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  • Martedì 7 gennaio 2025

Sono passati dieci anni dall’attentato a Charlie Hebdo

Gli attentati iniziati con l'attacco al settimanale satirico provocarono diciassette morti, oltre a un enorme movimento di solidarietà e timori

Un momento della manifestazione dell'11 gennaio (AP Photo/Thibault Camus)
Un momento della manifestazione dell'11 gennaio (AP Photo/Thibault Camus)
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A Parigi il 7 gennaio di dieci anni fa, intorno alle 11:30, due uomini incappucciati e armati di kalashnikov entrarono nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, uccidendo 11 persone e ferendone altre 11, prima di scappare (uccidendo un’altra persona durante la fuga).

Era mercoledì, per tre giorni Parigi restò sotto attacco: venerdì un altro uomo collegato agli assalitori di Charlie Hebdo uccise quattro persone in un supermercato kosher, cioè rivolto a persone ebree, in un’altra zona della città. Gli attentatori furono poi uccisi, ma gli attentati di cellule terroristiche islamiste sarebbero continuati in Francia e in Europa nei mesi e negli anni seguenti: il 13 novembre 2015 a Parigi un attacco coordinato poi rivendicato dall’ISIS (o Stato Islamico) causò 130 morti.

L’attacco a Charlie Hebdo avvenne dopo che il giornale aveva pubblicato delle vignette su Maometto considerate offensive e blasfeme da una parte dei fedeli musulmani più conservatori. L’attacco provocò un enorme movimento di solidarietà con il settimanale, oltre a manifestazioni in tutto il mondo per la libertà di satira e di espressione. Lo slogan di solidarietà col giornale «Je suis Charlie», «io sono Charlie», e l’hashtag corrispondente si diffusero rapidamente in tutto il mondo. Ma gli attacchi furono anche un trauma per la società francese ed europea: la minaccia del terrorismo islamista era al centro dei discorsi e del dibattito politico già da alcuni anni, la strage di Charlie Hebdo aumentò paure e polemiche.

Charlie Hebdo è un settimanale satirico fondato nel 1970, di sinistra radicale e libertaria, noto per le sue copertine, vignette e articoli solitamente molto provocatori. Le vignette pubblicate sulla rivista prendono spesso di mira la religione, la polizia e la destra francese, anche in modo scurrile e osceno. È stata al centro di polemiche e contestazioni da sempre, ma negli ultimi vent’anni soprattutto in corrispondenza di vignette, articoli e copertine sull’Islam: nel 2011 la sua sede fu distrutta con bottiglie molotov dopo che la redazione aveva annunciato la nomina simbolica di Maometto come direttore di una sua edizione. Nel 2015 la sede di rue Nicolas Appert, nell’undicesimo arrondissement di Parigi, era spesso sorvegliata dalla polizia.

Un’installazione artistica nei giorni successivi all’attentato (AP Photo/Francois Mori)

Said e Chérif Kouachi erano due fratelli nati in Francia da famiglia algerina, che si erano radicalizzati dentro e fuori dalle carceri francesi: allora avevano 32 e 34 anni. Frequentavano Amedy Coulibaly, coetaneo di Said, nato in Francia da genitori del Mali, che da tempo era entrato in contatto con ambienti dell’estremismo islamista.

Il 7 gennaio i fratelli Kouachi arrivarono in rue Appert, non lontano da Place des Vosges, a bordo di una Citroen C3, mascherati e armati. Cercavano la sede di Charlie Hebdo. Sbagliarono inizialmente indirizzo, poi entrarono nel portone giusto, uccidendo subito il custode. Incrociarono una giornalista del settimanale, Corinne Rey, la obbligarono ad aprire la porta della redazione. Una volta dentro inziarono a sparare, con quella che venne descritta dai sopravvissuti come un’«estrema calma». Nel giornale era in corso la riunione di redazione: furono uccisi il direttore, Stéphane Charbonnier (che si firmava Charb), il famoso disegnatore francese Georges Wolinski, i disegnatori che si firmavano Cabu, Tignous, Honoré, quattro altre persone che a vario titolo collaboravano con il giornale, un tecnico addetto alla manutenzione e una guardia di sicurezza.

Un murale di direttore e vignettisti del settimanale uccisi negli attacchi (AP Photo/Francois Mori)

Dopo l’attacco i Kouachi uscirono per strada, urlarono «Allah è grande» e «abbiamo vendicato il profeta Maometto» e ripartirono con la stessa auto: ebbero un primo scontro a fuoco con una volante della polizia, poi uccisero un altro agente a piedi. Poco distanti abbandonarono l’auto e ne rubarono un’altra, facendo perdere le proprie tracce.

