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  • Mercoledì 8 gennaio 2025

I safari non sono tutti uguali

Possono essere più o meno lussuosi, cari e avventurosi: la formula dei pacchetti "tutto compreso" è la più comune e conosciuta, ma non è l'unica

Turisti al Mara North Conservancy, Kenya. (Photo by Siegfried Modola/Getty Images)
Turisti al Mara North Conservancy, Kenya. (Photo by Siegfried Modola/Getty Images)
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Dall’inizio di ottobre a Cape Town, in Sudafrica, gli utenti di Uber possono prenotare un Uber Safari. Si fa dalla app della società statunitense, nota per il suo servizio a metà tra i taxi e il noleggio di auto con autista, e costa circa 190 euro a persona: andata e ritorno nel giro di una giornata, dal centro cittadino a una riserva privata con leoni, elefanti e il resto della fauna locale.

Il servizio si presenta come il modo più semplice e immediato di vivere un’esperienza di safari, una forma di turismo basata su escursioni nella natura e in forte crescita, che altrove propone offerte assai diverse. In molti parchi dei paesi dell’Africa meridionale è sempre più diffuso per esempio il walking safari: niente jeep, ma trekking a piedi nel parco, a pochi metri dagli animali e quindi anche dai predatori. A volte sono gite di alcune ore, con ritorno in serata nei campeggi o nei resort, altre dei trekking di giorni, con accampamenti notturni al di fuori delle strutture: tutte prevedono una certa preparazione e la presenza di una guida molto esperta, e armata.

Fra questi due estremi il turismo legato ai safari prevede formule molto diverse, per prezzo, tipo di esperienza, preparazione necessaria e impatto economico ed ecologico. Si possono fare safari anche in India, Cina, Australia, Nord America e zone amazzoniche, ma per quasi tutti la destinazione principale è un paese del continente africano. Si può fare un safari comprando un cosiddetto “pacchetto”, che comprende soggiorni, ingressi nei parchi, autista e guida. Oppure si può organizzarne uno self-drive, guidando da soli un’auto a noleggio e senza ricorrere a guide e autisti, ma contando sulla propria esperienza o su quella di un accompagnatore esperto.

Amboseli National Park, in Kenya (AP Photo/Vadim Ghirda)

L’opzione in autonomia quasi sempre permette un certo risparmio, ma implica molti sforzi organizzativi in più. Dario Pastore, accompagnatore esperto che da oltre vent’anni fa questo genere di viaggi, dice: «L’esperienza di una notte passata in autonomia in un campeggio aperto in mezzo a un parco, da soli, sentendo i leoni ruggire, o con gli elefanti a poche decine di metri, è una cosa che dà una sensazione unica, che non si trova quando sei in un hotel o un lodge, per quanto immerso nella natura».

Un leone al Kruger National Park, Sudafrica (Photo by Cameron Spencer/Getty Images)

L’opzione del self-drive è facile e pubblicizzata in alcuni paesi, mentre in altri risulta di fatto poco praticabile o del tutto non disponibile.

I safari sono diventati infatti una fonte di introiti notevole per almeno una decina di paesi africani, e il modello più comune, anche perché più remunerativo per chi lo organizza, è quello dei pacchetti e dei tour organizzati, che spesso sono modulabili e costruiti in base a quello che vuole chi li compra. Sono safari che possono diventare molto cari ed elitari, e che finiscono per concentrarsi spesso nelle stesse zone e destinazioni creando problemi da overturismo.

In buona parte del Kruger National Park, in Sudafrica, non sono necessari nemmeno i fuoristrada: è un’eccezione (Photo by Cameron Spencer/Getty Images)

Per organizzare i safari self-drive bisogna però superare un certo numero di difficoltà. La prima è trovare i fuoristrada da noleggiare, che in alcuni paesi come Kenya e Tanzania non sono disponibili. Le auto, e quindi il self-drive, sono più comuni in Sudafrica (anche per la numerosa clientela locale) e in Namibia: si può noleggiarle lì e spostarsi negli stati vicini, come Botswana o Zambia, ma non è sempre un’operazione facile. Alcuni parchi prevedono alte tasse giornaliere per le auto immatricolate all’estero, mentre a volte passare la frontiera non è una semplice formalità.

Dice sempre Pastore: «Può capitare di dover passare anche alcune ore alle frontiere, con richieste di pagamenti in basi a leggi sconosciute. Non capita sempre, altre volte è tutto semplice, ma un guidatore straniero è più spesso oggetto di controlli di questo tipo».

Jeep vicino a Hammanskraal, in Sudafrica (AP Photo/Jerome Delay)

Anche prenotare una piazzola in un campeggio richiede una certa programmazione. Quasi tutti i più ricercati, quelli che sono spesso tappe strategiche per “spezzare” un viaggio all’interno di un parco, aprono le prenotazioni di mese in mese per l’anno successivo. Se si vuole viaggiare a dicembre del 2025 bisogna prenotare in questi giorni e pagare entro due mesi dalla prenotazione.

