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  • Martedì 7 gennaio 2025

La notizia della morte dell’irlandese è fortemente esagerata

Manca la volontà politica per un vero bilinguismo, ma il suo fascino cresce e sempre più persone vorrebbero parlarlo

di Matteo Castellucci

Galway, 9 dicembre
(Matteo Castellucci/il Post)
Galway, 9 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

La zona dell’Irlanda attorno a Galway, la regione del Connemara, è una delle poche dove si parla ancora correntemente la lingua irlandese fuori dalle aule scolastiche. Nella serie storica delle carte che hanno mappato i parlanti madrelingua, dall’Ottocento in poi si vede quasi sparire la macchia di colore che li identifica, per effetto del colonialismo inglese e della grave carestia di metà secolo. Nell’ultima mappa restano solo alcuni puntini minuscoli, che si concentrano in questa parte del paese.

L’Irlanda ottenne l’indipendenza dal Regno Unito nel 1921 e si scelse il gaelico irlandese come prima lingua ufficiale. L’inglese ufficialmente è la seconda lingua, ma fin da subito soverchiò l’irlandese. Da più di cent’anni gli attivisti linguistici si mobilitano per custodire (prima) ed espandere (poi) la lingua della loro tradizione letteraria, che nella maggior parte dei casi viene insegnata nelle scuole come una seconda lingua. È stato scritto che l’irlandese somiglia al gatto di Schrödinger, contemporaneamente vivo e morto (semplificandola), e in effetti un paradosso c’è.

Oggi infatti, probabilmente per la prima volta nella sua storia moderna, l’irlandese è una cosa cool, sia in patria che all’estero. Suscita interesse su internet tra persone che magari non sono mai state in Irlanda, anche per via di una produzione culturale di rilievo, con film in lingua come An Cailín Ciúin (The Quiet Girl) e Kneecap, rispettivamente nominato agli Oscar del 2023 e candidato a quelli del 2025. Al tempo stesso, in Irlanda sta diminuendo la competenza linguistica dell’irlandese, nonostante nelle statistiche sia aumentato il numero di chi dichiara di saperlo (un po’ perché è aumentata la popolazione in generale).

Galway, 8 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Vuol dire che lo parlano o vorrebbero parlarlo più persone, ma partendo da un livello più basso, e la cosa dipende anche dal modo deficitario in cui viene insegnato durante i cicli d’istruzione obbligatoria: c’è un problema cronico di insegnanti con una buona conoscenza della lingua. Secondo l’ultimo censimento, del 2022, 1,9 milioni di persone (su 5,2 abitanti) dichiaravano di saperlo parlare. Più di metà di loro (il 55 per cento) però riconosceva di non saperlo parlare bene. Le percentuali più alte di parlanti, come detto, si trovano nella zona di Galway (Gaillimh in irlandese), sulla costa ovest del paese.

In città ci sono varie iniziative per promuovere l’uso dell’irlandese nel quotidiano.

Galway, 8 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Il teatro locale ha in cartellone uno spettacolo in lingua (Fionn sa Spás, “Fionn nello spazio”), che ha fatto il tutto esaurito per le scuole. I personaggi, a partire dal protagonista, riprendono quelli della mitologia celtica e, come dice il titolo, è ambientato nello spazio.

Al bar Plámás, in centro, c’è uno sconto simbolico a chi ordina in irlandese. La questione non sono ovviamente i dieci centesimi in meno, ma «creare uno spazio sicuro e incoraggiare [i clienti] a usare le poche parole che sanno, non devono saper parlare sciolti», spiega la barista Franchesca Alonso-Weir. Sopra il bancone, in realtà, ci sono le istruzioni: Ba mhaith liom… más ɛ́ do thoil ɛ́! (si legge Bah woh lyum… mosh ay duh hell ay). Significa: “Vorrei un… per favore”, in mezzo va messa la bevanda.

Quello delle “poche parole” è un concetto cruciale nell’approccio a questa lingua, tanto che c’è un’espressione in irlandese per designarlo: cúpla focal. L’idea, come per lo sconto, è incentivare le persone a fare pratica con la lingua che hanno imparato a scuola ma che poi spesso, soprattutto in altre aree del paese, non hanno più utilizzato. Per evitare che la perdano.

