendo molti dettagli: di cosa significa stare 24 ore al giorno in una cella in silenzio, senza poter fare niente e senza vedere bene, dato che le erano stati tolti gli occhiali e non le erano state date le lenti a contatto. Quando Calabresi le ha chiesto quale sia stata la cosa più difficile della detenzione ha risposto: «È la tua testa».

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Ha detto di essere stata interrogata tutti i giorni nelle prime due settimane e ha confermato che non le è stata mai data una motivazione precisa per il suo arresto. Ha poi parlato dei giorni che ha passato in cella con Farzaneh, una donna iraniana anche lei detenuta a Evin, e che ha saputo della sua liberazione solo poche ore prima che la portassero in aeroporto per tornare in Italia: ha detto che in quel momento «non ci ho creduto, pensavo che fosse un trucco».

Quando Calabresi le ha chiesto cosa le fosse mancato di più durante la detenzione Sala ha risposto il suo compagno, il giornalista del Post Daniele Raineri, e un libro, che le è stato dato solo il penultimo giorno di detenzione. Si trattava di una versione in inglese di Kafka sulla spiaggia, un romanzo dello scrittore giapponese Haruki Murakami. «La cosa che più volevo era un libro», ha detto «la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori».

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