Il processo penale telematico è già bloccato
Alcuni tribunali hanno rinviato la digitalizzazione degli atti a causa dei malfunzionamenti del sito messo online dal ministero
Martedì 7 gennaio i tribunali di Roma, Napoli e Milano hanno sospeso l’obbligo di caricare gli atti dei procedimenti giudiziari sulla piattaforma del ministero della Giustizia chiamata APP, acronimo di applicativo del processo penale. Mercoledì lo ha sospeso anche la procura di Roma. Il deposito digitale degli atti è previsto dal processo penale telematico, la riforma portata avanti dagli ultimi governi per digitalizzare il sistema giudiziario italiano, finora gestito in parte con documenti cartacei. Dall’inizio dell’anno il sistema è stato sospeso anche in tribunali più piccoli come Bari, Foggia, Catania, Siracusa e Rieti: i presidenti sostengono che il sito del ministero non funzioni, che continui a bloccarsi e che quindi ci sia il rischio di rallentare i processi.
Del processo penale telematico si discute da quasi vent’anni, ma finora è stato fatto poco per rendere le procedure più efficienti e veloci: i processi funzionano ancora con i documenti cartacei, archiviati in corposi faldoni che faticano a trovare spazio negli archivi pieni dei tribunali.
La digitalizzazione prevede per prima cosa l’obbligo di caricare gli atti dei procedimenti penali su un portale del ministero a cui si può accedere tramite i sistemi di identità digitale SPID, oppure un lettore smartcard. Gli obblighi riguardano tutte le persone che prendono parte al processo: interni (magistrati, cancellieri, funzionari) ed esterni, a loro volta distinti tra pubblici (procuratori, avvocatura dello Stato, dipendenti pubblici) e privati, ovvero gli avvocati.
La cosiddetta riforma Cartabia, approvata nel 2022, aveva imposto di introdurre le nuove regole all’inizio del 2024. Già all’epoca il ministero aveva commissionato lo sviluppo della piattaforma chiamata APP, utilizzata in test organizzati in tribunali più piccoli a partire dal 2023. Queste sperimentazioni però hanno evidenziato diversi limiti di utilizzo e di affidabilità, oltre che una scarsa propensione del personale ad adattarsi alle nuove procedure. Per questo alla fine del 2023 il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva spostato tutto di un anno e ridefinito i tempi della riforma, prevedendo scadenze diverse per consentire a tutti di adeguarsi via via alle nuove regole.
Nonostante negli ultimi mesi i risultati dei test non siano migliorati, dal primo gennaio è entrato in vigore l’obbligo di depositare gli atti alle procure, ai tribunali e ai giudici per le indagini preliminari. Ci sono alcune eccezioni: il 27 dicembre è stata introdotta una proroga fino al 31 marzo per i documenti relativi all’iscrizione delle notizie di reato e gli atti di alcuni procedimenti speciali quali giudizio abbreviato, immediato e direttissimo. Significa che tutti questi atti possono essere depositati anche in forma cartacea, oltre che in digitale. Allo stesso modo è stata prevista una proroga fino al 31 dicembre 2025 per gli atti relativi alle archiviazioni e alla riapertura delle indagini, mentre c’è tempo fino al primo gennaio del 2027 per gli atti del giudice di pace, quelli del tribunale per i minorenni, del tribunale di sorveglianza e degli altri gradi di giudizio, cioè Appello e Cassazione.
Lo scorso dicembre la struttura tecnica organizzativa del Consiglio superiore della magistratura ha segnalato che nel sistema APP «sono stati riscontrati numerosi e significativi bug e difetti» che lo rendono inadatto a gestire i processi: «APP si è rivelato instabile e soggetto a improvvisi e frequenti crash di sistema, oltre che a numerosi fermi programmati. Inoltre l’interazione con il programma Word online risulta tuttora problematica, e ha comportato improvvise ed irrimediabili perdite di provvedimenti in via di redazione». Nelle intenzioni del ministero, l’integrazione con Word dovrebbe permettere ai giudici o ai magistrati di scrivere gli atti direttamente all’interno della piattaforma.
L’associazione nazionale magistrati (ANM), una sorta di sindacato dei magistrati, si è lamentata del fatto che la riforma ignori le condizioni in cui si trovano i tribunali italiani. «Si agisce come se gli uffici fossero stati, tutti e da tempo, dotati di postazioni pc con accesso ad APP, nelle aule d’udienza e nelle camere di consiglio. Si opera come se il personale amministrativo e giudiziario fosse stato dotato di una idonea struttura di assistenza per la immediata gestione delle criticità». Già prima di Natale l’associazione si chiedeva come sarebbe stata gestita un’udienza di dibattimento o una richiesta di patteggiamento in caso di malfunzionamenti, poi effettivamente segnalati.
Il presidente del tribunale di Roma, Lorenzo Pontecorvo, ha motivato la proroga con problemi e blocchi denunciati nella prima settimana dell’anno. Molti giudici, per esempio, non riescono a consultare i fascicoli perché i loro profili non vengono riconosciuti dal sistema. In molti casi il sistema va in tilt per diversi minuti, rallentando il lavoro. Dall’inizio dell’anno sono state aperte moltissime segnalazioni di malfunzionamenti da molti altri tribunali italiani. «Il bilancio del primo giorno dell’APP per il processo penale telematico è disastroso».
Il ministero della Giustizia ha risposto alle critiche sostenendo che la colpa dei problemi sia di giudici e magistrati. In un commento riportato dal giornale Il Dubbio, il ministero ha detto di aver messo a disposizione i dispositivi per il processo digitale telematico già dallo scorso settembre: «Se il magistrato non attiva il dispositivo di firma digitale, come è suo preciso onere, non è un malfunzionamento imputabile al ministero».
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