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  • Martedì 7 gennaio 2025

Aiutare i migranti in Bulgaria è sempre più difficile

Si rischia di essere bloccati e arrestati dalla polizia, come è successo negli ultimi giorni anche a tre volontari italiani

Un soccorso notturno in estate in Bulgaria (Francesco Cibati)
Un soccorso notturno in estate in Bulgaria (Francesco Cibati)
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Il confine di terra fra Turchia e Bulgaria è uno dei più presidiati d’Europa: è infatti uno dei punti di accesso della cosiddetta “rotta balcanica”, che diversi migranti usano per cercare di arrivare in Europa occidentale. Il percorso in sé è piuttosto pericoloso: prevede una marcia di 4-6 giorni in una fitta area boschiva, e d’inverno è particolarmente ostico per il grande freddo e le poche ore di luce, tanto che i migranti che ci provano non sono molti, rispetto ad altre rotte. Sono poche anche le ong operative nella zona, che forniscono aiuto e soccorso ai migranti in difficoltà.

Dalla scorsa estate peraltro denunciano di essere sempre più spesso ostacolate, intimidite e bloccate dalla polizia di frontiera bulgara, che in varie occasioni ha arrestato (per una notte) i volontari. Durante le vacanze natalizie è successo anche a tre volontari italiani: la notizia è uscita soltanto negli ultimi giorni ed è stata ripresa da vari quotidiani italiani.

Durante le vacanze di Natale alcuni volontari del Collettivo Rotte Balcaniche e dell’associazione spagnola No Name Kitchen hanno passato alcuni giorni nella zona di confine fra Turchia e Bulgaria, nel parco naturale di Strandzha, fra Sredets e Malko Tarnovo, per aiutare eventuali migranti in difficoltà perché senza acqua, cibo, o vestiti inadeguati al freddo. Nel giro di pochi giorni tre volontari italiani (tutti di Torino) e uno francese sono stati arrestati dalla polizia bulgara; poi sono stati bloccati mentre cercavano di soccorrere tre minori migranti, che in seguito hanno ritrovato morti. Anche i volontari di No Name Kitchen sono stati trattenuti in cella per una notte, secondo quella che ormai sembra essere diventata una prassi.

Agli arresti, poi, non seguono mai denunce formali: ma nel frattempo l’attività delle varie associazioni viene ostacolata e di fatto scoraggiata.

Il Collettivo Rotte Balcaniche è un gruppo di attivisti e volontari di Schio, in provincia di Vicenza, che dal 2018 porta aiuti e prova ad assistere i migranti che attraversano i Balcani su diverse rotte che coinvolgono i paesi dell’ex Jugoslavia. Da un paio d’anni opera sul confine turco-bulgaro, con mezzi ridotti e con il sostegno di ong locali, anche soccorrendo fisicamente i migranti smarriti o in difficoltà durante l’attraversamento della foresta.

Fra le altre cose il Collettivo gestisce una linea telefonica che chiama “safe line”, il cui numero si è diffuso col passaparola. Quando arriva una telefonata, i volontari cercano di raggiungere le coordinate fornite, prima in auto, poi a piedi. Hanno torce, zaini con acqua, integratori, bevande e barrette energetiche, coperte termiche, una borsa di primo soccorso. Nei boschi bulgari trovano persone, sfinite, affamate, sotto shock, ferite. In inverno ci sono parecchi casi di persone in ipotermia, per via delle temperature rigidissime.

– Leggi anche: I volontari italiani che soccorrono i migranti nei boschi bulgari

Queste operazioni sono rese sempre più complesse dalla esplicita ostilità della polizia di frontiera bulgara, che secondo denunce dei migranti, di varie ong e anche di Frontex (l’agenzia di frontiera dell’Unione Europea), da tempo si comporta in modo molto violento e facendo ricorso ai respingimenti, una pratica illegale secondo le norme europee che consiste nel rimandare i migranti all’esterno dei propri confini senza permettere loro di presentare una richiesta d’asilo.