Il bar Plámás, a Galway, 9 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Più di due terzi dei clienti del Plámás ordina in irlandese, dice Alonso-Weir. Riprendere confidenza con la lingua ha funzionato anche per lei, racconta. Per la prima volta, recentemente le è venuta l’ispirazione per scrivere una poesia in irlandese, e non in inglese, come aveva sempre fatto finora. «È la lingua più romantica di tutte». Quello di Alonso-Weir è, in piccolo, il percorso inverso a quello che ha fatto la sua lingua per secoli.

L’irlandese è imparentato con il gaelico scozzese e dell’isola di Man. Ha la più antica letteratura in volgare dell’Europa occidentale, spiega Rióna Ní Fhrighil, professoressa di Irlandese moderno all’università di Galway (che ha un campus pienamente bilingue). Questa produzione è continuata fino al XVI secolo, ma è stata interrotta dalla colonizzazione britannica.

Da lì in poi, l’irlandese è sceso nella piramide sociale: era vietato nelle scuole, la classe dirigente e i nobili avevano adottato l’inglese dei dominatori. Era associato alla “lingua dei poveri”, parlata nelle zone più povere, come appunto il Connemara. Fu custodito nella tradizione orale e a fine Ottocento nacquero istituzioni come il Conradh na Gaeilge (significa “La lega gaelica”), finalizzate a promuoverne l’uso e l’insegnamento.

L’università di Galway, 9 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Oggi la lingua irlandese è una materia obbligatoria nelle scuole fino al termine delle superiori (anche se può chiedere l’esenzione chi non ha genitori irlandesi). Con l’eccezione delle Gaelscoil, le scuole interamente in irlandese, è una materia come le altre, con un modulo di 40 minuti al giorno quando va bene. Gli alunni delle Gaelscoil sono una minoranza del totale: l’8 per cento delle scuole primarie e il 3,5 per cento di quelle secondarie. Inoltre sempre meno studenti scelgono di portare l’irlandese all’equivalente dell’esame di maturità.

«I vari governi hanno parlato dell’importanza della lingua, ma in realtà hanno lavorato attivamente contro di lei» dice Peadar Mac Fhlannchadha, storico attivista del Conradh na Gaeilge e uno dei più importanti, che contribuì al riconoscimento dell’irlandese tra le lingue ufficiali dell’Unione Europea nel 2007. Secondo Mac Fhlannchadha negli anni i governi – espressi da partiti diversi, accomunati da nomi in irlandese – hanno mantenuto un impegno di facciata, ma hanno reso più difficile l’apertura di Gaelscoil.

Anche secondo Ní Fhrighil «ci sono un sacco di dichiarazioni e gesti pubblici, lungo tutto lo spettro politico, ma manca la comprensione di cosa servirebbe davvero». Ní Fhrighil usa un termine che in inglese dà meglio l’idea: lip service, cioè discorsi vuoti. Un esempio riguarda le Gaeltacht, cioè le regioni in prevalenza rurali dove si parla maggiormente l’irlandese. Nelle statistiche c’è un paradosso: sono aumentati gli abitanti di posti come il Connemara, ma è diminuito il numero di chi parla irlandese (che invece è cresciuto nelle città).

La ragione è che sono arrivati più turisti e più persone da fuori – dal resto dell’Irlanda e alcuni lavoratori da remoto – e il prezzo degli affitti e delle case è diventato insostenibile per molte persone del luogo. Questi posti erano tra i più economicamente depressi del paese, per questo l’irlandese aveva resistito alla colonizzazione: erano aree poco attraenti, un tempo. Sono posti magnifici dal punto naturalistico e, per questo, vincolati: è difficile ottenere il permesso di costruire nuove case e la valutazione di quelle che già esistono, assai ambite come seconde case, è aumentata nel tempo: più della media nazionale, a Galway quasi del doppio.

Insomma, nelle Gaeltacht c’è una crisi abitativa – come nella capitale, Dublino.

Mac Fhlannchadh racconta il caso di un conoscente con un buon lavoro nelle istituzioni europee che ha dovuto lasciare Inishmaan (Inis Meáin in gaelico), la centrale delle Isole Aran, perché non poteva permettersi una casa là. Quella famiglia si è trasferita sulla terraferma, a Clifton, in una zona dove chi parla irlandese è in minoranza. «Spesso la gente mi chiede dov’è più probabile sentire parlare irlandese. Una volta gli dicevo di guidare per 15 miglia (24 chilometri) a ovest. Ho notato che nel corso del tempo ho iniziato a dirgli: per 20, poi 25 miglia» (32 e 40 chilometri), racconta Ní Fhrighil.

