• Mondo
  • Venerdì 3 gennaio 2025

Il Medio Oriente non è più quello di Qassem Suleimani

Il celebre generale iraniano fu ucciso cinque anni fa dagli Stati Uniti, e da allora la sua rete di alleanze è stata quasi del tutto distrutta

Un manifesto di Suleimani portato a una manifestazione nell'aprile del 2024 a Teheran
Un manifesto di Suleimani portato a una manifestazione nell'aprile del 2024 a Teheran (AP Photo/Vahid Salemi)
Caricamento player

Al funerale del generale iraniano Qassem Suleimani, ucciso da un drone statunitense il 3 gennaio del 2020, sua figlia Zeinab promise che il padre sarebbe stato vendicato dai suoi tre «zii onorari», alleati dell’Iran: il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah, il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh e il dittatore siriano Bashar al Assad. Nell’ultimo anno, però, dei tre «zii onorari» due sono stati uccisi da Israele (Nasrallah e Haniyeh) mentre Assad è stato rovesciato da una rivolta armata e ha lasciato il paese.

Nel corso dell’ultimo anno le più forti alleanze dell’Iran sono state indebolite e in alcuni casi smantellate. Queste alleanze erano definite “Asse della resistenza” ed erano la principale eredità politica di Suleimani, che quando fu ucciso era uno degli uomini più potenti del Medio Oriente. Fu Suleimani a ideare la strategia secondo cui l’Iran si sarebbe dovuto attorniare di stati e milizie fedeli, e fu lui il più efficace nel metterla in pratica, portando l’Iran in una posizione di notevole forza nella regione. Cinque anni dopo la sua morte, di tutto questo è rimasto molto poco.

Suleimani era il capo delle forze Quds, l’unità d’élite iraniana per le missioni all’estero, ma la sua influenza in Iran e in Medio Oriente andava molto oltre la sua carica ufficiale. Suleimani usò l’influenza e il potere delle forze Quds per cambiare i rapporti in Medio Oriente in favore dell’Iran, usando tutti i mezzi a sua disposizione: assassinando politici, fornendo armi e sostegno agli alleati e compiendo attentati terroristici.

L’intuizione principale di Suleimani fu quella di creare una forte rete di alleanze – l’Asse della resistenza, appunto – con due obiettivi principali: proteggere l’Iran dalle minacce esterne e mantenere una forte deterrenza contro Israele e gli Stati Uniti, i suoi principali nemici. I membri più importanti dell’Asse della resistenza erano Hezbollah in Libano; la Siria di Assad; alcune milizie sciite molto forti in Iraq; e gli Houthi, un gruppo armato che governa circa metà dello Yemen. Più di recente all’alleanza si era aggiunto Hamas, il gruppo radicale che governava la Striscia di Gaza prima dell’inizio della guerra.

Grazie a queste alleanze l’Iran poteva raggiungere facilmente i confini di Israele e il mar Mediterraneo (tramite il Libano e la Siria) e aveva una milizia alleata (gli Houthi) che controllava l’ingresso al mar Rosso, una delle principali vie commerciali del mondo. Suleimani era il perno di tutta questa rete di alleanze, ed era di fatto il capo della diplomazia militare iraniana in Medio Oriente. Nel 2008 Suleimani inviò un celebre messaggio al generale David Petraeus, allora comandante delle forze armate statunitensi in Iraq, in cui si leggeva:

«Generale Petraeus, dovrebbe sapere che io, Qassem Suleimani, controllo la politica dell’Iran per quanto riguarda l’Iraq, il Libano, Gaza e l’Afghanistan. Inoltre, l’ambasciatore a Baghdad è un membro delle forze Quds. Colui che lo va a sostituire è, anche lui, un membro delle forze Quds».

Suleimani fu ucciso nel 2020 in un attacco con droni mentre si trovava a Baghdad, in Iraq. L’attacco fu ordinato direttamente dall’allora presidente statunitense Donald Trump: inizialmente la decisione fu considerata un azzardo, che avrebbe potuto avere grosse conseguenze ed essere considerata dall’Iran come un «atto di guerra». In realtà la risposta iraniana fu tutto sommato moderata, e non provocò un duraturo aumento della violenza nella regione. L’uccisione di Suleimani non provocò nemmeno la crisi dell’Asse della resistenza, e l’Iran riuscì a mantenere stabili le sue alleanze.

Una manifestazione e Teheran nel 2020

Una manifestazione a Teheran nel 2020 (AP Photo/Ebrahim Noroozi)

Il momento di svolta è arrivato però il 7 ottobre del 2023, quando Hamas attaccò Israele che poi cominciò la guerra nella Striscia di Gaza. Inizialmente l’Iran, pur facendo proclami bellicosi contro Israele, aveva cercato di tenersi fuori dalla guerra. Anche Hezbollah, il suo alleato principale, aveva sì cominciato a bombardare il nord di Israele, ma non era intervenuto militarmente, come invece sperava la leadership di Hamas. Tuttavia Israele, tramite un progressivo allargamento dei fronti di guerra, ha sistematicamente colpito i membri dell’Asse della resistenza. Anzitutto Hamas, che dopo un anno e mezzo di guerra è debolissimo e non controlla più la Striscia di Gaza, anche se non è stato del tutto sconfitto.

Israele ha poi attaccato Hezbollah a partire dall’autunno del 2024, dapprima con un attacco su larga scala contro i suoi membri (l’esplosione di cercapersone e walkie talkie), poi uccidendo Nasrallah e altri importanti leader del gruppo; e infine con un’invasione di terra nel sud del Libano, che ne ha indebolito ulteriormente la struttura militare. Oggi Hezbollah è estremamente più debole di quanto non fosse soltanto pochi mesi fa. (Nelle operazioni militari che Israele sta conducendo da un oltre un anno nella Striscia di Gaza e in Libano sono state uccise anche decine di migliaia di civili).

Il crollo improvviso del regime di Assad in Siria è stato un colpo ulteriore per l’Iran. Anzitutto perché ha mostrato la debolezza del regime iraniano, che aveva impiegato ampi mezzi militari e speso decine di miliardi di dollari per sostenere Assad, inutilmente. In secondo luogo perché la perdita del proprio alleato in Siria è per l’Iran particolarmente grave: la Siria connetteva territorialmente l’Iran al Libano (quindi a Hezbollah) e da lì a Israele. Tramite la Siria l’Iran poteva far passare rifornimenti di armi e mezzi verso il Libano, che adesso saranno molto più difficili da controllare.

Alcuni analisti hanno sostenuto in questi giorni che l’Asse della resistenza, dopo questi colpi molto duri, sia di fatto smantellato, mentre altri sono molto più cauti. L’Iran può ancora contare sugli Houthi in Yemen e sulle milizie sciite in Iraq, e anche la situazione della Siria è ancora piuttosto instabile.

Altre analisi si sono concentrate sul fatto che, ora che l’Iran è più esposto e indebolito, potrebbe decidere di adottare politiche più estreme per garantire quella che ritiene sia la propria difesa da minacce esterne, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo di una bomba atomica.