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  • Giovedì 2 gennaio 2025

L’Unione Europea era pronta allo stop delle forniture di gas russo

Era uno sviluppo atteso e anche i paesi più dipendenti hanno avuto tempo per prepararsi, con l’eccezione della Slovacchia

Una valvola di un gasdotto di Gazprom, nel novembre del 2022
Una valvola di un gasdotto di Gazprom, nel novembre del 2022 (EPA/MAXIM SHIPENKOV)
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Dal 1° gennaio il gas russo non passa più nei gasdotti che, attraversando l’Ucraina, lo facevano arrivare in diversi paesi dell’Unione Europea. Era una cosa prevista: da tempo il governo ucraino aveva annunciato che non avrebbe rinnovato un contratto con Gazprom, l’azienda energetica statale russa, che era in vigore dal 2019 (quindi da prima della guerra) e che scadeva il 31 dicembre 2024. Negli ultimi mesi i paesi dell’Unione Europea si erano quindi attivati per trovare altre fonti di approvvigionamento: l’hanno fatto anche Austria e Ungheria, che erano ancora parecchio dipendenti dalle importazioni di gas russo.

La fine dei trasferimenti di gas avrà conseguenze soprattutto per la Slovacchia e la regione moldava della Transnistria, che stanno avendo più difficoltà nel trovare altre fonti, e per la Russia e l’Ucraina, che perderanno molti soldi dalla fine dell’accordo.

Fino a pochi giorni fa, dai gasdotti in Ucraina passava ancora circa il 5 per cento delle importazioni di gas dei paesi dell’Unione. Era una delle ultime due direttrici rimaste attive dopo l’inizio della guerra in Ucraina e le varie sanzioni imposte dall’Unione Europea sugli scambi commerciali con la Russia. L’altra è il gasdotto TurkStream che attraversa il mar Nero e va dalla Turchia all’Ungheria, attraversando Bulgaria e Serbia, ed è tuttora in funzione. Nei due anni e dieci mesi successivi all’invasione i paesi europei – storicamente dipendenti dal gas russo – hanno ridotto drasticamente le loro importazioni. Prima il gas russo copriva circa il 40 per cento del fabbisogno, nel 2023 il dato è sceso a circa l’8 per cento.

Questa diversificazione è avvenuta cercando di aumentare la produzione di energia domestica, quando possibile; oppure comprando altrove il gas. I paesi dell’Unione Europea si sono rivolti soprattutto alla Norvegia, che è diventata la prima fornitrice al posto della Russia, e agli Stati Uniti, da cui hanno comprato sempre più gas naturale liquefatto (GNL oppure LNG, nell’acronimo inglese), cioè trasportato in forma liquida a bordo di grosse navi.

Diversi media internazionali, come Reuters e BBC News, hanno parlato di «fine di un’era», concentrandosi più sul significato simbolico dell’evento che sulle sue conseguenze pratiche. E cioè la fine della dipendenza dei paesi europei dalle importazioni russe di gas naturale, nata anche dalla convinzione che scambi commerciali più stretti con la Russia post-sovietica avrebbero contribuito alla democraticizzazione del paese (una teoria che, a posteriori, si è rivelata sbagliata).

Tra i paesi dell’Unione Europea la fine dei trasferimenti di gas ha avuto conseguenze soprattutto per l’Austria, l’Ungheria e la Slovacchia, sebbene in modo diverso.

Alla fine del 2023, l’Austria importava ancora dalla Russia il 98 per cento del proprio gas. Una delle ragioni era un contratto tra OMV, l’azienda energetica statale austriaca, e Gazprom vincolante fino al 2040. Il contratto è però stato interrotto a metà dello scorso novembre, come risultato di una disputa legale, e il 16 novembre la Russia ha fermato le forniture. Il governo austriaco aveva detto di essere pronto, e ha poi ribadito che era una priorità sottrarsi «ai ricatti del presidente russo» Vladimir Putin (anche se ad agosto il paese importava ancora l’82 per cento del proprio gas dalla Russia).

L’Ungheria è toccata solo parzialmente dalla chiusura dei gasdotti che attraversano l’Ucraina, dato che può continuare a rifornirsi di gas russo attraverso il TurkStream. A differenza degli altri paesi dell’Unione, che hanno ridotto le importazioni, il governo sovranista ungherese intende aumentarle. Il primo ministro Viktor Orbán ha posizioni filorusse, ha cercato senza successo di proporsi come mediatore per un cessate il fuoco in Ucraina e i suoi consensi si basano anche sui prezzi calmierati delle bollette, resi possibili dalle condizioni favorevoli applicate da Gazprom a un paese che ritiene alleato.

