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  • Domenica 5 gennaio 2025

La Slovenia non sa dove seppellire i resti di migliaia di persone

Appartengono a collaborazionisti uccisi dai partigiani comunisti alla fine della Seconda guerra mondiale, che sono stati riesumati da una fossa comune

Una vista dall'alto di Ljubljana, la capitale della Slovenia
Una vista dall'alto di Lubiana, la capitale della Slovenia (Foto di Simon Hermans su Unsplash)
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In Slovenia da tempo si discute di dove seppellire i resti di migliaia di uomini, uccisi alla fine della Seconda guerra mondiale dai partigiani comunisti jugoslavi e riesumati dalla fossa comune di Macesnova Gorica, nella regione di Kočevski rog, un altopiano carsico e ricoperto di foreste nel sud del paese.

La fossa comune è una di diverse che si trovano sull’altopiano di Kočevski rog e che hanno una storia simile, e i resti delle persone che vi erano sepolte sono stati riesumati nel corso del 2020. Ancora oggi però gli scheletri recuperati sono conservati in una sistemazione provvisoria. I resti appartengono a più di 3mila uomini, in prevalenza sloveni, che facevano parte dei domobranci (la “Guardia territoriale”), una milizia locale che durante la Seconda guerra mondiale collaborò con i nazisti tedeschi, che avevano occupato il paese, e che insieme a loro combatté contro i partigiani attivi nella regione.

Lo scorso novembre la presidente della Slovenia Nataša Piric Musar ha annunciato l’inizio di consultazioni per trovare un luogo di sepoltura adatto. Nel paese esiste una commissione creata appositamente dal governo per tracciare le fosse comuni risalenti alla Seconda guerra mondiale, e seppellire in modo appropriato i resti che contengono. Il presidente della commissione, Jože Dežman, vorrebbe che i resti delle persone esumati a Macesnova Gorica venissero sepolti nel cimitero di Žale, nella capitale Lubiana, che è il più grande del paese.

Per la commissione, oltre che per i partiti della destra e per la Chiesa cattolica slovena, le vittime dovrebbero essere sepolte a Lubiana perché dal loro punto di vista la capitale rappresenta un luogo simbolico importante per tutti i cittadini.

Il sindaco di Lubiana Zoran Janković (un politico progressista che governa la città da più di un decennio) però si oppone a quest’idea, sostenendo che il cimitero di Žale non possa essere usato e che i corpi esumati a Kočevski rog dovrebbero essere seppelliti altrove. Il cimitero di Žale ospita, tra le altre cose, monumenti ai caduti sloveni della Prima guerra mondiale e della guerra di liberazione partigiana. Janković è contrario anche perché secondo lui seppellire lì i resti trovati a Macesnova Gorica vorrebbe dire, in un certo senso, mettere sullo stesso piano i partigiani e le persone che hanno collaborato con gli occupatori fascisti e nazisti durante la Seconda guerra mondiale.

«Lubiana è una città eroica», ha detto Janković, facendo riferimento a un riconoscimento per il contributo alla guerra partigiana che la città ottenne negli anni Settanta, quando la Slovenia faceva parte della Jugoslavia socialista. «Noi onoriamo tutti i morti, ma rendiamo omaggio a chi ha liberato Lubiana e, insieme agli alleati, ha sconfitto il maggiore male del Ventesimo secolo: il fascismo e il nazismo, insieme ai loro collaboratori, i traditori del nostro paese».

Il sindaco di Lubiana Zoran Janković

Il sindaco di Lubiana Zoran Janković (foto tratta dalla sua pagina Facebook)

Finora i negoziati non hanno portato a grandi passi avanti. Nell’attesa di una soluzione definitiva il governo sloveno, che è formato da una coalizione di partiti progressisti e di centrosinistra, ha proposto una soluzione provvisoria, cioè seppellire i resti al cimitero militare di Škofja Loka, un piccolo paese qualche decina di chilometri a nord di Lubiana. Diversi politici sloveni hanno anche ipotizzato che in futuro possa essere organizzato un referendum per chiedere direttamente ai residenti della capitale di decidere sulla questione.

Il dibattito sulla sepoltura dei morti della fossa comune di Macesnova Gorica è parte di un dibattito più ampio sulla memoria della Seconda guerra mondiale in Slovenia, e sui crimini commessi dai partigiani comunisti. Secondo il giornalista e commentatore politico sloveno Aljaž Pengov Bitenc, oggi questa discussione è «la principale ragione della guerra culturale» tra le componenti più progressiste e di sinistra della società slovena, storicamente più vicine agli ideali dei partigiani jugoslavi, e quelle più conservatrici e nazionaliste.

Secondo le ricerche del Centro sloveno per la riconciliazione nazionale, alla fine della Seconda guerra mondiale i partigiani comunisti uccisero diverse migliaia di persone: molte vennero giustiziate e i loro corpi nascosti in fosse comuni. Dopo la Seconda guerra mondiale la Slovenia diventò parte della Jugoslavia socialista, e il tema non venne discusso pubblicamente per decenni. Se ne iniziò a parlare di nuovo solo alla fine degli anni Ottanta, e poi con l’indipendenza del paese nel 1991.

Dopo l’indipendenza la classe politica slovena tentò di promuovere alcuni atti simbolici che favorissero un clima di riconciliazione e di unità nazionale, e una rilettura un po’ più critica del periodo alla fine della Seconda guerra mondiale. Ma, secondo Pengov Bitenc, si è trattato di una politica di riconciliazione un po’ troppo frettolosa che non ha portato a grandi progressi.

Soprattutto, sempre secondo Pengov Bitenc, oggi nessuno sembra davvero interessato a risolvere la questione riconoscendo prima di tutto la priorità di dare una sepoltura dignitosa e compassionevole ai morti, ed è più interessato a sfruttare le divisioni esistenti per motivi politici. «Trovare una soluzione a questo problema eliminerebbe uno dei principali mezzi che tanti politici sloveni hanno per mobilitare il proprio elettorato», ha spiegato il giornalista: «Quando non si trova un compromesso, possono comunque puntare il dito contro i loro avversari politici e dire, “voi avete collaborato con i nazisti e i fascisti”; oppure, viceversa, accusarli di avere ucciso migliaia di cittadini sloveni durante e subito dopo la guerra».

«Quando si discute di questo tema, c’è ancora molta contrapposizione che porta alla logica del “noi contro di loro” e a una mancanza di fiducia reciproca. Nessuna delle due parti è disposta ad ammettere gli errori commessi durante la Seconda guerra mondiale: nessuno è disposto a fare un serio esame di coscienza ed essere autocritico, e questa è la principale causa della situazione attuale», ha spiegato.