Gli assalitori del Congresso degli Stati Uniti ora si considerano “prigionieri politici”
Quattro anni dopo l'attacco, circa 1.600 sono stati processati: Donald Trump li definisce patrioti e ha promesso di graziarli
Nei quattro anni passati dall’assalto al Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021 circa 1.600 persone sono state processate per la loro partecipazione all’attacco. Alcune sono state accusate e condannate di reati come aggressione e cospirazione e sono ancora in prigione; molte altre riconosciute colpevoli di reati minori hanno già scontato la loro pena. Il presidente eletto Donald Trump ha annunciato di voler graziare subito tutte le persone coinvolte, «scusandosi con molte». In questi anni Trump e un’ampia parte del mondo conservatore statunitense hanno cambiato la loro narrazione intorno ai fatti del 6 gennaio e ai loro partecipanti, che negli ambienti della destra americana sono oggi definiti “patrioti”, “prigionieri politici” o in qualche caso “martiri”.
Il 6 gennaio 2021 centinaia di sostenitori di Trump attaccarono la sede del Congresso a Washington, scontrandosi con la polizia, superando i blocchi e occupando l’edificio: volevano bloccare il processo di ratifica della vittoria elettorale di Joe Biden, ritenendo che le elezioni fossero state “rubate” con dei brogli, come sosteneva (e sostiene) Trump, senza alcuna prova. Alcune persone morirono durante e dopo gli scontri, 140 poliziotti furono feriti e i parlamentari americani sfuggirono per pochi minuti alla folla, in un’insurrezione senza precedenti nella storia degli Stati Uniti.
Una donna, Ashli Babbitt, fu uccisa da un colpo di pistola sparato da un poliziotto; un altro agente, Brian Sicknick, morì per le conseguenze di due infarti durante gli scontri; un’assaltatrice di 34 anni, Rosanne Boyland, morì per overdose di anfetamine; quattro poliziotti impegnati nel bloccare l’assalto si sono suicidati nei mesi successivi.
Le autorità federali ritengono che circa 10mila persone fossero presenti nell’area intorno al Congresso e che 2.000-2.500 entrarono effettivamente nell’edificio. Quasi 1.600 persone sono state identificate grazie a decine di migliaia di ore di video online e migliaia di denunce: circa la metà si è riconosciuta colpevole. Fra quelle che si sono dichiarate “non colpevoli”, oltre duecento persone sono state condannate in via definitiva, con pene che vanno da pochi giorni di carcere a 22 anni per “cospirazione sediziosa”, un complotto tra due o più persone «per rovesciare, abbattere o distruggere con la forza il governo degli Stati Uniti».
Gli imputati condannati alle pene più gravi fanno parte per lo più di due organizzazioni di estrema destra, i Proud Boys e gli Oath Keepers, organizzati come milizie e considerati i principali animatori degli attacchi violenti. Il fondatore dei Proud Boys Enrique Tarrio, descritto come “il principale leader” della rivolta, è stato condannato a 22 anni di prigione (altri appartenenti al gruppo a pene fra i 5 e i 17 anni). Il fondatore degli Oath Keepers Stewart Rhodes è stato condannato a 18 anni.
Molti altri hanno scontato o stanno scontando pene minori, come Jacob Chansley, conosciuto come lo sciamano di QAnon e molto fotografato durante gli attacchi con un cappello con le corna (41 mesi di prigione); o Riley Williams, che rubò un computer dall’ufficio della speaker della Camera Nancy Pelosi e progettava di venderlo alla Russia, secondo quanto riferito dal fidanzato (3 anni di prigione).
Durante tutta la lunga campagna elettorale Trump ha detto che gli assalitori processati erano stati trattati «in modo ingiusto» e li ha spesso definiti «prigionieri politici perseguitati». Molti dei condannati erano detenuti in un carcere federale di Washington: qui si sono riuniti in quella che hanno definito la «Patriot Wing», (L’ala dei patrioti), e si trovavano ogni sera per cantare l’inno americano, mentre online associazioni di destra ed estrema destra animavano raccolte fondi, proteste e opere di sensibilizzazione per la loro causa, definendoli “ostaggi” e “martiri”.
Nel marzo del 2023 è stata pubblicata sulle principali piattaforme una canzone, “Justice for All” (Giustizia per tutti), in cui Trump ha recitato il Pledge of Allegiance, il giuramento di fedeltà alla bandiera, e la Patriot Wing ha cantato l’inno statunitense, con il nome di J6 Prison Choir. La canzone nata dalla collaborazione fra un candidato presidente e venti uomini accusati di aver tentato di sovvertire l’ordine democratico è stata spesso suonata nei comizi di Trump.
Negli ultimi mesi i legali degli accusati hanno provato a ritardare o rinviare alcuni dei processi ancora in corso, dicendo che la promessa “grazia presidenziale” li avrebbe resi inutili. A livello legale questi tentativi hanno raramente avuto successo. Molte delle persone coinvolte però si attendono già per il primo giorno di insediamento di Trump, il 20 gennaio, una misura che chiuda definitivamente le questioni legali. Altri chiedono anche rimborsi delle spese legali. Il New York Times in occasione del quarto anniversario dell’assalto ha raccontato le storie di alcuni dei condannati per reati minori: alcuni stanno scrivendo libri sulla loro esperienza, molti dicono di aver perso fiducia nel sistema giudiziario statunitense.