Molti lotti vengono inoltre assegnati di default ai maggiori tour operator, che se li accaparrano ma poi non sempre li usano: può quindi capitare che i campeggi siano ufficialmente “esauriti” e senza posti a disposizione, ma in realtà rimangono vuoti: non sono previsti metodi di rivendita dei posti non utilizzati.

Le situazioni sono comunque diverse da stato a stato, sia a livello di prenotazione (quelli sudafricani hanno un sistema centralizzato) che di servizi offerti, che spesso si limitano ad acqua corrente e bagni. Nella maggior parte dei casi in queste sistemazioni si dorme in tende montate sopra il tetto del fuoristrada. In alcuni casi i campeggi sono recintati, in molti altri no: vuol dire che di notte ci si può trovare sotto la tenda un elefante, un leone o una iena, per esempio. Rispetto ai servizi offerti, che sono minimi, i campeggi sono piuttosto cari: vanno da un minimo di 30-35 euro a notte a massimi di 120 in Tanzania, dove comprendono anche le tariffe di ingresso nel parco.

Garth Mouton è il proprietario di Gracious Whisp, che noleggia fuoristrada in Namibia. Dice che negli ultimi anni sta notando un aumento dei clienti che chiedono veicoli con tende sul tetto, segno che i campeggi sono diventati più popolari: «Di solito siamo intorno al 50 per cento, con la quota di auto con tende che aumenta nelle stagioni di punta, perché le strutture in Namibia sono poche e quindi piene. Ma ora crescono anche nelle altre stagioni, perché qui il self-drive è facile e ti permette molta più libertà».

Un esempio di fuoristrada con tenda sul tetto (Luke Bender/Unsplash)

Se la soluzione più economica per i pernottamenti in questo genere di vacanza sono i campeggi, la più diffusa sono i lodge, letteralmente “capanni” ed eredi delle strutture che venivano usate come basi per le sessioni di caccia. Oggi sono strutture quasi sempre di lusso, con piscine, ristoranti, comodità di vario genere, ma in posizioni isolate e scenografiche: possono essere particolarmente care, anche da 3.000 dollari a notte.

Secondo i dati di Conservation Mag del 2022 un turista spendeva mediamente 488 dollari al giorno, tutto compreso, per un safari.

Sono cifre piuttosto consistenti per i clienti e molto alte rispetto al salario medio di gran parte dei paesi che ospitano il turismo da safari. Lodge, resort e hotel spesso sono gestiti da europei o statunitensi, si rivolgono a una clientela di connazionali e ripropongono un’accoglienza e una ristorazione che vada incontro ai loro gusti, a volte con pochi legami con quella del paese che li ospita.

Il Tamboti Bush Lodge in Sudafrica (AP Photo/Jerome Delay)

I costi possono ulteriormente lievitare in base al periodo dell’anno, in caso di tour privati e specifici o di formule particolari, come quelle del fly-in, cioè trasferimenti da un luogo all’altro con piccoli aerei. I tour operator offrono spesso formule “ibride”, con una parte della vacanza con i safari e un’altra, più economica, di soggiorni in posti di mare, soprattutto in Kenya e in Tanzania.

Tarangire National Park, in Tanzania (AP Photo/Mosa’ab Elshamy)

Una componente importante di spesa è costituita dagli ingressi ai parchi, i cui prezzi sono notevolmente aumentati negli ultimi anni, anche in risposta a una sempre maggiore domanda. Nelle destinazioni più popolari ci sono problemi crescenti causati da un eccessivo affollamento. Dice Pastore: «La parte più spettacolare del deserto del Namib è raggiungibile con una strada sola: vanno tutti lì e alla fine della strada vedi i bus che scaricano gente, tutti accalcati come se fossero in città».

Questo ha aumentato il valore di esperienze “esclusive” e delle riserve private, in cui gli ingressi sono limitati e a pagamento: sono chiamate game reserve e spesso permettono di fare cose vietate nei parchi, come i tour notturni o a cavallo. È una riserva privata l’Aquila Private Game Reserve in Sudafrica, destinazione degli Uber Safari, ma anche l’Erindi, in Namibia, dove sono stati introdotti animali che non erano propri di quelle zone, come gli ippopotami o i coccodrilli.

Ippopotami all’Edeni Private Game Reserve, in Sudafrica (Photo by Cameron Spencer/Getty Images)

L’attuale industria del turismo dei safari si propone di rendere più “accessibile” un’esperienza che in passato era considerata adatta solo a chi voleva sperimentare un viaggio avventuroso e lontano dalle proprie abitudini quotidiane. Ma secondo alcuni proponendo una vacanza accessibile a tutti  – se non per i costi – rischia di snaturare lo stesso concetto di safari, una parola che viene dallo swahili e dall’arabo, e che contiene i concetti di viaggio e scoperta.

– Leggi anche: L’economia dei safari è una cosa seria