Riapparvero il giorno dopo, quando attaccarono una stazione di servizio appena fuori Parigi, rubando cibo e altra merce. Nel frattempo a Montrouge, a sud di Parigi, Amedy Coulibaly sparava su quattro poliziotti in un’area vicina a una scuola ebraica: uccise una poliziotta, poi scappò. La polizia francese inizialmente smentì che i due attacchi fossero collegati, mentre la capitale francese era piena di posti di blocco e presidi della polizia.

Le foto dei fratelli Cherif e Said Kouachi in un video di rivendicazione di Al Qaida (ANSA/ AL MALAHEM MEDIA)

Il terzo giorno, venerdì, i fratelli Kouachi si imbatterono in un posto di blocco a 30 chilometri da Parigi: nella sparatoria Said venne ferito, l’inseguimento in auto terminò a Dammartin-en-Goele, dove i due trovarono rifugio in un capannone che ospitava una tipografia. All’interno c’erano due dipendenti dell’azienda: uno si nascose (e si mise in contatto con la polizia), l’altro venne preso in ostaggio e poi rilasciato, mentre l’edificio veniva circondato.

Più o meno nelle stesse ore Amedy Coulibaly entrò nel supermercato kosher Hypercacher, nella zona est di Parigi. Uccise quattro persone, prendendone in ostaggio 17 e chiedendo in cambio della loro liberazione di permettere la fuga dei fratelli Kouachi.

La polizia francese preparò due operazioni per fare irruzione nei luoghi in cui si erano rinchiusi gli attentatori. I Kouachi anticiparono la prima, uscendo improvvisamente dal capannone e sparando: vennero uccisi entrambi. Poco dopo gli agenti fecero irruzione nel supermercato, Coulibaly provò la fuga ma venne ucciso anche lui.

L’esterno del supermercato kosher (AP Photo/Francois Mori, File)

Complessivamente negli attacchi morirono 17 persone, oltre agli attentatori. Nei giorni seguenti venne chiarito che la cellula terroristica non aveva altri membri, se non la moglie di Coulibaly, Hayat Boumeddiene: la donna era scappata in Turchia alcuni giorni prima degli attentati, ma è stata riconosciuta colpevole di aver contribuito all’ideazione e alla pianificazione degli attacchi. Non è mai stata trovata: attraversò il confine turco-siriano e si unì allora allo Stato Islamico.

Amedy Coulibaly e Hayat Boumeddiene (EPA/FRENCH POLICE)

L’attentato contro Charlie Hebdo fu rivendicato da Al Qaida, mentre Coulibaly era affiliato allo Stato Islamico. Gli stessi fratelli Kouachi avevano detto all’uomo a cui avevano rubato la seconda auto: «Se i giornali te lo chiedono, di loro che è stata Al Qaida Yemen». Al Qaida Yemen, o Al Qaida della penisola Arabica, era un gruppo jihadista salafita formato nel 2009 dalla fusione delle branche yemenita e saudita di Al Qaida.

Gli attentati ebbero un enorme risalto in tutto il mondo, per la ferocia con cui erano stati compiuti e per l’obiettivo scelto. Il settimanale Charlie Hebdo divenne simbolo del pensiero libero e laico della civiltà occidentale e delle conquiste nel campo della libertà di pensiero ed espressione che l’estremismo islamista sembrava voler mettere in discussione anche in Europa. La matita dei vignettisti di Charlie Hebdo fu un’immagine molto condivisa per rappresentare la difesa delle libertà civili e il rifiuto dell’estremismo religioso. Il giornale tornò in edicola con un numero speciale stampato in milioni di copie il 14 gennaio, poi si fermò per sei settimane, prima di riprendere le pubblicazioni. Ancora oggi esce ogni settimana.

Il numero in edicola il 14 gennaio (EPA/BAS CZERWINSKI)

La radicalizzazione di persone nate e cresciute in Francia scatenò dibattiti e discussioni sui limiti dell’integrazione e sulle difficoltà della convivenza fra una società laica e le dottrine estremamente conservatrici dell’Islam: se ne parla moltissimo ancora oggi.

L’11 gennaio 2015 fu organizzata a Parigi una grande manifestazione di solidarietà alle vittime e ai loro familiari: partecipò oltre un milione di persone, con la presenza di molti capi di stato e di governo. Con il presidente francese François Hollande c’erano fra gli altri Angela Merkel, Donald Tusk, David Cameron e Matteo Renzi, ma anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas.

Martedì, a dieci anni dagli attacchi, il quotidiano Le Monde lo ha ricordato in un editoriale: «È passato un decennio, ma la Francia non è mai più stata la stessa. Gli attacchi jihadisti del 7, 8 e 9 gennaio 2015 sono stati uno shock per la “patria dei diritti umani”, paragonabile per violenza a quello dell’11 settembre 2001 per gli Stati Uniti».

– Leggi anche: La copertina di Charlie Hebdo, dieci anni dopo l’attentato