L’interno della principale libreria di Galway, 9 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Da Charlie Byrne, la principale libreria di Galway, c’è una ampia sezione di libri in lingua irlandese, che però è una frazione di quella in inglese. La richiesta negli ultimi anni è aumentata: la riscoperta di una lingua appresa a scuola passa spesso dalla lettura; in altri casi c’entra l’orgoglio legato a un pezzo della propria identità. Ci sono volumi su come addestrare il proprio cane o gatto con comandi in irlandese, per esempio. Oppure un vocabolario delle parolacce, alcune delle quali travasate nell’inglese: la più celebre, anche perché legata al nome dei Pogues, storica band irlandese, è forse Pogue Mahone, dall’irlandese per “baciami il culo” (póg mo thóin).

All’università di Galway c’è anche l’importante archivio del Conradh na Gaeilge. Raccoglie non solo i documenti dell’organizzazione, ma in generale attestazioni della lingua irlandese in manifesti, pubblicità, biglietti e volantini, a testimonianza di come il bilinguismo possa fare parte della quotidianità.

L’archivio del Conradh na Gaeilge, all’università di Galway, 9 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Galway, 9 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Secondo l’archivista Niamh Ní Charra è importante ricordarsi che cose che sembrano scontate non lo sono. La radio e la tv in irlandese, aperte rispettivamente nel 1972 e nel 1996, o i cartelli stradali bilingui, sono il frutto di anni di campagne. I media, insieme alla generazione di studenti usciti dalle Gaelscoil, sono stati tra i principali fattori d’espansione della lingua. Esplorare l’archivio, spiega Ní Charra, mostra come «i diritti linguistici sono diritti civili. È il risultato del fatto che siamo un’ex colonia: spesso la popolazione non si accorge che il modo in cui pensa alla lingua irlandese risente di questo effetto post-coloniale».

Un cartello bilingue a Galway, 8 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

C’è infine il tema di garantire l’accessibilità. Per questo l’inventario dell’archivio è sia in inglese sia in irlandese: per l’occasione Ní Charra ha standardizzato oltre 200 termini specialistici che ancora non avevano una loro versione in gaelico. Nel grande momento dell’industria culturale irlandese a livello globale, specialmente nella letteratura, secondo Ní Fhrighil c’è «un punto cieco». La produzione in irlandese che sta venendo tradotta in altre lingue, e non necessariamente in inglese, non ha ancora ricevuto la stessa attenzione, anche se a suo avviso la meriterebbe. Ní Fhrighil fa il nome della poetessa Nuala Ní Dhomhnaill.

I social network e internet, di cui l’inglese “rivale” dell’irlandese è la lingua franca, sono un ulteriore veicolo di propagazione, anche grazie alla possibilità di inserire sottotitoli.

Nel 2020, in Irlanda, il corso di irlandese è stato a lungo quello più scaricato sulla app per imparare le lingue Duolingo (è stato il 16esimo a livello globale). Su social come TikTok e Instagram diversi creator hanno raggiunto una certa viralità con contenuti sulla lingua. Tra loro Irish With Mollie, il cui vero nome è Mollie Guidera, e The Kerry Cowboy, cioè Séaghan Ó Súilleabháin (il Kerry è un’altra regione dell’Irlanda dell’ovest).

I video di Guidera spiegano, per esempio, che la parola irlandese per fungo significa “cresce in una notte” o quella per threesome, il sesso a tre, “festival delle sei gambe”. Ó Súilleabháin, tra le altre cose, impartisce ordini al cavallo in irlandese (anche se i video in lingua gaelica hanno meno visualizzazioni di quelli in inglese).

Galway, 9 dicembre (Matteo Castellucci/il Post)

Nonostante le profezie sulla sua fine, l’irlandese ha una vitalità da difendere, anche se stanno cambiando i contesti in cui viene parlato: sta sparendo da alcuni, ma si sta allargando in altri. Per esempio, è stato insegnato in via sperimentale ai richiedenti asilo ospitati in zone rurali per facilitare la loro inclusione, con risultati incoraggianti. «Se non fossi ottimista, non mi occuperei di lingua irlandese», conclude Mac Fhlannchadh.

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