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  • Domenica 5 gennaio 2025

L’economia della Siria è un disastro

E questo è un problema per il nuovo governo, che ha risorse scarsissime ed è ancora sotto sanzioni da parte dell'Occidente

Due negozianti nella città siriana di Douma, il 29 dicembre 2024
Due negozianti nella città siriana di Douma, il 29 dicembre 2024 (AP Photo/Mosa'ab Elshamy)
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L’economia della Siria è una delle più povere e fragili del mondo: oltre 50 anni di regime durissimo della famiglia Assad e decenni di sanzioni internazionali hanno lasciato la Siria in condizioni economiche disastrose, e molte zone del paese devono ancora essere ricostruite dopo 13 anni di guerra civile tra il regime e le forze anti assadiste.

Per il nuovo governo siriano creato dopo la caduta del regime di Bashar al Assad l’economia è una delle priorità, ma sarà estremamente difficile risollevare la situazione del paese, che è ancora diplomaticamente isolato e faticherà a ottenere gli aiuti di cui ha disperatamente bisogno.

L’economia siriana è sempre stata povera. Hafez al Assad, il padre di Bashar che istituì il regime nel 1970, istituì in Siria un’economia pianificata in stile sovietico, quasi senza libertà d’impresa. Bashar, che salì al potere nel 2000 alla morte del padre, liberalizzò parzialmente l’economia, ma senza grossi risultati. Le principali devastazioni economiche sono però arrivate dalla guerra civile cominciata nel 2011 e di fatto terminata soltanto lo scorso dicembre. Il PIL del paese, che era di circa 45 miliardi di euro nel 2010, oggi è meno di 9 miliardi per un paese di quasi 24 milioni di persone (la Romania, con 20 milioni di abitanti, ha un PIL di quasi 300 miliardi).

Banconote con la faccia di Bashar al Assad, dicembre 2024

Banconote con la faccia di Bashar al Assad, dicembre 2024 (Chris McGrath/Getty Images)

Secondo l’Indice di sviluppo umano dell’ONU, un indicatore che tiene conto di numerose variabili economiche, oltre all’aspettativa di vita, all’educazione, alla salute, la Siria è al 157esimo posto al mondo su 193 paesi. La Banca Mondiale stima che il 69 per cento dei siriani viva con meno di 3,5 euro al mese.

Come ha raccontato di recente un reportage di El País, un impiegato pubblico guadagna circa 20 euro al mese; un soldato meno di 9 euro (e questo spiega in parte le numerose defezioni al momento dell’offensiva dei ribelli che a dicembre ha rapidamente rovesciato il regime) e un direttore di banca meno di 100 euro. I prezzi dei generi di prima necessità, seppure bassi in termini assoluti, sono comunque molto alti per quello che il grosso della popolazione può permettersi: uno shawarma (un piatto tipico mediorientale simile al kebab) costa circa un euro. La sterlina siriana inoltre ha perso il 99 per cento del suo valore dal 2011 a oggi.

La guerra ha anche devastato le risorse e le infrastrutture del paese: prima del 2010 il grosso delle entrate della Siria derivava dalla vendita all’estero di petrolio, e il paese estraeva circa 400mila barili al giorno. Oggi arriva a circa 90mila, ed è costretto a importare greggio.

Alla distruzione della guerra si è unita quella del forte terremoto del 2023, che colpì il sud della Turchia e il nord della Siria: secondo uno studio della Banca Mondiale, 137mila delle 660mila case di Aleppo, la seconda città del paese, sono danneggiate. Il 35 per cento degli ospedali è danneggiato, così come il 25 per cento dei ponti. La centrale elettrica della città, la più grande della Siria, è stata fuori uso fino al 2023.

Una persona compra bombole di gas a Damasco, dicembre 2024

Una persona compra bombole di gas a Damasco, dicembre 2024 (AP Photo/Omar Sanadiki)

A questo si aggiungono le sanzioni internazionali, soprattutto occidentali, che sono state imposte in risposta ai crimini compiuti dal regime di Assad contro la popolazione civile durante la guerra. L’economia siriana è isolata dal resto del mondo, e per i paesi occidentali è difficile se non impossibile investire nel paese e comprare il suo petrolio. Nemmeno le grandi istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, possono offrire aiuti finché la Siria è sotto sanzioni.

Circa un quarto della popolazione siriana è fuggita all’estero nell’ultimo decennio (7 milioni di persone), ma per i siriani che sono rimasti è molto difficile ricevere le rimesse dei propri parenti fuggiti, perché la Siria è scollegata dal sistema finanziario internazionale.

Anche per questo la prima richiesta del nuovo governo siriano ai paesi occidentali è di rimuovere le sanzioni internazionali: il leader di fatto del paese, Ahmed al Sharaa, lo ha già chiesto più volte in vari interventi pubblici. Al momento però i paesi occidentali stanno prendendo tempo, probabilmente in attesa di maggiori garanzie. Hayat Tahrir al Sham (HTS), il principale gruppo degli insorti anti assadisti di cui al Sharaa è il capo (è più noto con il suo nome di battaglia Mohammed al Jolani), è ancora considerato un gruppo terroristico da Stati Uniti ed Europa.

Al Sharaa ha dato in questi mesi numerose dimostrazioni di moderazione e tolleranza. Da ultimo, il 30 dicembre, il governo ha nominato a capo della Banca centrale siriana Maysaa Sabrine, che era stata vicepresidente della banca sotto il regime di Assad ed è la prima donna a guidare l’istituzione. È un segnale giudicato positivo sia perché Maysaa Sabrine è ritenuta competente, sia perché il nuovo governo ha mostrato di voler continuare a collaborare con tecnici preparati, anche se hanno lavorato sotto Assad. I governi occidentali avranno probabilmente bisogno di altri segnali del genere per capire quanto la nuova Siria possa essere un partner affidabile.

Oltre alle sanzioni l’altra urgenza del governo siriano è di avviare rapidamente un programma di ricostruzione del paese e delle sue infrastrutture. Da questo punto di vista sembra ben posizionata la Turchia, paese che ha buoni rapporti con HTS e gli altri gruppi di insorti ora al governo e ha un’industria edilizia molto sviluppata. Le azioni di alcune importanti società edilizie turche nelle ultime settimane hanno acquisito molto valore, in attesa di possibili nuovi investimenti. La ricostruzione della Siria, però, sarà eccezionalmente costosa, e sarà necessario uno sforzo a livello internazionale: l’Economist stima che ci vorranno tra i 240 e i 390 miliardi di euro.

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