Trump non vuole escludere di occupare militarmente il Canale di Panama e la Groenlandia
Lo ha detto durante una conferenza stampa, mostrando un atteggiamento sempre più minaccioso e aggressivo in politica estera
Martedì, durante una conferenza stampa a Palm Beach, in Florida, il prossimo presidente statunitense Donald Trump ha ribadito il suo interesse per il Canale di Panama e la Groenlandia: due territori che non fanno parte degli Stati Uniti, ma di cui Trump ha detto in più occasioni, più o meno esplicitamente, di voler prendere il controllo, alludendo a obiettivi di politica estera piuttosto aggressivi e minacciosi.
Proprio per via di questi commenti, durante la conferenza stampa un giornalista ha chiesto a Trump rassicurazioni sul fatto che non abbia intenzione di utilizzare la coercizione economica, o addirittura la forza militare, per ottenere il controllo di questi due territori. Trump ha negato di poter dare queste rassicurazioni, e poi ha aggiunto: «A proposito di Panama e della Groenlandia, non posso promettere niente».
Il giornalista ha chiesto a Trump come abbia concretamente intenzione di ottenere un maggior controllo su questi territori: se negoziando i termini di nuovi trattati internazionali, o organizzando per esempio dei referendum. Trump si è mantenuto molto vago, limitandosi a dire che gli Stati Uniti hanno bisogno per ragioni di «sicurezza economica» sia del Canale di Panama che della Groenlandia. A un certo punto ha detto di non potersi impegnare in promesse sui mezzi da utilizzare o non utilizzare, e che «potrebbe essere necessario fare qualcosa», senza dare altri dettagli.
Le recenti dichiarazioni di Trump sul Canale di Panama e sulla Groenlandia hanno suscitato molte perplessità, e in alcuni casi preoccupazioni, sul tipo di politica estera che seguirà quando tornerà presidente.
Il Canale di Panama collega l’oceano Atlantico e quello Pacifico: fu costruito all’inizio del Novecento dal genio militare degli Stati Uniti (cioè dalla parte dell’esercito che si occupava di costruire e gestire le infrastrutture), dopo una serie di trattative e negoziati molto conflittuali con la Colombia, di cui allora Panama faceva parte. Negli anni Settanta il presidente statunitense Jimmy Carter firmò un accordo per restituire il Canale all’omonimo stato centroamericano, cosa che successe nel 1999.
Di recente Trump ha nuovamente messo in discussione la giurisdizione sul Canale, accusando Panama di applicare dei dazi eccessivi alle navi statunitensi che transitano attraverso il Canale e minacciando di riprenderne il controllo, soprattutto per via del fatto che una parte del Canale (due dei cinque porti adiacenti) è oggi gestita dalla Cina, verso cui Trump ha sempre assunto posizioni molto litigiose e aggressive. Ha ribadito questi concetti anche nella conferenza stampa di martedì.
Quanto alla Groenlandia, in questo caso parliamo di un territorio che fa parte del regno di Danimarca, pur con un ampio grado di autonomia, e che da anni è molto ambito per la presenza di moltissime materie prime come i cosiddetti “metalli rari”. Ormai da anni Trump dice di voler «acquistare» la Groenlandia. Proprio martedì la prima ministra danese Mette Frederiksen ha ribadito che «la Groenlandia non è in vendita e non lo sarà nemmeno in futuro».
Nella conferenza stampa di martedì Trump ha anche detto di voler rinominare “Golfo d’America” il Golfo del Messico, un bacino su cui si affacciano diversi stati del sud degli Stati Uniti oltre che naturalmente il Messico, stato che Trump accusa da tempo sia per il traffico di droghe illegali negli Stati Uniti che per l’immigrazione irregolare al confine. Nel Golfo del Messico gli Stati Uniti hanno circa metà dei propri impianti di lavorazione e raffinazione del petrolio, e vi ricavano circa il 40 per cento del pesce utilizzato a scopi alimentari: martedì Trump ha detto di voler cambiare il nome del Golfo del Messico «perché lì facciamo la maggior parte del lavoro ed è nostro».