L’Ungheria e la Turchia godono inoltre di un’esenzione delle sanzioni imposte su Gazprombank, la banca che faceva da vettore ai pagamenti per le importazioni energetiche dalla Russia (anche se a dicembre Putin aveva levato questa condizione nel tentativo di limitare l’impatto delle sanzioni).

Da destra il presidente serbo Aleksandar Vučić, quello turco Recep Tayyip Erdoğan, quello russo Vladimir Putin e l'allora primo ministro bulgaro Boyko Borisov, all'inaugurazione del gasdotto TurkStream, l'8 gennaio del 2020

Da destra il presidente serbo Aleksandar Vučić, quello turco Recep Tayyip Erdoğan, quello russo Vladimir Putin e l’allora primo ministro bulgaro Boyko Borisov, all’inaugurazione del gasdotto TurkStream, l’8 gennaio del 2020 (Alexei Druzhinin, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Per la Slovacchia la situazione è diversa: ora non può fisicamente importare il gas russo. Il primo ministro populista Robert Fico si è opposto al mancato rinnovo dell’accordo, prendendo le difese della Russia. Il 22 dicembre Fico aveva incontrato Putin a Mosca, nel tentativo di trovare una soluzione: quando diventò evidente che non ce l’avrebbe fatta Fico se l’è presa con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, causando una crisi diplomatica con l’Ucraina. Ha anche minacciato di interrompere le esportazioni di energia elettrica verso l’Ucraina, ma la Polonia si è offerta di compensarle.

Fico è stato criticato dai media: la decisione ucraina di interrompere i rapporti con Gazprom era nota almeno dalla scorsa estate, quindi la Slovacchia aveva tempo per prendere contromisure. Il ministero dell’Economia ha detto che il paese si è preparato all’interruzione delle forniture e non si rischiano carenze di gas, in parte smentendo i toni catastrofisti di Fico che nel discorso di fine anno aveva prospettato «un impatto drastico su tutti noi nell’Unione Europea, ma non per la Federazione Russa». Le forniture alternative di gas, che arriveranno principalmente dalla Germania attraverso la Cechia, costeranno però 177 milioni di euro in più, sempre secondo il ministero.

L’interruzione delle forniture è un problema ancora più grande per la Moldavia, che non fa parte dell’Unione ma è un paese candidato a entrarvi. Come molti altri stati dell’ex blocco sovietico, fino a pochi anni fa era quasi del tutto dipendente dalla Russia per l’energia. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina ha cercato di distanziarsene e si è agganciata alla rete elettrica dell’Unione Europea, importando parecchio gas dalla Romania.

Il gas russo ha continuato però ad arrivare in Transnistria, una regione filorussa che dal 1992 si è autoproclamata indipendente ed è uno dei territori più poveri in Europa: qui veniva usato sia per riscaldare case e uffici sia per alimentare la centrale elettrica di Kuciurgan, che garantisce energia alla Transnistria e a un pezzo della Moldavia. Dall’inizio del 2025, quando le forniture russe sono state interrotte, gli abitanti della Transnistria sono rimasti senza riscaldamento e senza acqua calda.

La sede di Gazprom a San Pietroburgo, il 30 dicembre

La sede di Gazprom a San Pietroburgo, il 30 dicembre (EPA/ANATOLY MALTSEV)

Infine, la fine delle importazioni attraverso l’Ucraina avrà conseguenze concrete sia per la Russia che per l’Ucraina. Per Gazprom, e quindi la Russia, significherà minori introiti per 6,3 miliardi di euro all’anno, se non riuscirà a vendere ad altri il gas (finora non ci è riuscita). Per l’Ucraina, invece, comporterà la perdita di circa un miliardo di euro all’anno, che la Russia le versava per il transito. Il disimpegno dei paesi europei aveva già contribuito a causare, per la prima volta dal 1999, perdite per 6,8 miliardi di euro nel bilancio del 2023 di Gazprom.

Con l’eccezione del TurkStream, sono fermi tutti i gasdotti che portavano il gas russo nei paesi dell’Unione Europea. Oltre a quelli in Ucraina, gli altri erano lo Jamal-Europa attraverso la Bielorussia e il Nord Stream, che collega Russia e Germania attraverso il mar Baltico, danneggiato nel settembre del 2022.

Questo grafico del think tank Bruegel Institute mostra i flussi di gas russo verso i paesi europei, per direttrice