La barriera con filo spinato al confine fra Turchia e Bulgaria a Shtit (AP Photo/Hristo Rusev)

Simone Zito è uno dei quattro volontari arrestati durante le vacanze di Natale, il 24 dicembre. Dice: «Fino a settembre i rapporti con la polizia di frontiera non erano cordiali, ma tranquilli. Ora sembrano fare di tutto per impedirci di agire su quel confine e per avere mano libera per fare quello che vogliono. Si fatica a operare». Racconta che raggiungere le zone di Malko Tarnovo, da dove arriva gran parte delle chiamate, è sempre più complesso: i volontari vengono fermati nei posti di blocco della polizia bulgara, trattenuti per ore per controlli, benché di fatto non stiano facendo nulla di illegale.

Il Collettivo ritiene che queste operazioni non siano nuove, ma stiano avvenendo con una brutalità e una frequenza sempre maggiori: da settembre a dicembre la polizia bulgara ha arrestato i volontari del Collettivo e di No Name Kitchen in almeno cinque occasioni, secondo una stima dei volontari.

Il 27 dicembre il Collettivo ha ricevuto una chiamata da tre ragazzi minorenni in grave difficoltà nei dintorni della città costiera di Burgas. Per via della delicatezza della chiamata – le norme europee prevedono tutele e garanzie molto specifiche per i migranti minorenni – il Collettivo ha avvertito immediatamente la polizia di frontiera, di modo che i ragazzi venissero soccorsi il prima possibile. Eppure, la polizia bulgara ha impedito ai volontari di arrivare nelle coordinate indicate: ci sono riusciti solo un giorno dopo, trovando due cadaveri, uno proprio nell’area indicata. Un terzo cadavere è stato trovato un giorno dopo, in parte attaccato da animali. In un comunicato sui propri profili social il Collettivo Rotte Balcaniche ha denunciato «l’omissione di soccorso» delle autorità bulgare per salvare la vita dei migranti.

Qualche giorno prima, il 24 dicembre, gli attivisti erano invece arrivati in tempo per soccorrere alcuni migranti, anche loro in condizioni critiche per le basse temperature e la fatica. Dopo un primo intervento era seguita la richiesta di soccorsi più attrezzati, per curare adeguatamente i migranti. Come accade sempre in questi casi, raccontano gli attivisti, era invece arrivata la polizia di frontiera, che prima ha trattenuto migranti e volontari sotto la pioggia e la neve per ore, poi ha portato tutti in un centro di detenzione. «Siamo stati chiusi in una stanza in cui non era possibile chiudere le finestre, senza letti e con solo alcune sedie, dalle 8 di sera fino alle 11 di mattina», racconta Zito: «Abbiamo avuto come cibo delle scatolette di riso e piselli, un paio d’ore prima di essere liberati».

Il volontario francese sentito dal Post e che preferisce rimanere anonimo aggiunge: «Abbiamo subito molte pressioni, interrogatori, minacce fisiche e legali, minacce verso le organizzazioni bulgare con cui lavoriamo. Hanno sgonfiato le gomme delle nostre auto, hanno minacciato di spararmi alle gambe». Racconta che quando hanno ritrovato i cadaveri dei minori nel bosco, è stato lui a dover spostare uno dei cadaveri e a metterlo con un agente nel bagagliaio dell’auto: «I corpi vengono trasportati così, nel bagagliaio, senza sacchi. Ma sono soliti caricare anche gli arrestati, nel bagagliaio». Durante le feste natalizie l’auto usata da No Name Kitchen per soccorrere i migranti è stata distrutta quando è stata lasciata lungo una strada nella zona (non è stato possibile capire da chi).

Collettivo Rotte Balcaniche racconta che nonostante l’aperta ostilità delle autorità bulgare, i volontari riescono ancora a soccorrere persone che altrimenti si troverebbero in enorme difficoltà. Zito racconta che negli stessi giorni in cui sono stati fermati «oltre ai tre ragazzi a rischio di congelamento abbiamo aiutato un gruppo di quindici persone, fra cui c’era un ragazzo di dodici anni. Per via della nostra presenza la polizia non ha potuto respingerli oltre confine», perché altrimenti avrebbe commesso un respingimento davanti a diversi testimoni.